giovanissimi al Cab 64 - ©Uliano Lucas |
domenica 14 gennaio 2024
Un brano inedito di Cochi e Renato?
martedì 2 gennaio 2024
Quando il Belpaese voleva Stanlio e Ollio gladiatori
Quello che sto per raccontare parte da una curiosità principale che a quanto pare sul web non è riportata da nessuna parte: questo perché la fonte è un libro di interviste che conoscono gli studiosi di cinema, ed è da lì che sono partito, come si faceva una volta nelle biblioteche e negli archivi, in tempi non troppo lontani ma che sembrano giurassici. E dedico questo articolo alla memoria di Ernesto G. Laura, caposcuola di una generazione di storici del cinema che ebbe l’occasione di raccontare, fra le varie cose, la storia di Stanlio e Ollio.
da "Ciak", 1994 (archivio B. Gemma) |
Il contatto con l’Italia non si concluse lì: nella corrispondenza privata di Stan, si legge che il loro agente aveva ricevuto una offerta per farli recitare nei varietà italiani – per uno spazio di uno sketch, che di una rivista intera – fra il ’51 e il 1952, ma come lo stesso Laurel immaginava, erano parole campate in aria che non ebbero seguito. La stanchezza fisica cominciò a farsi sentire, e dopo qualche anno i due decisero di ritirarsi, non avendo più l’età neanche per fare i gladiatori per i produttori del Belpaese.
(la fonte della dichiarazione di Continenza è L'avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli, 1979).
domenica 15 ottobre 2023
Sherlock Holmes all’italiana
E in radio? Qui, come direbbe Totò, casca l’asino: perché il primo Sherlock Holmes italiano fu radiofonico, e cioè il mitico Ubaldo Lay (il futuro tenente Sheridan televisivo): I gialli di Sherlock Holmes andò in onda sul Programma Nazionale (futura Radio Rai1) dal 2 luglio 1958 per dodici appuntamenti adattati da Marco Visconti, con Lay-Holmes e Renato Cominetti-Watson: nel cast di un paio di puntate, figurava proprio Gianni Bonagura.
All’epoca della realizzazione di questo Sherlock Holmes, la televisione americana e britannica aveva già prodotto le sue versioni: nel 1954, toccò all’americano Ronald Howard, nel 1965 all’inglese Douglas Wilmer per una famosa serie della BBC, poi sostituito da Peter Cushing nel ’68; prima di Gazzolo, solo un altro attore non anglosassone era “stato” Sherlock, Erich Schellow, per la televisione tedesca, nel 1967: e proprio tedesco fu il primo “straniero” anche nel cinema, negli anni Dieci.
Inoltre, l’Italia fu co-produttrice del film Sherlock Holmes und das Halsband des Todes (Sherlock Holmes – la valle del terrore, 1962), con Christopher Lee nel ruolo principale, considerato uno dei “peggiori” Holmes della storia.
Trame & credit
Per questo sceneggiato vengono scelti due romanzi che vedono Holmes e Watson fuori da Londra e dal loro quartier generale a Baker Street: ne La valle della paura, pubblicato nel 1915, sono chiamati dall’ispettore MacDonald a indagare sulla morte di John Douglas, americano trapiantatosi in Inghilterra e proprietario di un piccolo castello nella campagna inglese. Holmes risolverà il mistero della piccola truffa messa in piedi dal defunto (il cadavere è quello del suo assassino, che covava vendetta contro di lui da molti anni da parte di una società massonica chiamata I vendicatori), dalla moglie Ivy Douglas e del loro ospite Cecil Baker, amico di vecchia data di Douglas. Con Leonardo Severini (Ames), Cesarina Gheraldi (Mrs. Allen), Anna Miserocchi (Ivy Douglas), Mario Erpichini (Cecil Baker), Francesco Paolo D'Amato (Jack McDonald), Antonietta Lambroni (Mrs. Clarke), Francesco Sormano (Ispettore McDonald), Enrico Ostermann (Ispettore Mason), Giuseppe Mancini (Jackson), Mario Laurentino (Sergente Wood), Ernesto Colli (Turner), Francesco Vairano (usciere), Michele Borelli (Groom), Andrea Bosic (John Douglas/ John McMurdo), Nino Pavese (McGinty).
L’ultimo dei Baskerville, pubblicato nel 1902, è una delle storie più famose di Conan Doyle, qui raccontata con alcune differenze soprattutto nell’antefatto, ma la sostanza rimane la stessa: a seguito della morte misteriosa di sir Charles Baskerville, il nipote Henry diventa unico erede delle sue ricchezze e arriva nella tenuta di Baskerville dall’America per prenderne possesso. Holmes e Watson, giunti sul posto dopo aver ricevuto l’invito di sir Charles, iniziano le indagini scoprendo che la vicenda coinvolge una leggenda di famiglia vecchia di secoli e un fantomatico cane demoniaco. Fingendo di lasciare il solo Watson in aiuto dell'erede Henry Baskerville, nipote della vittima, Holmes continua l'indagine individuando il colpevole in John Stapleton, un vicino in realtà discendente dei Baskerville che, conoscendo la malattia di cuore di sir Charles, gli ha scatenato contro un vero grosso cane provocandone la morte per attacco cardiaco e attuando poi lo stesso piano contro il nipote allo scopo di diventare l'erede della proprietà. Salvato sir Henry per un soffio, Holmes e Watson inseguono Stapleton ma l'assassino commette l'errore fatale di entrare nella palude della brughiera in piena notte non emergendone più. Con Franco Volpi (Maggiore Frankland), Paolo Carlini (Sir Henry Baskerville), Antonio Salines (John Barrymore), Adolfo Geri (Dottor Mortimer), Anna Maria Ackermann (Elisa Barrymore), Marina Malfatti (Beryl), Sergio Reggi (Sergente Reynolds), Franco Scandurra (John Stapleton), Michele Mattera (Richard), Marco Pasquini (soldato), Attilio Fernandez (Perkins).
Le reazioni
Lo sceneggiato andò in onda dal 25 ottobre al 29 novembre 1968 sul Secondo Canale, alle 21:15. Avrebbe dovuto debuttare l’11 ottobre ma all’ultimo momento un cavillo contrattuale con gli eredi di Conan Doyle bloccò la messa in onda, slittando così al 25. All’epoca il giallo era un genere molto seguito dagli spettatori italiani – andavano forte il tenente Sheridan con Ubaldo Lay, Le inchieste del commissario Maigret con Gino Cervi, e da lì a poco avrebbe debuttato Nero Wolfe, con Tino Buazzelli – ma questo Holmes non entrò esattamente nel cuore del pubblico. Una lettera di uno spettatore, ad esempio, lamentava: “l’eccessiva lentezza, la suspense diluita in disutilissime lungaggini, i melensi complimenti reciproci fra Holmes-Gazzolo e Watson-Bonagura, tutto l'episodio conclusivo è stato guastato dalla recitazione nevrotica, quasi isterica dell'attore che impersonava l'ispettore di polizia”. Le altre sono su questo tenore, e i quotidiani non furono teneri. La Stampa del 9 novembre 1968, annota su La valle della paura: “è una storia lenta, diluita, che al lettore di oggi risulta quasi insopportabile. Comunque, con tutti i suoi gravi difetti, era un impianto nient’affatto disprezzabile, con un meccanismo che, depurato dai florilegi di un vecchio stile di sapore decadente e da divagazioni e disquisizioni inutili, si rivela piuttosto ben congegnato”; dopo averso visto Il mastino di Baskerville, il recensore finalmente rimane soddisfatto e il 16 novembre scrive: “L'avvio è stato impeccabile, come giallo (…) Bisogna dire che questa sequenza era molto ben realizzata, con un senso abile di suspense che ne «La valle della paura» avevamo atteso invano per tre puntate. Ma anche dopo, salvo un paio di brevi cadute qua e là, il ritmo s'è mantenuto soddisfacente. Il dialogo a tre (Carlini, Gazzolo e Bonagura) è andato in crescendo e il finale del capitolo con l'ululato agghiacciante dell'ignoto mostro, e col servo sorpreso a fare segnali, e Sherlock Holmes che insegue un individuo nella landa e che per poco non ci rimette la pelle, infilzato da un pugnale, era teso e condotto col gusto del classico racconto del terrore. (…) Nando Gazzolo ci è sembrato meno professorale e Gianni Bonagura meno stupefatto”. Le critiche dell’epoca hanno comunque fatto il suo tempo, al di là del contesto storico degli sceneggiati Rai che non brillavano per ritmo ma ricambiavano in grandezza d’attori e confezione, e oggi lo Sherlock Holmes di Gazzolo è fra i più ricordati negli attori non anglosassoni che si sono cimentati in questo non facile ruolo.
Dietro le quinte
Edoardo Anton si approcciò al copione con il cruccio fondamentale di quale taglio dargli. “L’ostacolo maggiore ad una trasposizione di Sherlock Holmes per la televisione italiana era rappresentato dall'elemento più valido dell’epoca di Conan Doyle: il suo personaggio principale; che, proprio perché era assai tipico e controcorrente per la sua epoca, oggi ci è terribilmente lontano. Oggi l'ideale di Uomo per il Mito è esattamente l'opposto di Sherlock Holmes: è James Bond. E per contro l'ideale, non da mitizzare, ma per riconoscervisi, è il famigliare Maigret: grosso, comune, simile ai mille uomini della strada, tutto birra, salsicce e domenica alla osteria fuori porta con la «sua Signora». In quale modo la gente di oggi potrebbe accettare un tipo quale Sherlock Holmes, inventato da un baronetto dell'Ottocento inglese, che gli presta senza volerlo le deformazioni e i pregiudizi della sua casta? Holmes agli occhi del nostro lettore moderno appare decadente o «dannunziano», molto presuntuoso e un po' ridicolo, semplicistico, monotono nei metodi, molto fumo intellettuale e poco arrosto poliziesco, con una fortunaccia indecente nel trovare sempre, al momento giusto, la zacchera di mota conosciuta o il mozzicone di sigaro speciale o il tatuaggio rivelatore. E sopra tutto non gli sarà perdonato il suo non giustificato isolamento sentimentale, il suo disprezzo per le donne: all'occhio di oggi, un uomo simile è antipatico o sospetto. Comunque, in entrambi i casi, un eroe da rifiutare. D'altra parte, la straordinaria fama del Personaggio, l'epoca e il luogo (quella, anche letterariamente, favolosa Londra fine ‘800) sono indubbiamente elementi di fascino spettacolare che non vanno sottovalutati o buttati via alla leggera. Per tali contrastanti ragioni, accingendomi alla trasposizione televisiva di Sherlock Holmes, pensai sulle prime che la miglior soluzione fosse quella di insistere sui difetti del personaggio, rilevandoli satiricamente anziché nasconderli e smussarli, e presentare al pubblico un Holmes in chiave leggiadramente farsesca”.
Fortunatamente Anton cambiò totalmente idea dopo aver visto (o saputo, poiché si cita una serie televisiva inedita in Italia) il telefilm della BBC del ’65 interpretato prima da Douglas Wilmer nel ruolo principale, e poi
Da Peter Cushing. “Questa nuova linea della BBC mi convinse”, scrisse Anton. “Modificando la mia prima decisione, anch'io dunque avrei insistito sul clima alla Poe ogni volta che se ne offriva l'occasione, per dare a questa serie un suo carattere che la distingua fortemente da altre poliziesche di successo, ad esempio quella di Maigret; e per puntellare con altro colore l'oggi debole giallo di Conan Doyle. Come nelle precedenti versioni si era messo il rosa, il comico, accanto a quel giallo, io avrei messo il nero. Inoltre avrei prosciugato il personaggio di Sherlock Holmes non solo degli svolazzi esteriori ma anche di molti interiori. Gli avrei tolto parte di quell'ingenua vanità da filodrammatico che tende a far colpo, che vuole stupire, gli avrei tolto naturalmente la siringa per iniezioni e di conseguenza quel decadentismo estetizzante, e quel suo ostentato disprezzo per le donne. Non dico — con questo — che ne ho fatto un dongiovanni: sarebbe stato uno snaturarlo. Ma non ho toccato il problema. Holmes è uno scapolo e vive solo. Ecco tutto. Mi basta aver eliminato la inutile (e sospetta) polemica contro le donne”.
Misoginia, droga, supponenza sparirono da questa trasposizione italiana, con pace per i severi censori della Rai dell’epoca.
Come si è detto prima, la lavorazione si è svolta nell’estate del 1968 fra Napoli e Londra. Annota Il Radiocorriere Tv in un articolo dell’epoca:
“Il regista Morandi, che un anno fa in Inghilterra diresse il film L'oro di Londra, ha scelto per ambientare le avventure di Sherlock Holmes due castelli della contea di Norfolk — a 170 miglia da Londra — con caratteristiche totalmente differenti: sinistro, desolante quello di Oxburg Hall per La valle della paura: e accogliente, ricco e vasto quello di Blickling Hall per ll mastino dei Baskerville. La troupe televisiva di Morandi ha trascorso più di un mese in Inghilterra, dove sono stati girati più di 10 mila metri di pellicola, equivalenti al materiale necessario per un paio di film. «Si è fatto in un mese», insinua Carlini, «un lavoro per cui la gente del cinema avrebbe impiegato sei mesi, perché a Cromer, dove risiedevamo, gli unici luoghi allegri, con dei fiori, erano i cimiteri! Si viveva ossessionati dalla luce e dalla solitudine: il sole calava alle 11 di sera e gli alberghi erano senza tapparelle! E già alle 8 di sera non c'era anima viva per le strade. Gli spaghetti poi ce li servivano con un sugo dolciastro di frutta». Il primo a portare a termine la sua fatica è stato Roby, il terribile mastino. «Un animale eccezionale», dice Morandi, «di un'intelligenza rara, che alla fine non ubbidiva più all'istruttore, ma a me. Scattava appena ordinavo “Motore, azione!”».
Poi il mastino e Sir Henry, lontano dal set, sono diventati amici. «Robv si è rivelato docile fino a quando non è stato preso a revolverate», interviene Bonagura, «c'era una scena in cui io, Watson, dovevo sparargli contro, ma senza colpirlo, perché questo onore è riservato alla mira infallibile di Sherlock Holmes. Ebbene Roby si è ribellato. Personalmente mi sentivo protetto dalla presenza, alle mie spalle, dell'istruttore; non altrettanto sicuro si è invece dimostrato il sergente Raynolds, cioè Sergio Reggi, il quale ha preferito darsi alla fuga!».
La realizzazione de II mastino dei Baskerville è stata per la troupe una serie di corse al brivido. Lo stesso Paolo Carlini è rimasto vittima di una caduta da cavallo mentre al galoppo si recava all'appuntamento in un bosco con Beryl (Marina Malfatti). L'incidente ha successivamente indotto il regista a far ripetere la scena con l'innamorato su un più sicuro calessino. Ben più spaventevole per l'attore romagnolo, che non aveva voluto ricorrere alla controfigura, è stata la scena dell'aggressione da parte del terribile mastino: «Quando mi è saltato addosso, Roby ha spezzato con un morso il bastone che tenevo in mano per proteggermi il volto. Tempestivo è stato lo “stop” di Morandi! La scena non l'ho ripetuta: non mi sembrava proprio il caso di scherzare ulteriormente con Roby, che per l'occasione era stato aizzato». In questo giallo della serie di Sherlock Holmes, oltre a dar vita all'ultimo rampollo della dinastia dei Baskerville, Paolo Carlini impersona anche il vecchio Sir Charles, un uomo che ha fatto fortuna nelle Indie e che ha un grosso sfregio sul volto. Ed è Sir Charles la prima vittima del mastino che il pubblico vedrà sui teleschermi”.
Il ricordo di Nando Gazzolo
Nel 2010, intervistato da Alessandra Calanchi, docente di lingue e letterature angloamericane all'Università di Urbino, l’attore ricordò: “l’esperienza è stata bellissima, ma più per aver scoperto Sherlock Holmes, perché in realtà io lo conoscevo di fama, ma non avevo letto neppure un libro, quindi per me la lettura è stata affascinante e bellissima; e poi capitare proprio in Inghilterra nei luoghi di Sherlock Holmes, bè, è stato emozionante, molto, molto emozionante. Sono stato molto felice di farlo, anche se io non sono affatto Sherlock Holmes caratterialmente, perché il motto di Sherlock Holmes è “osservare, concatenare e dedurre”: io non sono un bravo osservatore perché sono molto distratto. Quindi al contrario, non posso concatenare e nemmeno dedurre, perché se non osservo tutto il resto non funziona più̀: invece lui è un personaggio meraviglioso perché c’è questa intelligenza superiore alla media che lo rende così affascinante. Mi piace essere in certi momenti, o meglio, mi è piaciuto, essere come Sherlock Holmes, perché ha questa intelligenza superiore, che io non ho (ho un’intelligenza normale): un’intelligenza veramente superiore alla media, se no non riuscirebbe a risolvere certi casi. Lui li risolve perché ha un’intelligenza superiore alla media, e mi sentivo così importante anche io: «ah, come sono intelligente!»”.
Nel ’99, in una intervista telefonica, parlò invece delle riprese in Inghilterra: “Ricordo che girammo gli esterni nell'East England. Mi piacque moltissimo la campagna inglese. Ne rimasi innamorato. Credo che il clima sia il principale responsabile di quei prati verdi, di quelli scorci indimenticabili che ancora ricordo. Io vivo in campagna, amo la campagna, ma di quella inglese mi infatuai. Non ricordo precisamente il nome del luogo. La scelta delle zone dove girare può differire dalla originale in cui si sono svolti i fatti, e questo per varie ragioni. Bisogna guardare anche alla facilità di raggiungere i luoghi, alla vicinanza con posti "utili" per registrare. Si cercava un luogo dove ci fosse vicino un castello, una brughiera ed una pianura in modo da poter limitare gli spostamenti con la troupe. Ma ricordo che il castello dove girammo non andava bene. Un signore inglese mi fece notare che non era fedele alla storia. C'era la necessità di un fossato dove doveva sparire l'arma del delitto. Ma quel fossato non era adatto. Proprio un inglese che assisteva alle scene me lo fece notare. Ricordo invece la gentilezza e la cortesia degli abitanti del luogo. Se giravamo vicino ad una villetta, ad esempio, capitava spesso di essere invitati per una tazza di the. Ricordo anche che la stampa locale fu molto interessata al nostro lavoro. Fummo intervistati dalla BBC, se non erro, ed anche da alcuni giornali locali. Ricordo ancora il titolo di uno di questi «Giovane attore italiano interpreta SH». Allora ero giovane, beh, ero più giovane. Ma suscitammo un certo scalpore e nei giornali locali si dovrebbe poter trovare una traccia”.
Watson
“Un aspetto molto importante è costituito dai rapporti fra Holmes e il suo amico e collaboratore dottor Watson”, scrisse lo sceneggiatore Edoardo Anton in un articolo per Il Radiocorriere Tv. “Nelle versioni diciamo «comiche» delle Avventure di Sherlock Holmes era logico che Watson fosse la «spalla» sciocca da prendere in giro. Che questo atteggiamento sia divenuto un cliché è provato dalla famosa frase che Holmes dice spesso a Watson: «Elementare, Watson!». Chi non la conosce? Ebbene questa frase non è mai stata scritta da Conan Doyle. Non appare in alcun romanzo né nei racconti. È una espressione nata dalle versioni comiche altrui. Conan Doyle, al contrario, ha impostato il rapporto Watson-Holmes su di una franca amicizia reciproca e su reciproca stima. In più — è naturale — c'è in Watson grande ammirazione per il celebre amico, ma questi non sottovaluta né il buonsenso del suo collaboratore, né le sue generose qualità morali neppure la sua perspicacia anche se talvolta si diverte — lui, lo specialista — a fargli sotto gli occhi i suoi giochi di prestigio mentali. D'altronde Sherlock Holmes, se è un dilettante nell'esercizio dell'investigazione per ciò che riguarda il denaro (per quanto... di che altro vive?), si considera un professionista quale criminologo e non s'aspetta certo, su questo terreno specifico, che un medico possa stargli alla pari. Sarebbe quindi illogico che lo offendesse o lo prendesse in giro”.
Parlando di Bonagura e su come avesse costruito il personaggio di Watson, Gazzolo disse: “È stata un’esperienza molto bella, perché lui è riuscito a dare al personaggio un’intelligenza, quindi era un collaboratore di Sherlock Holmes, non era... invece tante volte lo si vede come un po’ passivo, uno che purtroppo non è intelligente e se non ci fosse Sherlock Holmes non avrebbe capito niente. Invece no, lui l’ha fatto intelligente: non come il suo grande amico, ma intelligente, comunque. E quindi il rapporto era più bello, perché era uno scambio di intelligenze: dove Sherlock Holmes ovviamente andava sempre oltre...”.
Bonagura, intervistato anche lui telefonicamente nel ’99, parlò soprattutto delle location: “Mi ricordo che un posto dove sicuramente abbiamo girato è Cromer. Se lei guarda su una carta lo trova a meno di cento chilometri da Londra. Ci stemmo una settimana, credo, girando in un castello dove avevano affittato alcuni locali. E poi nei dintorni per gli esterni. Per altri esterni abbiamo girato, per esempio, sul lago di Nemi. Non saprei dirle con precisione in che posto. Però evidentemente, o la vegetazione od in riva al lago qualche cosa poteva richiamare, poteva essere così ingannevole ed equivoco tanto da potersi usare come se fosse Inghilterra. Mi ricordo che girammo in estate perché ricordo che soffrivamo il caldo con i costumi, con i cappotti”.
Uno degli aspetti più interessanti di questo Sherlock Holmes, secondo me, è che gli interpreti principali erano due eccellenti attori e doppiatori: poiché la scuola all’epoca era il teatro, gli attori erano tutti dotati di una bella, carismatica o caratteristica voce. E su questo aspetto, segnaliamo due ulteriori contributi nel mondo di Holmes da parte di Bonagura: prestò la voce a Marty Feldman nel personaggio del Sergente Orville Stanley Sacker, specie di Watson minore nel film parodia di Gene Wilder Il fratello più furbo di Sherlock Holmes (The Adventure of Sherlock Holmes' Smarter Brother, 1975), e a Peter Cushing nel film tv La maschera della morte (1984), in una storia apocrifa di Sherlock Holmes. Gazzolo, invece, fu chiamato per prestare la voce all’attore inglese Lance Percival in Concerto per pistola solista (1970), “stracult” di Michele Lupo, nel quale interpretava un commissario di Scotland Yard: nel doppiaggio non a caso ripete spesso “elementare, elementare” e ha un tono alla Holmes…
Dove vederlo
La Fabbri Editori pubblicò una lunga collana di DVD dedicata agli sceneggiati di genere giallo prodotti dalla RAI, incluso ovviamente Sherlock Holmes, nel 2009. Nel 2013, è la stessa Rai ad aver pubblicato un cofanetto di due dischi, oggi ancora in catalogo. Ma più facile cliccare qui: https://www.raiplay.it/programmi/sherlockholmes-losceneggiato
Fonti bibliografiche
Edoardo Anton, Il professore che batté Scotland Yard, Radiocorriere Tv, n. 31 del 28 luglio-3 agosto 1968.
Ernesto Baldo, Brividi fuori programma per girare Sherlock Holmes, Radiocorriere Tv, n. 41 del 6-12 ottobre 1968.
Gianluca Salvatori, Al telefono con Sherlock Holmes, The Strand Magazine, n. 3, dicembre 1999 (http://www.unostudioinholmes.org/telefono.htm).
mercoledì 27 settembre 2023
Sherlock Holmes nel cinema muto italiano
NB: in alcuni film il titolo storpia il nome di Sherlock Holmes in Sherlok, sicuramente un espediente per evitare noie per i diritti, o un plausibile e costante errore ortografico.
NB2: Nell'autorevole libro Sir Arthur Conan Doyle at the cinema (1996), di Scott Allen Nollen, viene riportato il film The Flea of the Baskervilles (1915) come produzione italiana, ma era in verità il tedesco Der Floh von Baskerville, prodotto dalla Luna Films.
NB3: il film muto più noto di Sherlock Holmes, interpretato da William Gillette nel 1916, nonostante alcune fonti lo indicano distribuito da noi, è in verita inedito in Italia. E' stato proiettato durante le Giornate del cinema muto di Pordenone nel 2015, in seguito al clamoroso ritrovamento di una copia francese, avvenuto l'anno precedente.
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Un rivale di Sherlock Holmes (1907). Prodotto dalla Ambrosio (Torino), 165 metri. Film perduto di cui si sa veramente pochissimo. Il film è però uscito negli Stati Uniti, dove ha ricevuto anche una recensione favorevole (“Numerose le scene emozionanti e gli scontri fisici. Un soggetto sensazionale di superbo effetto drammatico, senza caratteristiche discutibili”, The Moving Picture World, 2 maggio 1908).
Il piccolo poliziotto (1909), prodotto dalla Itala Film, è noto anche come Il piccolo Sherlock Holmes. È un film di genere drammatico dove è presente vagamente lo spirito investigativo di Holmes nel personaggio del figlio di un viaggiatore rapito da due briganti in cambio di un riscatto (la cifra riportata è di diecimila lire: sono quarantaduemila euro odierni!). Il giovane trova il covo dei briganti, li affronta uccidendoli con un fucile e libera così suo padre.
Fricot emulo di Sherlok Holmes (1913), con Armando Pilotti (Fricot). Prodotto dalla Ambrosio (Torino), 205 metri. Il personaggio di “Fricot” fu inventato nel 1910 dall’attore Ernesto Vaser (Torino, 1876-1934), piccolo di statura, un po' corpulento, ma agile, per la casa di produzione piemontese Ambrosio. Nel febbraio del 1912 Vaser lasciava l’Ambrosio per l'Itala, dove avrebbe impersonato un altro analogo personaggio, Fringuelli, e, a quanto pare, venne sostituito nella serie di Fricot da Armando Pilotti e da Cesare Gravina. La comica è andata perduta.
Krì Krì contro Sherlok Holmes (1915), con Raymond Frau nel ruolo di Krì-Krì. Prodotto dalla Cines, 125 metri. La disfatta di Sherlok Holmes o Krì-Krì sconfigge Sherlok Holmes (1915), con Raymond Frau nel ruolo di Krì-Krì. Prodotto dalla Cines, 145 metri.
Rodolfi emulo di Herlock Sholmes (1915), con Eleuterio Rodolfi. Prodotto dalla Ambrosio (Torino), 1050 metri. Film perduto.
Il bolognese Eleuterio Rodolfi (1876-1935), dopo una lunga attività teatrale, trovò la sua strada quando Arturo Ambrosio lo scritturò per il cinema, facendolo diventare subito popolare in una miriade di comiche e brevi commedie dove tratteggiava una lepida figurina di elegante e spesso sfortunato dongiovanni. Realizzatore oltre che attore, lavorò molto spesso in coppia con Gigetta Morano e con Emma Veda. Dal 1913 Rodolfi partecipò anche alla direzione artistica dello stabilimento Ambrosio, occupandosi soprattutto del settore comico e brillante.
Camillo emulo di Sherlok Holmes (1921), con Camillo De Riso. Prodotto dalla Caesar-film (Roma), 1050 metri. Film perduto.
Camillo De Riso (1854-1924), aveva alle spalle una carriera teatrale quan-do, nell'ottobre del 1912, venne assunto all'Ambrosio di Torino. Qui formò con Gigetta Morano ed Eleuterio Rodolfi un trio comico di successo, ma fu solo quando passò alla Gloria, alla fine del 1913, che egli poté lanciare un personaggio tutto suo. Camillo, allegro buongustaio e impenitente libertino. Nella seconda metà degli anni Dieci fu anche regista di qualche opera di maggior impegno, come Spiritismo (1919), con Francesca Bertini.
Saetta più forte di Sherlock Holmes (1921), con Domenico Gambino (Saetta). Prodotto dalla Saetta-film (Torino), 1590 metri. Conosciuto anche come Saetta contro Sherlok Holmes.
Nel castello di Changeloup viene rapita la cagnetta della baronessa, un pechinese di nome Rirì. Accusata di scarsa sorveglianza, viene licenziata una cameriera, anch'ella di nome Rirì. La baronessa incarica due poliziotti privati, Sherlock e Holmes di ritrovare la preziosa bestiolina, ma i due non vengono a capo di nulla. Attratto dalla ricompensa di cinquemila lire, inter-viene Saetta, che dopo mirabolanti peripezie ritrova il cagnolino, ma chiede, oltre ai soldi, an-che la riassunzione dell'innocente cameriera. Intascato il premio di cui non sa che fare, capita in un istituto di trovatelli, gioca con loro e consegna i soldi al direttore dell'Istituto, perché li impieghi a favore dei piccoli. E ritorna alla sua solita vita di generoso vagabondo. (Aldo Bernardini, Il cinema muto italiano, 1921, Bianco e Nero, Nuova Eri, 1996, pag. 290).
Domenico Gambino, altro piemontese (1890-1968), aveva iniziato all’Itala Film nel 1910 come comparsa nella serie di Cretinetti (André Deed); passò all'Ambrosio Film nel 1916 come attore-regista e poi alla Pasquali Film. Due anni dopo fondò una propria casa cinematografica, la Delta Film, e nel 1920 fu interprete di un nuovo personaggio dal nome Saetta, trasformando la stessa Delta in Saetta Film. In seguito, Gambino rimarrà dietro la cinepresa anche nel cinema sonoro: nel 1949, ad esempio, girerà Torna a Napoli, che segnò il debutto cinematografico di Nino Manfredi.
sabato 16 settembre 2023
Laurel & Hardy: Year One - una recensione
Oserei definire questa uscita epocale: nel 2020, in pieno lockdown, la Blackhawk Films ha intrapreso il progetto fondamentale di recuperare i materiali migliori nel mondo e restaurare, ma dovrei dire anche ricostruire, i film muti di Stanlio e Ollio. Il periodo dei “silents” comprende 34 titoli dal 1921 al 1929, anzi 33 se escludiamo Hats Off, l’unico interamente perduto della loro filmografia. Essendo film vecchi di 96 anni (e nel caso del primo film, 102!), e i loro film bistrattati da altrettanto, non è stato per nulla facile come lavoro.
Ma per arrivare a tutto questo, anche Indiana Jones si sarebbe sparato un colpo in testa. I muti di Laurel e Hardy girati nel 1926-27, erano prodotti da Hal Roach per la Pathé, mentre gli altri dalla MGM: il passaggio fra le major coincise con il crescente successo della coppia dando ai due gruppi di film un percorso differente. I film pre-coppia furono distribuiti “contro” quelli in coppia, e finirono distribuiti per lanciare Stan e Oliver nonostante non fossero un duo ufficiale: avuto il successo iniziale, sparirono a favore di quelli in coppia, e soprattutto sonori, come è testimoniato in Europa e in Italia. I muti così finirono in un oblio a cominciare dal 1931-32, con le ultime compilation che li conteneva.
Come scrive Richard Bann in un dossier sulla preservazione dei loro film: “selezionando i nitrati in decomposizione che voleva utilizzare su pellicola di sicurezza, le preservò. Youngson copiò, tuttavia, solo ciò che desiderava estrarre per il film che stava girando. Salvò quindi solo il filmato di Battle Of The Century che incluse nel suo film antologico. Aveva la possibilità di conservare l'intero film o fare una fine grain, cioè una copia 35mm ripulita dalla grana, ma il suo licenziatario, gli Hal Roach Studios, non fece nulla. Non molto tempo dopo che Youngson ebbe estratto ciò che gli serviva dalla bobina n.2, che era un riassunto del filmato del combattimento con le torte, il resto della bobina si decompose mentre era sotto la custodia di Bonded Storage a New York, fu scartato e poi buttato via” (fu ritrovato al Museum of Modern Art parecchi decenni dopo).
Ma visto il successo ottenuto da questi film che erano invisibili da molti anni, e l’interesse che aveva suscitato la prima biografia della coppia pubblicata da John McCabe nel ’61, i dirigenti Roach siglarono degli accordi per il mercato casalingo in forte crescita nei formati 8mm e 16mm. E qui entra in gioco la Blackhawk Films.
Non sempre i titoli muti furono restaurati come si deve, a parte eccezioni di copie ben messe come quelle di Big Business o Double Whoopee, perché i negativi, nel frattempo, erano in gran parte rovinati o, peggio, da buttar via. Quando nella metà degli anni Novanta si lavorò ad un primo vero restauro dei silents, si dichiarò che la prima fonte utilizzata era l’originale negativo in 35mm, ma alcuni titoli, proprio quelli del 1926-27, erano sopravvissuti grazie alle copie casalinghe in Super 8 o in 16mm. Usciti nel 1999-2000 nella serie chiamata “Lost Films of Laurel and Hardy”, questi dvd restituirono, nel limite delle tecnologie di venticinque anni fa, le copie migliori in circolazione.
E siamo così arrivati alla mia recensione. Se siete sopravvissuti alla lettura fino a questo momento, ve ne sono grato, perché era fondamentale fare questa premessa ad una storia poco raccontata. Bromberg e il suo staff sta attualmente lavorando alla restante produzione muta del ’28-’29, e ogni nostro supporto servirà alla realizzazione dei prossimi due cofanetti in blu-ray. A proposito, potete comprarlo qui, ed è multi-regione.
Alla luce di tutto questo, ogni cosa che sappiamo e che abbiamo scritto sui film muti di Laurel e Hardy possiamo ritenerla roba vecchia. Sembra davvero di vederli per la prima volta, perché il restauro ci riporta a come erano effettivamente queste copie quando uscirono nelle sale, e ci fa apprezzare quello che ci era sfuggito dalle performance degli attori. Questa sensazione è più forte in questi film del periodo iniziale, perché erano quelli dalle condizioni peggiori. E ho rivisto questi film dandogli un giudizio diverso, in alcuni casi, note che condivido con voi. Nel documentario con Bromberg, interessante nota su come i film si sono rovinati in neanche cinque anni dal recupero di Robert Youngson (con un esempio eclatante di Putting Pants on Philip), ma avrei voluto qualche dettaglio in più sul processo di restauro. Belle le musiche. Al restauro effettuato assieme a Éric Lange, ogni corto ha il prezioso commento audio di Randy Skretvedt. Per dare un'idea del risultato, ho messo a confronto un fotogramma attuale con i materiali usati nel 2000 per la serie "Lost films" in Dvd, basta cliccare per ingrandire l'immagine.
The Lucky Dog è completo nei limiti del possibile, immagine un po’ sporca ma la più nitida che io abbia mai visto di questo film. Diversi i fotogrammi recuperati.
L’incontro fra Stan e Oliver in questo film è, credo, una delle casualità più straordinarie mai successe nella storia di Hollywood. Il produttore cercò di lanciare Stan come comico girando una comica pilota, così chiamò un suo regista amico che si portò con sé un attore amico bravo nelle parti di cattivo, di nome Oliver Hardy.
Duck Soup, finalmente intero, si fa apprezzare maggiormente come comica, la qualità è davvero ottima. Rivedendolo con la famosa sequenza censurata (assente dalle copie americane) devo dire che si incastra male nella storia, però dal punto di vista del restauro non possiamo lamentarci.
Slipping Wives, non mi sono mai spiegato perché Hardy fosse così violento con Stan; comunque, copia spettacolare, calcolando che in precedenza le copie erano così mal messe che non riuscivamo a vedere bene i volti degli attori (una copia Rai, era imbarazzante). Come film, una mezza cretinata. Non ricordavo che la gag finale del poliziotto colpito al sedere dal fucile è la stessa che si vede in Noi siamo le colonne.
Why Girls Love Sailors, è un titolo che è passato ad essere un film perduto a film che si vede uno specchio. Forse qualcosa si è perso per sempre, ma poco male, il restauro riporta i dettagli del volto di Oliver Hardy e i suoi comicissimi sguardi. Non c’entra nulla, ma a parte qualche gag, questo film è davvero mediocre.
With Love and Hisses, un restauro pauroso. Ho impressione che nella scena del bagno fossero davvero tutti nudi come vermi, ma guardando bene gli attori indossano un costume da bagno. Non c’è molta storia, ma tanto slapstick, cadute, ecc., e uno Stan parecchio effeminato.
Sailor’s Beware, finalmente si valorizza Anita Garvin come attrice comica, e Stan e Babe iniziano a interagire con maggior frequenza. La comicità è piuttosto rozza – Stan che spinge il nano in carrozzina sulle scale oggi porterebbe la gente in piazza per protesta – ma c’è un ritmo veloce. Copia ottima, in certi punti la nitidezza sorprende visto che questo film girava sempre in copie rovinate. Alcuni intertitoli sono stati messi finalmente nei punti giusti.
Do Detective Think?, anche se non ancora coppia fissa, Stan e Babe sembrano, come era accaduto con Duck Soup, essere nati per recitare insieme. Non credo ci sia stata molta casualità negli abiti, e rivedendo Sailors dopo questo, chiunque si sarebbe accorto che Stan e Babe funzionavano benissimo.
La copia è splendida. Era uno dei muti che si vedeva peggio. Ed è un vero spasso. Non mi ero mai accorto che quando i due prendono i sigari e strappano la punta, Ollie la sputa, Stan la ingoia. Come ha scritto Randy Skretvedt su Facebook: “L'unica omissione di cui sono a conoscenza è una *molto* breve inquadratura di Viola Richard che cammina verso la porta d'ingresso, che esisteva solo in una fonte talmente scadente che includerla sarebbe stato stridente e avrebbe portato lo spettatore fuori dalla storia e quindi consapevole della qualità della stampa. La durata è di circa due secondi, quindi non si tratta di una perdita grave”.
Flying Elephants, se la memoria non mi inganna, le copie sopravvissute erano 16mm. Il quadro ora è così completo da farmi notare il tizio della troupe che tira i pesci alla destra di Stan mentre lui pesca dentro l’acqua. Copia ottima.
Sugars Daddies, copia nitida quanto graffiata, perché come il precedente film è stata una operazione “Frankenstein” di copie per renderlo intero. Ad un certo punto la combinazione tripla “Fin-Stan-Babe” deve aver convinto Roach a farne un vero team, ma mescolando situazioni già viste in Love ‘em and weep e Slipping Wives la noia prende il sopravvento, poi dalla fuga fino all’arrivo al Luna Park, il film prende la piega giusta a “due”; e in questo caso allo Studio si sono detti, facciamogli fare coppia di nuovo, e vediamo come risponde il pubblico.
The Second Hundred Years, è tornato finalmente in “vita” con sequenze recuperate e mai viste prima, soprattutto quelle in apertura e quelle in “tinta” blu con la gag del poliziotto che cade di faccia sulla vernice. Il film non è così esilarante come si ricordi, ma la prima parte vale il prezzo del biglietto.
Conclusione, il periodo 1926-27 era lo zoccolo duro della conservazione dei loro film. Hanno fatto davvero il possibile, e i graffi visti i 96 anni di età di questi film possiamo anche sopportarli. Ed è incredibile i passi avanti fatti dalle tecnologie di restauro dal 2000, anno dei “lost films”, ad oggi.
Ringrazio per la collaborazione Valerio Greco, Benedetto Gemma, Stefano Cacciagrano.