mercoledì 6 novembre 2013

La voce del popolo: Gigi Magni

Complice il fatto che il suo ultimo film, La carbonara, uscì nel 2000 con così poche copie che sparì velocemente dalla circolazione, e la sua ultimissima opera, La notte di Pasquino, andata in onda su Canale 5 nel lontano 2003, è stata allegramente dimenticata negli archivi, di Luigi “Gigi” Magni non si ricordava più nessuno. Lui, classe 1928 e romano di Roma, era stato un validissimo sceneggiatore, prima nei Caroselli e poi nelle commedie di Giorgio Bianchi, Camillo Mastrocinque, Lattuada, Lizzani, autore anche, scusate se poco, di “Rugantino”, portato in scena per la prima volta nel 1962, poi regista di “genere”, come John Ford con il western, di grande, grandissimo successo. Era lo “storico” di Roma. Eppure, forse per questi motivi di invisibilità e il fatto che noi italiani abbiamo la memoria storica che scade dopo mezz’ora, l'addio al regista Luigi Magni è stato molto sottotono, senza ricevere i grandi onori e gli applausi che i Grandi sono soliti ricevere quando schiattano. Insomma, Magni ce lo siamo filati davvero poco. Ed è stata una cosa che mi ha colpito tantissimo. Francamente, Magni avrebbe meritato negozi chiusi e giù i cappelli. Come genere, scelse la storia di Roma perché, persona intelligente e coltissima, capì che era il metodo più azzeccato a raccontare la storia recente. Come intellettuale, Magni era diretto e senza retorica. Amavo leggere le sue interviste. Tre brani che ho raccolto.

Ricorda così l'amico Armando Trovajoli: "Durante la lavorazione de La Tosca. Monica Vitti non aveva una grande voce. Così un giorno, durante una registrazione, si bloccò e rivolgendosi al musicista disse, "Armà, hai scritto una canzone con tonalità che mi si addicono, hai sbagliato". Trovajoli, in preda alla rabbia, si tolse gli occhiali, li sbattè per terra e li calpestò con i piedi, distruggendoli. Sennonché, gli occhiali erano d'oro e lui ancora sta a piagne".
Sul montatore Ruggero Mastroianni, fratello di Marcello, che gli fece da attore in Scipione detto anche l'Africano, "Il cast non brillava per allegria. [Marcello] Mastroianni era stato appena mollato da Faye Dunaway, Gassman era reduce da una malattia al fegato, la Mangano se ne stava sempre da una parte, silenziosa. Situazione decisamente morta. Ruggero gli sbottò, "Che stai a fa' i sepolcri?". Oppure, ricordando le scelte di cast del suo più grande successo, Nell'anno del Signore (1969): "Sordi non voleva accettare il ruolo del frate, perché sosteneva che anziché condannarli, i due patrioti si sarebbero dovuti pentire prima di condannarli alla ghigliottina. E Magni, "Ma che cazzo stai a dì? Se quelli se pentono famo n'antro film", ma Sordi era irremovibile, credeva che così avrebbero mandato all'inferno i due carbonari. "Te quanno mori nun ce voi annà in paradiso?", lo ammonì, ma niente, Magni se la rideva, ricevendo calci negli stinchi sotto il tavolo da Bino Cicogna per invitarlo ad essere più conciliante".
Un ricordo personale, una domenica pomeriggio di qualche anno fa camminavo con un amico a Via del Corso, dove lui abitava praticamente sopra il cinema Metropolitan, e lo intravidi camminare con sua moglie. Un ragazzotto gli gridò, "A' Giggi Magniiii", e lui si girò compiaciuto, aumentando però il passo per sfuggirgli, quando il ragazzo disse all'amico che gli stava accanto, "Ahò quello è Magni, quello che ha fatto i Pierini". Sentendo questa cazzata enorme mi fermai e gli dissi, "Eh no, lui ha fatto grandi film su Roma, vediti In nome del Papa Re, ma quale Pierini!". Magni si girò e disse tranquillo, "Ecco diglielo quello che ho fatto". Si girò tornando sulla sua strada e disse, "A sto' stronzo". 
L'amico e collega Gigi Proietti ha commentato così la romanità di Magni, "Non era un autore romano, è riduttivo. Conosceva benissimo la storia della città, i segreti delle strade, ma non era il tipo da serenata "Roma te vojo bene": era un intellettuale preoccupato dei problemi della città, immerso nel suo tempo". 

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