lunedì 7 giugno 2021

Anche le divinità impazziscono

Una bottiglia di coca cola cade dal cielo e finisce tra i piedi di un gruppo di boscimani, in Sud Africa. La curiosità e stupore iniziale della tribù si scatena velocemente in un’inventiva di utilizzo fino a cadere nell’avidità per l’oggetto misterioso e infine una rissa fra loro. Creduto come un oggetto donato dagli dei, Xi, il capo tribù, decide di sbarazzarsene per allontanare l’oggetto malvagio e cammina fino alla fine del mondo. E’ questa la breve trama di un film assolutamente folle come The Gods Must Be Crazy, scritto, diretto e prodotto dal cineasta africano Jamie Uys e sorpresa nelle sale di quel continente nel lontano 1980, di cui oggi voglio ricordare pregi, difetti e storia.
E’ stato un puro caso averlo rivisto grazie a Disney +, risvegliandomi il ricordo impolverato di averlo visto in televisione da bambino (ho dovuto controllare su RadiocorriereTv, non spaventatevi della mia memoria, ma era il 21 settembre 1993, data della prima messa in onda su Italia 1), e di aver riso tantissimo. 

E’, in effetti, un film divertente e dalla comicità elementare, e averlo visto oggi con gli occhi da adulto ho apprezzato maggiormente lo stile e il ritmo, nonostante, è ben ribadirlo, non si tratta di un capolavoro nascosto o di un gioiello comico assoluto. Ma le premesse generali sono interessanti, e il risultato non è per niente disprezzabile. Prima di tutto, il regista Jamie Uys, ex professore di matematica con la passione per il cinema comico, ha scritto questo film dopo essersi innamorato della tribù “San” durante le riprese di un suo documentario del 1974 dal titolo Animals Are Beautiful People. In effetti il film è concepito a metà strada fra il documentario – per la scoperta del vetro per i boscimani – e la fiction, con le frenetiche persone che Xi incontra sulla sua strada, come il biologo Andrew Steyn, l’assistente e meccanico di Steyn, M’pudi, Kate Thompson, un’insegnante in un villaggio sperduto, e alcuni terroristi pasticcioni. La storia ha molte ingenuità, ma il tema principale è il pericolo della vita industriale: durante il lungo viaggio Xi, affamato, uccide una capra per mangiarla ma viene scoperto da un soldato che lo arresta e lo fa condannare per omicidio di capretta. Steyn e M’pudi lo fanno scarcerare e lo utilizzano come aiutante, insegnandogli persino di guidare la loro jeep, con risultati comici. La maestra Kate intanto viene rapita con la sua classe dai guerriglieri e portata in un paese vicino, ma Steyn utilizza le abilità straordinarie di Xi come cacciatore e gli fa addormentare i terroristi per liberare i prigionieri. Steyn, imbranato con le donne, riesce finalmente a dichiararsi a Kate, mentre Xi, giunto alla fine di un dirupo che lui crede essere la fine del mondo, getta la bottiglia nel vuoto e torna alla sua famiglia.

Xi era interpretato da Nǃxau, scovato dal regista dopo tre mesi di ricerche. Prima di lui, Nǃxau non pensava che al mondo ci fossero così tanti bianchi, né aveva mai visto un aereo come quello che lo portò sul set; a quanto riportato da Jamie Uys, non rimase così impressionato, ma nella camera d’albergo continuò a dormire in terra invece di usare il letto, comodità a lui sconosciuta. Aveva, bisogna dirlo, un talento comico naturale. Uys, cresciuto con il cinema di Buster Keaton, Stanlio e Ollio e Charlie Chaplin, lo inserisce in situazioni comiche classiche, degne del muto, con inseguimenti velocizzati e gag visive legate al suo stupore e al candore delle sue azioni. Secondo alcune fonti, non conosceva il valore del denaro, si accontentò di 300 dollari giusto per far contenta la produzione ma, a quanto pare, quando negoziò il secondo film (The Gods Must Be Crazy II, 1989) chiese e ottenne mezzo milione di dollari. Al tempo delle riprese Nǃxau non aveva più di 36 anni, per quanto fosse difficile calcolare la loro data di nascita, e come tutti i boscimani avevano un curioso modo di parlare, con un “clic” continuo: sono ben 21 quelli di una conversazione. Per risolvere il problema in fase di post-produzione, al film fu aggiunto un ironico commento off mentre gli altri attori africani vennero doppiati in inglese. Jamie Uys dovette impiegare ben quattro anni – fatica che gli costò due infarti – per trovare i fondi, e girare il film impiegando la troupe in un giro di ben 50,000 chilometri in tre mesi di riprese. Alcune difficoltà nacquero da ripetere alcune gag da cinema muto con Marius Weyers (nei panni di Andrew Steyn) e Sandra Prinsloo (Kate Thompson) in condizioni climatiche proibitive: tuttavia questo scatenò la fantasia del regista, come la scena divertente del percorso con la Land Rover senza freni bloccata con dei sassi per permettere l’apertura di un cancello, o la buffa guida in retromarcia di Xi. Oltre alle gag alla Ridolini, ci sono anche l’apartheid, la lotta sanguinaria per le ricchezze africane, ma nessun razzismo, come qualcuno all’epoca fece notare senza troppe ragioni (pure se è ovvio pensare che i boscimani, come molte altre tribù africane, non fossero in realtà così sorridenti come si vede nel film).

The Gods Must Be Crazy
uscì in Africa nel settembre del 1980 e, a quanto pare, nel giro di quattro giorni il film ha battuto ogni record al botteghino in ogni città del Sud Africa, e il distributore lo vendette a 45 paesi con sorprendente successo. Nel 1982 diventa il campione al box office giapponese, e nello stesso anno esce in Italia col titolo azzeccato Ma che siamo tutti matti? aggiungendo, al commento off, la voce del comico Paolo Villaggio. La Titanus distributrice non ha però fortuna, e lo rimette sul mercato nel 1985, cavalcando l’onda dei film demenziali che stavano spopolando in tutto il mondo, facendo stavolta centro anche al nostro botteghino. Le recensioni sono anche buone. Giovanni Grazzini sul Corriere della sera scrisse il 10 marzo 1982: “Con humour, intelligenza e freschezza, la regia del danese Jamie Uys narra le pazze e Irrealistiche esistenze dei diversi primi attori assolutamente dissimili tra loro per scelte e valori, ma tutti ben ancorati all'ordito di un apologo. Vera protagonista della storia corale è l'Africa dei grandi squilibri, dove una bottiglia di vetro può ancora generare meraviglia e scatenare quel senso del possesso per il quale l'uomo lotta e intreccia alleanze. La regia apparentemente naif asseconda e concilia tra loro la recitazione del carismatico boscimano e quella degli attori professionisti cui si aggiunge la colorita voce del narratore Paolo Villaggio”. 

Nell’ottobre del 1984 esce negli Stati Uniti per la 20th Century Fox e diventa il film straniero di maggior incasso sul mercato americano. Roger Ebert del Chicago Sun-Times concluse la sua recensione così: “Potrebbe essere facile fare una farsa sugli eventi folli nel deserto, ma è molto più difficile creare una divertente interazione tra la natura e la natura umana. Questo film è un piccolo tesoro”.

L’inevitabile – ma sempre non facile da realizzare – sequel arrivò nel 1989, The Gods Must Be Crazy II (titolo italiano, Lassù qualcuno è impazzito). Jamie Uys stavolta gira un film co-prodotto dagli americani e africani e ottiene la distribuzione dalla Columbia Pictures. La trama ruota nuovamente su gag fisiche e su quattro storie: Xi, ora ribattezzato Xixo, deve trovare i suoi due bambini smarriti, due bracconieri di zanne di elefante viaggiano sulla loro strada, mentre uno zoologo e un’avvocatessa si perdono nel deserto, e due soldati lottano fra di loro. Smarrita la sorpresa per il nuovo mondo, il film è meno originale ma le risate non mancano – una scena con un piccolo aeroplano è da antologia – continuando sulla antropologica idea dell’uomo incapace di adattarsi ad una natura che non conosce. Nonostante abbia avuto molto meno successo, furono girati tre seguiti (inediti in Italia): Crazy Safari (The Gods Must Be Crazy III) (1991), Crazy Hong Kong (The Gods Must Be Crazy IV) (1993) e The Gods Must Be Funny in China (The Gods Must Be Crazy V) (1994).
Nǃxau, senza cambiare molto il suo stile di vita, terminerà la sua rocambolesca vita per tubercolosi nel 2003, all’apparente età di cinquantotto anni.

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