mercoledì 22 maggio 2019

Il Paperino cinematografico dimenticato

Spiegone - premessa

Se dovessimo scegliere un personaggio del mondo dell’animazione più amato sicuramente la scelta cadrebbe su Paperino, così comico e sfortunato, cui siamo legati fin dalla nostra più tenera età. Il suo carattere è stato più volte riscritto, e la sua stessa storia ha subito dei profondi cambiamenti grazie al genio creativo di Carl Barks, che dal 1942 al 1967 gli ha costruito attorno un vero mondo e un preciso profilo quasi umano: chi scrive è cresciuto con le sue incredibili avventure, prima assieme a Qui, Quo e Qua, e poi con il taccagno zio Paperone, ricco e spietato. Attorno a Barks, è cresciuta poi una scuola di autori e disegnatori molto importanti, soprattutto italiani, fino ad arrivare al suo erede artistico Don Rosa, autore della straordinaria “Saga di Paperon De’ Paperoni”, un kolossal fumettistico di dodici puntate con le quali ha raccontato l’epopea storica di zio Scrooge dalla sua nascita fino all’incontro con Paperino e i suoi nipoti. In Italia gli è stato dato anche un super alter ego, Paperinik, che grazie alle invenzioni di Archimede Pitagorico è diventato un vero supereroe, ma sono sicuro che tutte queste cose le sapete già. Perché il mondo dei fumetti di Paperino è uno dei più studiati e esplorati dagli appassionati: inutile dirvi che prima di Barks il successo di Donald era dovuto dalle strisce giornaliere disegnate da Al Talafierro e scritte da Ted Osborne, dal 1936 fino agli anni ’50, con uno spirito comico più immediato rispetto a Barks.

Il punto

La sua iconicità è dimostrata anche da come viene glorificato per i suoi anniversari dalla nascita, avvenuta nel 1934: ricordo che quando compì 60 anni, nel 94, ci furono festeggiamenti mondiali.
Ora che nel 2019 ne compirà 85, ho letto oggi sul web di vari appuntamenti con il mondo del fumetto Disney italiano, e alcune importanti pubblicazioni da parte della Panini.

Tuttavia, spiace constatare che la Disney – a livello mondiale – ha dimenticato la parte della carriera di Paperino più importante: l’animazione. E Paperino, da solo, ha interpretato 128 cartoni animati, dal 1934 al 1961, e nel 1944 fu protagonista di un intero lungometraggio, “I tre caballeros”. Ho provato a spiegarmelo pensando che molti di questi corti rappresentano il personaggio in maniera troppo differente dalle storie a fumetti, e sulla carta ci sono molti personaggi che nell’animazione hanno impiegato decenni ad essere utilizzati. Primo su tutti, Paperon De’ Paperoni: ma lo Zione era stato al centro di un progetto datato 1955 che non andò più in porto perché in quell’anno la produzione dei cortometraggi era drasticamente calata, poi di un corto dimenticato (“Scrooge McDuck and Money”, 1967), e aspettò trent’anni per avere una serie tutta sua (“DuckTales”, 1987), mancando così l’accoppiata con il nipote, giustificata con un arruolamento nella Marina Militare. Paperino ha avuto la giusta collocazione solo recentemente, nel reboot di “Ducktales” (2017), dove gli sceneggiatori hanno riscritto il suo passato e aggiunto personaggi mai sviluppati prima, come Della Duck, sua sorella e mamma dei nipotini, recuperato i vecchi protagonisti della serie, e portato nell’animazione altri che non erano mai stati liberati dai fumetti, come Paperoga e uno dei nemici di Paperone, il miliardario in bombetta Rockerduck. Il risultato è sorprendente, e il ruolo di Paperino non solo è maggiore, ma anche più interessante rispetto alle semplici “comiche” degli anni passati, e le storie ammiccano intelligentemente alla sua carriera, specie nella seconda stagione corrente, dove in un episodio ritrova José Carioca e Panchito, i vecchi caballeros.
L’ammenda, pur se arrivata due anni fa dopo 85 primavere, è stata quella giusta. Ma nei festeggiamenti Paperino sembra essere solo un divo dei fumetti.

La storia

Pur se lontano dai disegni animati, è ovvio che su Topolino il personaggio può essere sfruttato in qualsiasi modo, senza preoccuparsi del budget che potrebbe essere necessario per un lungometraggio animato (immaginatevi la Saga di Don Rosa al cinema: bello, ma costoso), tuttavia questa dimenticanza della sua storia cinematografica mi scoccia parecchio.

Anche perché vengono dimenticati autori e disegnatori che sono stati fondamentali nella storia dell’animazione: Barks stesso era stato assunto da Walt Disney come gagman e sceneggiatore dei corti di Paperino, e a fianco aveva spesso Jack Hannah, anche lui disegnatore e poi diventato il regista “papà” della serie Donald Duck. Inoltre, Barks e Hannah erano stati gli autori della prima grande storia a fumetti di Paperino, Donald Duck Finds Pirate Gold, nel 1942. Successivamente Barks entrò nel mondo dei fumetti lasciando l’animazione mentre Hannah divenne responsabile dei cortometraggi fino al 1959: in una intervista recente affermò che Paperino non era considerato un personaggio così forte da inserirlo in un lungometraggio, una opinione ancora attuale (escludendo le varie partecipazioni, come Fantasia 2000, o Chi ha incastrato Roger Rabbit).
Tuttavia, come fai ad ignorare 128 cortometraggi di una serie, più una ventina in team con Topolino e Pippo? Certo, sono stati distribuiti nella serie dvd Walt Disney Treasures per non finirli nel dimenticatoio (anche se in Italia manca all’appello il quarto volume contenente i corti dal 1951 al 1961), ma possibile che uno dei pochi paesi al mondo che realizza pubblicazioni sulla storia della Disney – cioè l’Italia – ha dato poco spazio alla sua filmografia negli anniversari, parlando solo dei fumetti?

Analisi storica – mettetevi seduti

Il primo corto dove Paperino apparve fu The Wise Little Hen, uscito il 9 giugno 1934: già in divisa da marinaretto, fannullone e poco furbo, il personaggio risultò essere così interessante che ben presto venne inserito nella serie del personaggio più famoso della Disney; in quell’anno è spalla di Topolino in Orphan's Benefit, The Dognapper e Mickey's Service Station. Poi, nel biennio del 1935-36, il duo diventò ben presto trio con Pippo, e sfornarono capolavori come The Band Concert, Mickey's Fire Brigade, Mickey's Grand Opera, Mickey's Polo Team, Alpine Climbers, dove ben presto gli animatori cambiarono l’aspetto di Paperino, accorciandogli il becco e il collo, e ammorbidendo i suoi lineamenti, per gli ultimi corti in team, come Clock Cleaners e Lonesome Ghosts, del 1937, e Mickey's Trailer, del 1938. Sono film di 7-8 minuti dal ritmo scatenato e gag memorabili, dove Paperino, prima dei fumetti, ottiene la sua serie personale a cominciare dal ’36.
l'animatore Frank Spencer delinea il modello definitivo nel 1935
Come una vera star, ha un suo staff che segue le sue storie, e già durante la Seconda Guerra Mondiale diventò una delle figure simbolo dell’ottimismo americano e della propaganda militare. Un corto specialmente fa centro, dove Paperino vive l’incubo della dittatura dell’Asse e si risveglia sotto la bandiera americana: Der Fuehrer's Face, del 1943, ottiene persino l’Oscar per il Miglior cortometraggio. Il successo di Donald è alle stelle, e mentre la produzione dei fumetti aumenta, l’Academy gli rilascia ben 11 nomination per il suo lavoro sul grande schermo. 

Dopo la guerra, le “comiche” vedono Paperino spesso attaccato e umiliato dai nipotini, dalle api, da Cip e Ciop, dalle disavventure quotidiane esasperate per far ridere, certo, ma quando viene imborghesito sono pochi i lampi nel buio creativo che si assopì negli anni Cinquanta, nonostante alcune eccezioni. La rivale Warner Bros, inoltre, regalava al pubblico personaggi e cortometraggi più esplosivi e maliziosi, e Paperino, come una vecchia gloria, lasciò il cinema per la televisione (lo show Disneyland), salvo qualche film educativo (Donald in Mathmagic Land, 1959, l’ultima nomination all’Oscar, era un capolavoro). 

Il lungo periodo che va dalla seconda metà degli anni Sessanta agli inizi degli Ottanta è, per Paperino, completamente inattivo dal punto di vista cinematografico. La Disney ha poi lavorato ad una lunga serie di “classici” mettendo da parte le sue icone, salvo recuperarle qui e là, con risultati notevoli: Mickey's Christmas Carol (1983) e The Prince and the Pauper (1990) ci hanno restituito il Paperino più classico, almeno fino all’avvento di alcune serie tv di poco conto, come Quack Pack (1996-97), Mickey Mouse Works (1999–2000) House of Mouse (2001–2003). Paradossalmente, sono anche le ultime con il suo aspetto più classico, per poi passare ad un restyling più moderno, dalla serie Mickey Mouse (dal 2013), e il già citato DuckTales (dal 2017). Un ritorno inaspettato – anche se non proprio riuscitissimo – è stato nella serie Legend of the Three Caballeros, del 2018, dove Paperino ritrova José Carioca e Panchito, ma perde i nipotini e quasi tutto il mondo dei Paperi (Paperone farà però un cammeo in uno dei ultimi episodi): al momento questa serie è inedita, ma trasmessa solo nelle Filippine e in Asia.

Gli autori di DuckTales hanno mostrato un Paperino diverso, più accattivante e con sentimenti che quasi mai abbiamo visto, né al cinema o sui fumetti, sempre sfortunato e divertente, ma con i problemi odierni di avere una famiglia stabile. Personalmente sto sperando in un prossimo film per il cinema di questa serie, una delle migliori mai prodotte dalla Disney. Ecco l’ho detto.
Paperino e la sua voce, Clarence Nash
Questo mio pezzo non può concludersi senza citare la voce: ricordo che Disney decise di creare un personaggio di un’anatra quando sentì per caso l’imitatore Clarence Nash (1904-1985), e rimase impressionato dalle sue capacità di rifare i versi degli animali, papera inclusa. Faceva molto ridere la voce di Paperino, ma spesso era incomprensibile, un problema che non sempre fu risolto e neanche recentemente, ora che l’erede di Nash, Tony Anselmo, è Paperino in Ducktales ed è impegnato in molti dialoghi (In Italia la cosa si risolse ricorrendo a Franco Latini, che umanizzò la voce rendendola più comprensibile, ma dopo la sua morte venne sostituito da Luca Eliani, talmente bravo da sembrare il vecchio Nash, e quindi di nuovo…poco chiaro).

Rush finale – cazziatone agli editori

In conclusione: riconosco che 600 storie di Barks, l’opera di Don Rosa, e migliaia scritte e disegnate in Italia, Brasile o Finlandia (cito alcuni fra i maggiori paesi che sfornano storie di Paperino), sono più significative di un corto di Paperino dove combatte con le formiche mentre tenta di fare un pic-nic, e hanno tutt’altro respiro e significato (probabilmente anche un pubblico diverso). È il motivo per cui il cinema ha lentamente abbandonato anche Topolino e Pippo, e solo dagli anni Novanta c’è stato un ritorno alle origini, seppur rilegato in televisione. Influenzati da questa valanga di pubblicazioni (quest’anno sono 70 anni dal primo numero di Topolino) abbiamo ignorato la Storia rimanendo però ancorati alla nostalgia e alle tradizioni quando il mondo dell’animazione ha voluto evolvere i personaggi classici, vedi le polemiche legate alla serie Mickey Mouse (anche per diverse gag non proprio adatte per bambini) o al nuovo stile di animazione del recente DuckTales (poco giustificate, anche perché gli animatori si basano proprio sui modelli barksiani). Non solo, siamo condizionati dalle serie tv interminabili che durano sette-otto stagioni (o cinematografiche, vedi Avengers, undici anni di film), e siamo diventati allergici alle brevi storie. Eppure anche quella dei cortometraggi è stata una arte importante, e la lezione di Jack Hannah è stata fondamentale. Siamo nel 2019 e il classico deve rimanere tale e non da imitare ma la storia non deve essere dimenticata.
Tutta questa storia non è mai stata raccontata – gli unici due libri che lo hanno fatto sono americani e oramai pezzi da collezione che conservo gelosamente, e sono Donald Duck, di Marcia Blitz, del 1979, e Donald Duck: 50 Years of Happy Frustration, di Charlotte Parry-Crooke, del 1984 – ma citata parzialmente (Luca Boschi lo fece in un libro edito per Disney Libri, nel 1993). E il Paperino cinematografico ha bisogno di giustizia iconografica che analizzi la sua imponente filmografia, dal 1934 ad oggi.



Scena post credit

L’amico e studioso disney Nunziante Valoroso, apprezzando quello che ho scritto, mi fa giustamente notare che le generazioni degli anni ’60 e ’70 avevano ben a mente la carriera cinematografica di Paperino perché – sembra scontato ma non lo è affatto – i cartoni erano continuamente riproposti in televisione ma anche al cinema, con dei film di montaggio memorabili come Le avventure di caccia del professor Pico de Paperis (1963), Paperino show (1969), Paperino story (1971), Paperino e C. nel far west (1966), Come divertirsi con Paperino & Company (1974), Paperino e C. in vacanza (1977).
E aggiungo che neanche troppi anni fa c'era ancora l'abitudine di inserire corti classici all'inizio dei grandi film Disney. Ricordo di aver visto La sirenetta preceduto da Paperino guardiano del faro, corto del 1946.
Questo ora non accade più.

mercoledì 1 maggio 2019

Stanlio e Ollio - recensione in bombetta

Oggi esce nelle sale Stanlio e Ollio, il film di Jon S. Baird con Steve Coogan e John C. Reilly che ripercorre, in due flashback, la vita di Stan Laurel e Oliver Hardy. Ma attenzione, non giudicatelo come un film biografico vero e proprio, inizia nel 1937, quando Stanlio e Ollio erano già all’apice del successo, e fa un balzo di sedici anni, nel 1953, dove i due, stanchi e invecchiati, sbarcano in Inghilterra per intraprendere un tour teatrale incerto, e con la speranza di realizzare una parodia di “Robin Hood”. Non è quindi un racconto completo della loro storia – com’era, per esempio, Chaplin (1992) di Richard Attenborough – e ci sono diverse licenze artistiche che ai puristi potrebbero non piacere. Ma è un film bello, divertente e commovente, e che personalmente aspettavo di vedere da una vita. A volte i miracoli succedono, pur se c’è da chiedersi: perché fare un film semi biografico su Stanlio e Ollio? È da considerarsi come un omaggio, scritto con intelligenza da Jeff Pope, necessario a far riscoprire quanto fossero grandi Stan e Babe anche nella vita reale.
Steve Coogan e John C. Reilly sono stupefacenti nei panni di Stan e Oliver, aiutati da uno straordinario make-up, e da un lavoro meticoloso di preparazione: Coogan ad esempio ha ascoltato molte registrazioni al telefono di Stan Laurel, mentre Reilly ha visto qualsiasi cosa che ha girato Hardy, letto le lettere che scrisse alla moglie, per cogliere il lato romantico di un uomo che ha sempre vissuto con disagio il problema del peso ma, come diceva lo stesso Babe, “Cerco sempre di camminare con leggerezza. Non mi piace vedere gli uomini grassi barcollare in giro; non ce n’è alcun bisogno. Ho sempre amato ballare e penso che sia per questo motivo che ho imparato a camminare con agilità”.

“Stan & Ollie”, utilizza parte della vita di Laurel e Hardy per raccontare la loro amicizia e il rapporto che avevano con il proprio lavoro, già di per sé molto curioso, come lo stesso Stan Laurel aveva detto al suo biografo John McCabe: “Sembravamo capirci l’un l’altro nel profondo. È singolare come non ci conoscessimo davvero personalmente fino a quando non abbiamo iniziato la tournée insieme. Quando giravamo i film, si trattava di fare un mestiere, sebbene fosse divertente. Ci vedevamo raramente tra un film e l’altro. La sua vita fuori dagli Studi cinematografici era dedicata allo sport, e la mia era fondamentalmente fatta tutta di lavoro… anche dopo che era finito. Mi piaceva montare e tagliare le pellicole, mentre lui non ne aveva alcun interesse. Ma qualsiasi cosa facessi, lui era sempre d’accordo con me. Non c’è mai stato un litigio tra noi, mai”. 

Oltre alla loro amicizia, si parla della loro famiglia, le due mogli così diverse e esigenti (il mondo femminile ha sempre avuto un ruolo fondamentale e burrascoso nella loro vita), la loro carriera, con un produttore che li ha lanciati in coppia ma li tiene a secco di soldi (Hal Roach, anche se in verità il motivo dei disaccordi fra lui e Stan era sulla scelta delle storie da girare; sul libro paga, lo stesso Stan ha sempre ammesso di essere stato pagato bene), il successo che non c’è più (nella realtà, non era il 1953 ma il 1947 il primo anno dei loro tour, ne seguirono altri due, nel ’52 e poi nel ’53: in tutti e tre casi, ebbero sempre un notevole successo di pubblico; il film fa corretto riferimento al loro declino cinematografico, sorpassati da Gianni e Pinotto, e con la persa fiducia dei produttori – la storia del film mancato “Robin Hood” è vera, pur se risale al ’47), ma soprattutto l’affetto del pubblico, motivo per cui loro, ultrasessantenni, nel momento in cui si sentono soli e superati, trovano l’ultimo grande applauso per l’inchino finale. Uniti ancora, come due piselli in un baccello.

Girato nella primavera del 2017, è stato proiettato in anteprima mondiale nell’ottobre 2018, prima al BFI Film Festival di Londra, e alla Festa del cinema di Roma, ed è uscito in America il 28 dicembre 2018. Ha avuto un notevole successo in patria, dove ha incassato 10 milioni di sterline, e raccolto molte recensioni positive, tanto da ottenere il certificato “Fresh” dal sito Rotten Tomatoes (con una approvazione del 93%). Nonostante alcune prestigiose nomination, il film non ha avuto premi, ed è stato scandalosamente dimenticato agli Oscar. Oggi che esce in Italia, è già disponibile in home-video in America.
Sulla questione del doppiaggio, mi sento di dire di aver letto tante cretinate, al di là delle legittime opinioni. Dico solo di esser d’accordo sulla scelta di far parlare i bravissimi Coogan e Reilly, nei momenti cui citano con notevoli sfumature i personaggi, con le “voci” tipiche di Stanlio e Ollio, così come le conosciamo da 80 anni. I doppiatori sono Angelo Maggi e Simone Mori, bravissimi come sempre, che hanno questo compito difficile di non far rimpiangere le voci storiche ma, in questo caso, non era questo l’obiettivo principale.

Andate a vedere Stanlio e Ollio, vi farete un regalo.