martedì 13 dicembre 2011

85 volte magnifico Jerry


Oggi Dick Van Dyke compie 86 anni. E' infatti nato il 13 dicembre 1925. Ora che ho dimostrato di saper fare i conti, passiamo ad altro. Jerry Lewis. Questo che segue è infatti un articolo su Jerry che di anni, lo scorso marzo, ne ha fatti ben 85.

Lo abbiamo venerato, studiato, adorato. E’ l’ultima colonna della grande Stagione del Cinema Hollywoodiano, non solo nel genere comico, ma di tutta una epoca ormai lontana e soprattutto estinta: perché, non volendo, si muore, e fra tutti i pochi sopravvissuti, Jerry Lewis, che compie oggi il traguardo delle 85 candeline, è quello che ricordiamo senza troppi sforzi. Il più famoso, diciamo. E’ stato forse il migliore? Indubbiamente, Jerry Lewis è stato uno dei registi e attori comici che hanno maggiormente influito l’evoluzione della gag e del classico registro comico dello slapstick, ben dopo la lezione di Stanlio e Ollio e dei fratelli Marx. Sulla tradizione comica ebrea, Jerry interpretava il bravo ragazzo dalle buone intenzioni che creava solo guai terrificanti. Gli eventi si ritorcevano contro chi gli stava accanto. La catastrofe incombeva sugli oggetti senza una logica? Affatto, Jerry regista controllava le gag di Jerry attore con una perfezione forse troppo meccanica, ma con effetti irresistibili: fu lui a inventare e sperimentare il monitor che sul set gli avrebbe permesso la visione immediata di una ripresa, senza aspettare la stampa per la proiezione giornaliera. La messa in scena era quella della distruzione. Per questo, Jerry si trovò benissimo con due registi provenienti dalla comica di due rulli, George Marshall, che ebbe i suoi natali registici con Laurel e Hardy, e Frank Tashlin, proveniente dai cartoon della Warnes Bros e dalla Disney. Andiamo con ordine in questa orgia di complimenti. Lewis è stato anzitutto – a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta – il maggiore comico degli Stati Uniti. Figlio d’arte (papà fantasista e cantante e mamma musicista), vero nome Joseph Levitch e nato nel New Jersey il 16 marzo 1926, dopo una serie di mestieri umili, dal fattorino al cameriere, decise di sfruttare il suo corpo snodato e la sua faccia clownesca trascinandosi nei cabaret senza convincere il pubblico, per quanto il suo folle playback su ballate d’epoca deve essere stata una novità inusuale; all’età di venti anni conobbe un cantante di buone speranze di origine italiana, Dino Crocetti, poi noto col nome d’arte di Dean Martin (1917-1995).
Fra i due scatta la scintilla, l’affiatamento, trovando la giusta miscela del belloccio cantante e la scimmia che lo disturba: nasce la coppia Martin & Lewis, dopo quella di Stanlio e Ollio una delle più importanti e, soprattutto, ricche al botteghino. La Paramount li adotta e fa fortuna: sedici film, dal 1949 al 1956, che non incasseranno mai meno di tre milioni di dollari. I vertici al box office, in bella compagnia di trasmissioni radiofoniche e televisive, tour teatrali, presero la tremarella quando le ambizioni diverse di Jerry e Dean, e soprattutto le preferenze del pubblico più giovane, resero chiaro un divorzio imminente. Motivi vari: le risate maggiori arrivavano dirette alla Scimmia, la critica accentuava questa differenza di ruoli, spesso decisi in fase di sceneggiatura dal produttore Hal B. Wallis, zero entusiasmo e scarso senso della gag comica, e il ruolo di Dean stava cominciando ad essere troppo stretto più che marginale. Da una parte Jerry cercava di venirgli incontro, da un’altra, ben più accesa, si costruiva i ruoli e imparava il mestiere del regista e del montaggio: infilando il naso ovunque, Jerry involontariamente trascurò Dean. I rapporti diventarono tesi. Sul set a malapena si rivolgevano la parola. Quando Dean rifiutò un ruolo di un film imminente da girare, la rottura divenne definitiva. Dolorosa, ma necessaria. E Jerry si avviò in una carriera solista di grande successo. Troppo egocentrico per dividere ancora lo schermo. Meglio alternare le storie d’amore, rimettendo un po’ il ritmo a tempi più lenti. Dietro l’angolo, Jerry poteva distruggere un albergo, un ospedale o un supermercato. Faceva lo scemo tenerone. All’apice del successo, la stella di Jerry cominciò a calare. Forse, aveva smascherato un po’ troppo il mito del successo, di Hollywood, dei meccanismi comici, della stessa società americana frenetica e ipocrita. Un po’ come stava facendo Jacques Tati, come avevano fatto Laurel e Hardy: dietro le risate, una implacabile satira sociale. E la verità piace sempre poco agli Americani. La Scimmia si faceva volere bene per le attività di beneficenza. Avvia il “Telethon” nel 1966. Ma le sue regie piacciono sempre poco. In Europa almeno gode di una certa considerazione, la Francia soprattutto lo prende in seria considerazione e lo elogia fra i grandi artisti. I noleggi però sono quelli che importano. Inciampa in qualche insuccesso e dopo aver tentato di distribuire – senza riuscirsi – una commedia ambientata in un campo di concentramento (The Day the Clown Cried, 1972), si ritira e si dedica all’insegnamento della regia all’UCLA. Una trionfale tournée parigina lo convince a debuttare a Broadway, ma senza successo. Inizia un inesorabile declino fisico: tutte quelle cadute costano molto, e la lista dei malanni è piuttosto lunga.
Un infarto lo blocca durante le riprese de Il Cenerentolo (1959), lo sorprende una frattura al cranio durante uno show televisivo nel 1965, subisce una operazione a cuore aperto nel 1982, vittima del percodan tenta anche il suicidio, ma la forza e la volontà di esibirsi, pari ad una droga necessaria, lo fa continuare. Nel 1979 torna sul set, ha fortuna più in Europa che in America, dove comunque Martin Scorsese lo prende come gloria della vecchia Hollywood e lo mette accanto a quella nuova, che si chiama Robert De Niro, che fa il fan che vorrebbe fare il grande comico, rapisce il suo idolo e chiede come riscatto una serata in prima tv. Il film si chiama The King of Comedy (1983), titolo italiano Re per una notte, film che meglio descrive la follia del mito del successo. Zitto e immobile, Jerry regalerà una interpretazione brusca e solitaria, ma azzeccata. La carriera del grande Jerry, ancora oggi attivo sui palcoscenici di Las Vegas, può fermarsi qui, all’apice di una vita travagliata, sofferta, ma solo come a Hollywood riescono a fare. Il picchiatello, la Scimmia, bravo dietro la macchina da presa, è ben lontano dal Dottor Jerryll, ma l’umanità del grande comico è ben viva degli spettatori. Nel maggio del 2004, venne all’ospedale Gemelli di Roma per una conferenza sul dolore, lui che è esperto e promotore da molti anni. Con lo spirito sempre picchiatello, accolto dagli applausi abbracciò la folla e qualche infermiera dicendo in italiano “Ciao, adesso posso andare a mangiare la pasta?” Non persi l’occasione e andai anche io. Mi fece impressione per l’altezza e per averlo visto così gonfio, eppure negli occhi c’era ancora la forza espressiva di sempre. Feci fatica ma riuscii a stringergli la mano. Vide la mia facciona sorridente e mi fece il verso. Ero molto emozionato, era comunque un mito che avevo davanti, e sperando che mi sentisse gridai, “I’m very glad to meet you, Mr. Lewis”, e lui “Ti aspettavo, Signore!”. Per quanto possa essere strano scriverlo, questo è il mio ricordo personale di Jerry Lewis.
Tanti auguri, Jerry.

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