venerdì 24 agosto 2012

La marcia su Roma secondo Dino Risi


Fa parte di una coincidenza singolare tutta italiana l'uscita del film La marcia su Roma, una regia di Dino Risi del 1962, a venti anni esatti dalla vera marcia che portò, con prepotenza, il fascismo al potere. Se nel '62 era ormai giunto il momento di parlarne con tranquillità dopo anni di rispettoso tabù, tanto da diventare una moda di genere, a partire dal film Il generale della Rovere (1959), serissimo dramma rosselliniano con Vittorio De Sica, incentrato più che altro sulla seconda guerra mondiale. Il fascismo, per chi lo ha vissuto alla lontana ma con disprezzo non proprio nascosto, con le poche pubblicazioni di satira politica quando era davvero feroce (Becco Giallo, Marc'Aurelio), veniva considerato un movimento grottesco. Non faceva ridere, questi menavano, imponevano, altroché. Divenne tema per alcune commedie all'italiana, con risultati farseschi e non sempre riusciti. Ce lo spiega Mario Monicelli, che lo conosceva bene per motivi d'età. "In realtà il fascismo non fa ridere. Era una farsa pericolosa e feroce. Mussolini era farsesco in tutto: nei gesti e nella mimica, nei discorsi e nella retorica. Nessun attore ha saputo rifarlo. E poi i gerarchi, i rituali di massa, i motti deficienti, le invenzioni mistificatorie. I fascisti erano delle macchiette inimitabili e drammatiche. Difficilmente sono state ricreate quelle atmosfere. Il federale è abbastanza riuscito, La marcia su Roma è un po' così, Anni ruggenti è  basato più sull'equivoco di fondo e su alcune situazioni. Ma il punto è che non si riconosce il fascismo in quei film, sopratutto per chi l'ha vissuto". 
I tentativi, anche se non riuscitissimi, rimangono validi e in un certo senso ho preso come tema di oggi La Marcia su Roma perché credo sia un film sottovalutato, scambiato per una barzelletta quando credo che l'umorismo un po' greve sia perfettamente conforme all'argomento. E credo che sia importante per diversi aspetti: il primo film di Dino Risi con Ugo Tognazzi è anche il primo che il grande Ugo interpreta con Vittorio Gassman, all'epoca al massimo della popolarità con Il sorpasso, in uscita mentre stavano girando La marcia, una coppia ben assortita che fa davvero faville. In un certo senso è come se vedessimo i due soldati de La grande guerra (1959) sopravvivere e continuare la loro strada inevitabilmente sulle orme del fascismo. Non c'è Alberto Sordi, ma c'è Tognazzi, ma comunque tutti si sarebbero infilati una camicia nera. Questo succede nel film: reduci di guerra, Gassman fa lo sbruffone e vigliacco e Tognazzi il contadino concreto e ignorante, sempre pronto a far notare che tutti i punti del programma fascista non rispecchiano la realtà (fondamentale la scena dove le squadracce bruciano i libri 'rossi', dove Tognazzi rivendica la libertà di stampa, e subito Gassman, "Noi abbiamo la libertà di bruciare. Se loro non vogliono che noi bruciamo, che non stampassero!"). A far da spalla ai due attori, c'è Mario Brega, sempre pronto a menar le mani. 

Un aspetto che c'entra poco sul risultato ma sulla storia del film, è il finale. Sono molte le pubblicazioni che riportano un finale che non s'è visto da nessuna parte, equivoco che continua ancora oggi, nei libri usciti recentemente. Esempio, La commedia all'italiana. Il cinema comico in Italia dal 1945 al 1975, di Masolino D'Amico,  spiega che "rimasti esclusi dall'impresa decisiva (per i postumi di una sbornia) [...] sono costretti a eclissarsi; e quando tempo dopo cercano di valere i loro meriti, vengono tolti di mezzo in quanto scomodi per il nuovo regime, che preferisce considerarli morti e venerarli come eroi". Se andate sul dizionario di Paolo Mereghetti, troverete lo stesso errore. Possibile che non abbiano visto il film? E citano un finale scritto ma non girato, come testimonia un articolo de La stampa di Leo Pestelli, intitolato Fascismo e mafia nel cinema italiano, del 27 giugno 1962. Si legge, "Giunti nei pressi di Roma, nella mezza giornata di crisi determinata dallo stato d'assedio, i due se la squagliano a bordo di un camion, finiscono in un fosso, sono dati e glorificati come  'caduti'. Rifacendosi vivi, a trionfo avvenuto, mettono negli impicci coloro che già ne avevano decretato l'apoteosi; per cui ricevono l'ordine di sparire. Li rivediamo alla fine del film insabbiati in un porticciolo dell'America meridionale, ove campano dell'assegno mensile che manda loro il partito". 
Visto ieri in dvd (restaurato molto bene ma attenzione, manca di un pezzetto nella scena dove escono ubriachi dall'osteria), ho avuto la conferma (come se ne avessi avuto il bisogno!): quando la situazione diventa troppo pesante per loro, i due si danno alla fuga, e li vediamo nella folla a Piazza Venezia, dove si assicurano, "Ti pare che affidano il governo a quella gente lì? Vedrai che le cose cambiano".. In quel momento, la farsa finisce davvero..

POST SCRIPTUM DIECI ANNI DOPO

Oggi 4 settembre 2022 il film è stato proiettato in edizione restaurata dal CSC alla Mostra Cinematografica di Venezia. A riguardo questo evento posso aggiornare questo post puntualizzando su alcuni punti: la copia restaurata reintegra il taglio che ho citato nell'articolo, posso affermare ipotizzato da me per pura intuizione e non da fonti certe; il finale alternativo, a quanto pare, era citato dai vecchi articoli in quanto presente in sceneggiatura ma molto probabilmente non girato, sopratutto perché Dino Risi dichiarò molti anni dopo di preferire quello poi montato e non quello originariamente "scritto"; Mereghetti ha corretto la scheda nelle edizioni successive al 2012.

2 commenti:

  1. Veramente erano 40 anni precedenti e non 20! Inoltre il fascismo andò al potere perché voluto da milioni di italiani che poi fecero voltagabbana quando nel 1943 la guerra poteva essere persa.

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    1. Si ripassi la storia, il fascismo col cavolo che andò al potere per "volere di milioni di italiani"! mica fu eletto democraticamente...come Hitler!

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