domenica 15 ottobre 2023

Sherlock Holmes all’italiana

Dopo le parodie di Sherlock Holmes nel cinema muto italiano, l’argomento di oggi è l’unica versione italiana mai realizzata: e bisogna tornare indietro al 1968 per raccontare l’’unico Holmes made in Italy interpretato dal grande attore Nando Gazzolo. All’epoca le fiction si chiamavano sceneggiati ed erano trasposizioni televisive di opere teatrali o letterarie: avevano tempi televisivi che oggi potremmo considerare mortali, ma con un’alta eleganza nella confezione e una scelta di prim’ordine nel cast che, sottolineo, proveniva dal teatro classico. Era una Rai opposta a quella di oggi: gli sceneggiati fungevano da servizio pubblico per far arrivare al pubblico italiano dell’epoca storie, personaggi e paesaggi che a scuola avevano finto di apprendere. Basta fare un salto su Raiplay e godersi quella meraviglia degli anni ’60, per rendersene conto: Sherlock Holmes, andato in onda in sei puntate nel 1968, presente sulla piattaforma, non è da meno. Diretto dallo specialista Guglielmo Morandi, lo sceneggiato presentava due romanzi scritti da Arthur Conan Doyle, La valle della paura e Il mastino di Baskerville, rispettivamente ultimo e terzultimo della saga di Holmes, adattati da Edoardo Anton, sceneggiatore di grande esperienza (lavorò con Risi, Comencini, Bolognini, Blasetti). Questa produzione fu realizzata per rilanciare gli scritti di Conan Doyle in Italia, in quel periodo poco considerati nel nostro paese; la scelta di Gazzolo e Gianni Bonagura come Holmes e Watson non fu casuale, perché nel doppiaggio avevano prestato la loro voce in questi ruoli in due film: Gazzolo aveva doppiato Peter Cushing nel film La furia di Baskerville (1959), all’epoca una delle ultime versioni cinematografiche arrivate in Italia, mentre Gianni Bonagura, grandissimo, doppiò Donald Houston in A Study in Terror (Sherlock Holmes: notti di terrore, 1965). È opinione di molti esperti che Bonagura è stato uno dei migliori Watson di sempre: ironico, scaltro, rispettoso del suo amico più intelligente. Non da meno Gazzolo-Sherlock, più fisicamente possente rispetto ai precedenti, ma perfettamente calato nel ruolo: circondati da ottimi attori, il duo è piacevole, e la curiosità di vedere due italiani in questi panni inglesissimi suscitò interesse da parte della stampa italiana e da quella locale che seguì le riprese che si svolsero nell’estate del ’68 fra l’Inghilterra (per gli esterni), e e Napoli per gli interni. Il pubblico apprezzò l’operazione (l’indice di gradimento fu di 78-80: non essendoci ancora l’auditel, il sistema di ascolto si basava su delle telefonate random presso gli abbonati, e la cifra si intendeva come percentuale di apprezzamento), la critica meno: colpevole, a leggere le recensioni, un ritmo più lento del solito, e una prolissità nel racconto. Dividere due romanzi in sei puntate in effetti era un po’ troppo, almeno con quella lentezza che ancora oggi pesa sulla visione, ma il bianco e nero trasmette, soprattutto per Il mastino di Baskerville, un’atmosfera cupa, quasi gotica. Si trattò di una versione italiana unica, che nessuno ha avuto più coraggio – e fortunatamente, vista la qualità di oggi – di replicare.

E in radio? Qui, come direbbe Totò, casca l’asino: perché il primo Sherlock Holmes italiano fu radiofonico, e cioè il mitico Ubaldo Lay (il futuro tenente Sheridan televisivo): I gialli di Sherlock Holmes andò in onda sul Programma Nazionale (futura Radio Rai1) dal 2 luglio 1958 per dodici appuntamenti adattati da Marco Visconti, con Lay-Holmes e Renato Cominetti-Watson: nel cast di un paio di puntate, figurava proprio Gianni Bonagura. 


All’epoca della realizzazione di questo Sherlock Holmes, la televisione americana e britannica aveva già prodotto le sue versioni: nel 1954, toccò all’americano Ronald Howard, nel 1965 all’inglese Douglas Wilmer per una famosa serie della BBC, poi sostituito da Peter Cushing nel ’68; prima di Gazzolo, solo un altro attore non anglosassone era “stato” Sherlock, Erich Schellow, per la televisione tedesca, nel 1967: e proprio tedesco fu il primo “straniero” anche nel cinema, negli anni Dieci. 

Inoltre, l’Italia fu co-produttrice del film Sherlock Holmes und das Halsband des Todes (Sherlock Holmes – la valle del terrore, 1962), con Christopher Lee nel ruolo principale, considerato uno dei “peggiori” Holmes della storia.

 

Trame & credit

 

Per questo sceneggiato vengono scelti due romanzi che vedono Holmes e Watson fuori da Londra e dal loro quartier generale a Baker Street: ne La valle della paura, pubblicato nel 1915, sono chiamati dall’ispettore MacDonald a indagare sulla morte di John Douglas, americano trapiantatosi in Inghilterra e proprietario di un piccolo castello nella campagna inglese. Holmes risolverà il mistero della piccola truffa messa in piedi dal defunto (il cadavere è quello del suo assassino, che covava vendetta contro di lui da molti anni da parte di una società massonica chiamata I vendicatori), dalla moglie Ivy Douglas e del loro ospite Cecil Baker, amico di vecchia data di Douglas. Con Leonardo Severini (Ames), Cesarina Gheraldi (Mrs. Allen), Anna Miserocchi (Ivy Douglas), Mario Erpichini (Cecil Baker), Francesco Paolo D'Amato (Jack McDonald), Antonietta Lambroni (Mrs. Clarke), Francesco Sormano (Ispettore McDonald), Enrico Ostermann (Ispettore Mason), Giuseppe Mancini (Jackson), Mario Laurentino (Sergente Wood), Ernesto Colli (Turner), Francesco Vairano (usciere), Michele Borelli (Groom), Andrea Bosic (John Douglas/ John McMurdo), Nino Pavese (McGinty).

L’ultimo dei Baskerville, pubblicato nel 1902, è una delle storie più famose di Conan Doyle, qui raccontata con alcune differenze soprattutto nell’antefatto, ma la sostanza rimane la stessa: a seguito della morte misteriosa di sir Charles Baskerville, il nipote Henry diventa unico erede delle sue ricchezze e arriva nella tenuta di Baskerville dall’America per prenderne possesso. Holmes e Watson, giunti sul posto dopo aver ricevuto l’invito di sir Charles, iniziano le indagini scoprendo che la vicenda coinvolge una leggenda di famiglia vecchia di secoli e un fantomatico cane demoniaco. Fingendo di lasciare il solo Watson in aiuto dell'erede Henry Baskerville, nipote della vittima, Holmes continua l'indagine individuando il colpevole in John Stapleton, un vicino in realtà discendente dei Baskerville che, conoscendo la malattia di cuore di sir Charles, gli ha scatenato contro un vero grosso cane provocandone la morte per attacco cardiaco e attuando poi lo stesso piano contro il nipote allo scopo di diventare l'erede della proprietà. Salvato sir Henry per un soffio, Holmes e Watson inseguono Stapleton ma l'assassino commette l'errore fatale di entrare nella palude della brughiera in piena notte non emergendone più. Con Franco Volpi (Maggiore Frankland), Paolo Carlini (Sir Henry Baskerville), Antonio Salines (John Barrymore), Adolfo Geri (Dottor Mortimer), Anna Maria Ackermann (Elisa Barrymore), Marina Malfatti (Beryl), Sergio Reggi (Sergente Reynolds), Franco Scandurra (John Stapleton), Michele Mattera (Richard), Marco Pasquini (soldato), Attilio Fernandez (Perkins).

 

Le reazioni

 

Lo sceneggiato andò in onda dal 25 ottobre al 29 novembre 1968 sul Secondo Canale, alle 21:15. Avrebbe dovuto debuttare l’11 ottobre ma all’ultimo momento un cavillo contrattuale con gli eredi di Conan Doyle bloccò la messa in onda, slittando così al 25. All’epoca il giallo era un genere molto seguito dagli spettatori italiani – andavano forte il tenente Sheridan con Ubaldo Lay, Le inchieste del commissario Maigret con Gino Cervi, e da lì a poco avrebbe debuttato Nero Wolfe, con Tino Buazzelli – ma questo Holmes non entrò esattamente nel cuore del pubblico. Una lettera di uno spettatore, ad esempio, lamentava: “l’eccessiva lentezza, la suspense diluita in disutilissime lungaggini, i melensi complimenti reciproci fra Holmes-Gazzolo e Watson-Bonagura, tutto l'episodio conclusivo è stato guastato dalla recitazione nevrotica, quasi isterica dell'attore che impersonava l'ispettore di polizia”. Le altre sono su questo tenore, e i quotidiani non furono teneri. La Stampa del 9 novembre 1968, annota su La valle della paura: “è una storia lenta, diluita, che al lettore di oggi risulta quasi insopportabile. Comunque, con tutti i suoi gravi difetti, era un impianto nient’affatto disprezzabile, con un meccanismo che, depurato dai florilegi di un vecchio stile di sapore decadente e da divagazioni e disquisizioni inutili, si rivela piuttosto ben congegnato”; dopo averso visto Il mastino di Baskerville, il recensore finalmente rimane soddisfatto e il 16 novembre scrive: “L'avvio è stato impeccabile, come giallo (…) Bisogna dire che questa sequenza era molto ben realizzata, con un senso abile di suspense che ne «La valle della paura» avevamo atteso invano per tre puntate. Ma anche dopo, salvo un paio di brevi cadute qua e là, il ritmo s'è mantenuto soddisfacente. Il dialogo a tre (Carlini, Gazzolo e Bonagura) è andato in crescendo e il finale del capitolo con l'ululato agghiacciante dell'ignoto mostro, e col servo sorpreso a fare segnali, e Sherlock Holmes che insegue un individuo nella landa e che per poco non ci rimette la pelle, infilzato da un pugnale, era teso e condotto col gusto del classico racconto del terrore. (…) Nando Gazzolo ci è sembrato meno professorale e Gianni Bonagura meno stupefatto”. Le critiche dell’epoca hanno comunque fatto il suo tempo, al di là del contesto storico degli sceneggiati Rai che non brillavano per ritmo ma ricambiavano in grandezza d’attori e confezione, e oggi lo Sherlock Holmes di Gazzolo è fra i più ricordati negli attori non anglosassoni che si sono cimentati in questo non facile ruolo. 

 

Dietro le quinte

 

Edoardo Anton si approcciò al copione con il cruccio fondamentale di quale taglio dargli. “L’ostacolo maggiore ad una trasposizione di Sherlock Holmes per la televisione italiana era rappresentato dall'elemento più valido dell’epoca di Conan Doyle: il suo personaggio principale; che, proprio perché era assai tipico e controcorrente per la sua epoca, oggi ci è terribilmente lontano. Oggi l'ideale di Uomo per il Mito è esattamente l'opposto di Sherlock Holmes: è James Bond. E per contro l'ideale, non da mitizzare, ma per riconoscervisi, è il famigliare Maigret: grosso, comune, simile ai mille uomini della strada, tutto birra, salsicce e domenica alla osteria fuori porta con la «sua Signora». In quale modo la gente di oggi potrebbe accettare un tipo quale Sherlock Holmes, inventato da un baronetto dell'Ottocento inglese, che gli presta senza volerlo le deformazioni e i pregiudizi della sua casta? Holmes agli occhi del nostro lettore moderno appare decadente o «dannunziano», molto presuntuoso e un po' ridicolo, semplicistico, monotono nei metodi, molto fumo intellettuale e poco arrosto poliziesco, con una fortunaccia indecente nel trovare sempre, al momento giusto, la zacchera di mota conosciuta o il mozzicone di sigaro speciale o il tatuaggio rivelatore. E sopra tutto non gli sarà perdonato il suo non giustificato isolamento sentimentale, il suo disprezzo per le donne: all'occhio di oggi, un uomo simile è antipatico o sospetto. Comunque, in entrambi i casi, un eroe da rifiutare. D'altra parte, la straordinaria fama del Personaggio, l'epoca e il luogo (quella, anche letterariamente, favolosa Londra fine ‘800) sono indubbiamente elementi di fascino spettacolare che non vanno sottovalutati o buttati via alla leggera. Per tali contrastanti ragioni, accingendomi alla trasposizione televisiva di Sherlock Holmes, pensai sulle prime che la miglior soluzione fosse quella di insistere sui difetti del personaggio, rilevandoli satiricamente anziché nasconderli e smussarli, e presentare al pubblico un Holmes in chiave leggiadramente farsesca”. 

Fortunatamente Anton cambiò totalmente idea dopo aver visto (o saputo, poiché si cita una serie televisiva inedita in Italia) il telefilm della BBC del ’65 interpretato prima da Douglas Wilmer nel ruolo principale, e poi 

Da Peter Cushing. “Questa nuova linea della BBC mi convinse”, scrisse Anton. “Modificando la mia prima decisione, anch'io dunque avrei insistito sul clima alla Poe ogni volta che se ne offriva l'occasione, per dare a questa serie un suo carattere che la distingua fortemente da altre poliziesche di successo, ad esempio quella di Maigret; e per puntellare con altro colore l'oggi debole giallo di Conan Doyle. Come nelle precedenti versioni si era messo il rosa, il comico, accanto a quel giallo, io avrei messo il nero. Inoltre avrei prosciugato il personaggio di Sherlock Holmes non solo degli svolazzi esteriori ma anche di molti interiori. Gli avrei tolto parte di quell'ingenua vanità da filodrammatico che tende a far colpo, che vuole stupire, gli avrei tolto naturalmente la siringa per iniezioni e di conseguenza quel decadentismo estetizzante, e quel suo ostentato disprezzo per le donne. Non dico — con questo — che ne ho fatto un dongiovanni: sarebbe stato uno snaturarlo. Ma non ho toccato il problema. Holmes è uno scapolo e vive solo. Ecco tutto. Mi basta aver eliminato la inutile (e sospetta) polemica contro le donne”.

Misoginia, droga, supponenza sparirono da questa trasposizione italiana, con pace per i severi censori della Rai dell’epoca.  

Come si è detto prima, la lavorazione si è svolta nell’estate del 1968 fra Napoli e Londra. Annota Il Radiocorriere Tv in un articolo dell’epoca: 

 

“Il regista Morandi, che un anno fa in Inghilterra diresse il film L'oro di Londra, ha scelto per ambientare le avventure di Sherlock Holmes due castelli della contea di Norfolk — a 170 miglia da Londra — con caratteristiche totalmente differenti: sinistro, desolante quello di Oxburg Hall per La valle della paura: e accogliente, ricco e vasto quello di Blickling Hall per ll mastino dei Baskerville. La troupe televisiva di Morandi ha trascorso più di un mese in Inghilterra, dove sono stati girati più di 10 mila metri di pellicola, equivalenti al materiale necessario per un paio di film. «Si è fatto in un mese», insinua Carlini, «un lavoro per cui la gente del cinema avrebbe impiegato sei mesi, perché a Cromer, dove risiedevamo, gli unici luoghi allegri, con dei fiori, erano i cimiteri! Si viveva ossessionati dalla luce e dalla solitudine: il sole calava alle 11 di sera e gli alberghi erano senza tapparelle! E già alle 8 di sera non c'era anima viva per le strade. Gli spaghetti poi ce li servivano con un sugo dolciastro di frutta». Il primo a portare a termine la sua fatica è stato Roby, il terribile mastino. «Un animale eccezionale», dice Morandi, «di un'intelligenza rara, che alla fine non ubbidiva più all'istruttore, ma a me. Scattava appena ordinavo “Motore, azione!”».

Poi il mastino e Sir Henry, lontano dal set, sono diventati amici. «Robv si è rivelato docile fino a quando non è stato preso a revolverate», interviene Bonagura, «c'era una scena in cui io, Watson, dovevo sparargli contro, ma senza colpirlo, perché questo onore è riservato alla mira infallibile di Sherlock Holmes. Ebbene Roby si è ribellato. Personalmente mi sentivo protetto dalla presenza, alle mie spalle, dell'istruttore; non altrettanto sicuro si è invece dimostrato il sergente Raynolds, cioè Sergio Reggi, il quale ha preferito darsi alla fuga!». 

La realizzazione de II mastino dei Baskerville è stata per la troupe una serie di corse al brivido. Lo stesso Paolo Carlini è rimasto vittima di una caduta da cavallo mentre al galoppo si recava all'appuntamento in un bosco con Beryl (Marina Malfatti). L'incidente ha successivamente indotto il regista a far ripetere la scena con l'innamorato su un più sicuro calessino. Ben più spaventevole per l'attore romagnolo, che non aveva voluto ricorrere alla controfigura, è stata la scena dell'aggressione da parte del terribile mastino: «Quando mi è saltato addosso, Roby ha spezzato con un morso il bastone che tenevo in mano per proteggermi il volto. Tempestivo è stato lo “stop” di Morandi! La scena non l'ho ripetuta: non mi sembrava proprio il caso di scherzare ulteriormente con Roby, che per l'occasione era stato aizzato». In questo giallo della serie di Sherlock Holmes, oltre a dar vita all'ultimo rampollo della dinastia dei Baskerville, Paolo Carlini impersona anche il vecchio Sir Charles, un uomo che ha fatto fortuna nelle Indie e che ha un grosso sfregio sul volto. Ed è Sir Charles la prima vittima del mastino che il pubblico vedrà sui teleschermi”.

 

Il ricordo di Nando Gazzolo

 


Lo Sherlock Holmes impersonato da Gazzolo, continuava l’articolo, “si differenzia da quello leggendario perché è stato modernizzato e spogliato di ogni frangia macchiettistica. Il «nuovo» Holmes ha in comune con quello tradizionale l'intelligenza superiore, lo snobismo e l'eccezionale freddezza: e naturalmente la pipa e il cappellino a doppia visiera. «E' un personaggio difficile da interpretare», spiega Gazzolo, «perché Sherlock Holmes tutti lo conoscono o credono di conoscerlo, e ognuno s'è fatto una sua idea del personaggio. Per entrare nei panni del celebre detective inglese ho dovuto leggere i gialli di Conan Doyle, che ignoravo». Il detective è celebre anche per la passione per gli esperimenti scientifici e il violino. «Sono stato costretto», prosegue Gazzolo, «a farmi prestare le mani da un violinista di professione perché io non so suonare una nota». Il personaggio ora «ricreato» da Gazzolo ha già incontrato i favori della «Sherlock Holmes Society» di Londra, che oggi si batte contro la deformazione macchiettistica della figura del leggendario investigatore, specie nei fumetti che si vendono in Inghilterra. Sfogliando queste pubblicazioni si ha la sensazione che con il passare del tempo Sherlock Holmes potrebbe diventare un James Bond con pipa e cappellino”.

Nel 2010, intervistato da Alessandra Calanchi, docente di lingue e letterature angloamericane all'Università di Urbino, l’attore ricordò: “l’esperienza è stata bellissima, ma più per aver scoperto Sherlock Holmes, perché in realtà io lo conoscevo di fama, ma non avevo letto neppure un libro, quindi per me la lettura è stata affascinante e bellissima; e poi capitare proprio in Inghilterra nei luoghi di Sherlock Holmes, bè, è stato emozionante, molto, molto emozionante. Sono stato molto felice di farlo, anche se io non sono affatto Sherlock Holmes caratterialmente, perché il motto di Sherlock Holmes è “osservare, concatenare e dedurre”: io non sono un bravo osservatore perché sono molto distratto. Quindi al contrario, non posso concatenare e nemmeno dedurre, perché se non osservo tutto il resto non funziona più̀: invece lui è un personaggio meraviglioso perché c’è questa intelligenza superiore alla media che lo rende così affascinante. Mi piace essere in certi momenti, o meglio, mi è piaciuto, essere come Sherlock Holmes, perché ha questa intelligenza superiore, che io non ho (ho un’intelligenza normale): un’intelligenza veramente superiore alla media, se no non riuscirebbe a risolvere certi casi. Lui li risolve perché ha un’intelligenza superiore alla media, e mi sentivo così importante anche io: «ah, come sono intelligente!»”.

Nel ’99, in una intervista telefonica, parlò invece delle riprese in Inghilterra: “Ricordo che girammo gli esterni nell'East England. Mi piacque moltissimo la campagna inglese. Ne rimasi innamorato. Credo che il clima sia il principale responsabile di quei prati verdi, di quelli scorci indimenticabili che ancora ricordo. Io vivo in campagna, amo la campagna, ma di quella inglese mi infatuai. Non ricordo precisamente il nome del luogo. La scelta delle zone dove girare può differire dalla originale in cui si sono svolti i fatti, e questo per varie ragioni. Bisogna guardare anche alla facilità di raggiungere i luoghi, alla vicinanza con posti "utili" per registrare. Si cercava un luogo dove ci fosse vicino un castello, una brughiera ed una pianura in modo da poter limitare gli spostamenti con la troupe. Ma ricordo che il castello dove girammo non andava bene. Un signore inglese mi fece notare che non era fedele alla storia. C'era la necessità di un fossato dove doveva sparire l'arma del delitto. Ma quel fossato non era adatto. Proprio un inglese che assisteva alle scene me lo fece notare. Ricordo invece la gentilezza e la cortesia degli abitanti del luogo. Se giravamo vicino ad una villetta, ad esempio, capitava spesso di essere invitati per una tazza di the. Ricordo anche che la stampa locale fu molto interessata al nostro lavoro. Fummo intervistati dalla BBC, se non erro, ed anche da alcuni giornali locali. Ricordo ancora il titolo di uno di questi «Giovane attore italiano interpreta SH». Allora ero giovane, beh, ero più giovane. Ma suscitammo un certo scalpore e nei giornali locali si dovrebbe poter trovare una traccia”.

 

Watson

 

“Un aspetto molto importante è costituito dai rapporti fra Holmes e il suo amico e collaboratore dottor Watson”, scrisse lo sceneggiatore Edoardo Anton in un articolo per Il Radiocorriere Tv. “Nelle versioni diciamo «comiche» delle Avventure di Sherlock Holmes era logico che Watson fosse la «spalla» sciocca da prendere in giro. Che questo atteggiamento sia divenuto un cliché è provato dalla famosa frase che Holmes dice spesso a Watson: «Elementare, Watson!». Chi non la conosce? Ebbene questa frase non è mai stata scritta da Conan Doyle. Non appare in alcun romanzo né nei racconti. È una espressione nata dalle versioni comiche altrui. Conan Doyle, al contrario, ha impostato il rapporto Watson-Holmes su di una franca amicizia reciproca e su reciproca stima. In più — è naturale — c'è in Watson grande ammirazione per il celebre amico, ma questi non sottovaluta né il buonsenso del suo collaboratore, né le sue generose qualità morali neppure la sua perspicacia anche se talvolta si diverte — lui, lo specialista — a fargli sotto gli occhi i suoi giochi di prestigio mentali. D'altronde Sherlock Holmes, se è un dilettante nell'esercizio dell'investigazione per ciò che riguarda il denaro (per quanto... di che altro vive?), si considera un professionista quale criminologo e non s'aspetta certo, su questo terreno specifico, che un medico possa stargli alla pari. Sarebbe quindi illogico che lo offendesse o lo prendesse in giro”.

Parlando di Bonagura e su come avesse costruito il personaggio di Watson, Gazzolo disse: “È stata un’esperienza molto bella, perché lui è riuscito a dare al personaggio un’intelligenza, quindi era un collaboratore di Sherlock Holmes, non era... invece tante volte lo si vede come un po’ passivo, uno che purtroppo non è intelligente e se non ci fosse Sherlock Holmes non avrebbe capito niente. Invece no, lui l’ha fatto intelligente: non come il suo grande amico, ma intelligente, comunque. E quindi il rapporto era più bello, perché era uno scambio di intelligenze: dove Sherlock Holmes ovviamente andava sempre oltre...”. 

Bonagura, intervistato anche lui telefonicamente nel ’99, parlò soprattutto delle location: “Mi ricordo che un posto dove sicuramente abbiamo girato è Cromer. Se lei guarda su una carta lo trova a meno di cento chilometri da Londra. Ci stemmo una settimana, credo, girando in un castello dove avevano affittato alcuni locali. E poi nei dintorni per gli esterni. Per altri esterni abbiamo girato, per esempio, sul lago di Nemi. Non saprei dirle con precisione in che posto. Però evidentemente, o la vegetazione od in riva al lago qualche cosa poteva richiamare, poteva essere così ingannevole ed equivoco tanto da potersi usare come se fosse Inghilterra. Mi ricordo che girammo in estate perché ricordo che soffrivamo il caldo con i costumi, con i cappotti”. 

Uno degli aspetti più interessanti di questo Sherlock Holmes, secondo me, è che gli interpreti principali erano due eccellenti attori e doppiatori: poiché la scuola all’epoca era il teatro, gli attori erano tutti dotati di una bella, carismatica o caratteristica voce. E su questo aspetto, segnaliamo due ulteriori contributi nel mondo di Holmes da parte di Bonagura: prestò la voce a Marty Feldman nel personaggio del Sergente Orville Stanley Sacker, specie di Watson minore nel film parodia di Gene Wilder Il fratello più furbo di Sherlock Holmes (The Adventure of Sherlock Holmes' Smarter Brother, 1975), e a Peter Cushing nel film tv La maschera della morte (1984), in una storia apocrifa di Sherlock Holmes. Gazzolo, invece, fu chiamato per prestare la voce all’attore inglese Lance Percival in Concerto per pistola solista (1970), “stracult” di Michele Lupo, nel quale interpretava un commissario di Scotland Yard: nel doppiaggio non a caso ripete spesso “elementare, elementare” e ha un tono alla Holmes…

 

Dove vederlo

 

La Fabbri Editori pubblicò una lunga collana di DVD dedicata agli sceneggiati di genere giallo prodotti dalla RAI, incluso ovviamente Sherlock Holmes, nel 2009. Nel 2013, è la stessa Rai ad aver pubblicato un cofanetto di due dischi, oggi ancora in catalogo. Ma più facile cliccare qui: https://www.raiplay.it/programmi/sherlockholmes-losceneggiato  

 

Fonti bibliografiche

 

Edoardo Anton, Il professore che batté Scotland Yard, Radiocorriere Tv, n. 31 del 28 luglio-3 agosto 1968.

Ernesto Baldo, Brividi fuori programma per girare Sherlock Holmes, Radiocorriere Tv, n. 41 del 6-12 ottobre 1968.

Gianluca Salvatori, Al telefono con Sherlock Holmes, The Strand Magazine, n. 3, dicembre 1999 (http://www.unostudioinholmes.org/telefono.htm).