venerdì 22 giugno 2012

In missione per conto dei Blues Brothers

Più che collezionista, sono un divoratore di film, cintura nera di DVD, raccolgo tutto ciò che mi piace e i film di John Belushi sono raccolti su uno scaffale, è stato facile in quanto ne ha girati sette e quelli più importanti sono tre: Animal House, 1941:Allarme a Hollywood e Blues Brothers, un film al quale sono veramente affezionato. I personaggi entrati nel mito, Elwood e Joliet Jake Blues, li ho rivisti ieri sera al cinema, in una delle due serate evento organizzate dalla Universal per i 30 anni dalla morte di Belushi, ma negli stessi giorni di quando uscì nel 1980, 20 e 21 giugno. Poco importava che erano 100 anni dalla fondazione della Universal, perché nel mormorio in sala durante il trailer celebrativo, ero l'unico a riconoscere i film in bianco e nero (giusto Frankenstein è riuscito a farsi valere), tutti quanti aspettavano il momento di vedere un classico al cinema. Ed è, ve lo dico se non avete mai provato, una sensazione ad alto rischio: può deludervi ("ma, rido solo io?"), infastidirvi ("Si si, quello lì è Spielberg che fa l'impiegato ora stai zitto!!"), ma sopratutto annoiarvi o trovare, sul Grande Schermo, un po' datato il vostro film preferito. E non solo per gli effetti speciali rustici. Questa sensazione l'avete già conosciuta, in DVD, sul vostro enorme televisore, nel rivedere un film che ricordavate bellissimo e invece arrivate a passare una serata dimenticabile, noiosa. Ho scoperto tanti titoli datati ma anche, fortunatamente, gioielli che non hanno perso smalto. Esempio? Il ruggito del topo (1959), con Peter Sellers in tre ruoli differenti, è invecchiato malissimo, mentre Questo pazzo pazzo pazzo mondo, 1963, potrebbe reggere benissimo una uscita in sala, domani sera. I classici degli anni '80, in questo senso, reggono perché la generazione che li ha amati vanno oltre il giudizio estetico, chissenefrega, vogliamo "I Gremlins", "I Goonies", "Ritorno al futuro", "Ghostbusters", "Cocoon", "Die Hard", "Scuola di polizia", "Corto circuito", "Indiana Jones", anche se rivisti sullo schermo ci si rende conto che i ritmi sono diventati datati rispetto a quelli sincopati di oggi. Ma non si rimane delusi, perché si capisce che avevano ragione loro nel valorizzare il personaggio, anche fermando il film, rispettando sia lo spettatore che così capisce qualcosa, ma dando un valore alla pellicola stessa, che ti trascina e ti coinvolge nei personaggi come accade nei "Blues Brothers", indistruttibili fuorilegge cantanti e ballerini con unico obbiettivo, anzi in missione per conto di Dio, riunire la banda e trovare i soldi necessari per pagare le tasse per l'orfanotrofio dove sono cresciuti. Nell'arco di trent'anni, il genere comico demenziale è cambiato rovinandosi per le volgarità e l'esagerato ammiccamento scatologico. John Landis, il regista, forse non era forte in raffinatezza, ma era un ottimo direttore d'attori, e tira fuori sfumature comiche da Dan Aykroyd e John Belushi come pochissimi altri sono riusciti a fare, anche perché erano due grandi comici, molto fisici, condannati ad esprimersi dietro un paio di occhiali scuri. Elogio della fratellanza e della musica blues, scambiato all'epoca dagli americani come film per neri, costò uno sproposito ma si rifece con i guadagni in Europa, incassando un totale di 115 milioni di dollari. La band dei Blues Brothers esisteva davvero, lo sapete, nata come passione personale di Dan e John e poi trasformata in banda autentica con i migliori musicisti sulla piazza, poi tour, concerti e apparizioni in tv, costruendosi attorno il mito perfetto per un film epocale, irripetibile e, stando a quello che ho sentito e visto ieri, ancora geniale e divertente. E' poi riuscito in un intento molto difficile: digerire un musical, seppur comico, al mio amico Mario, che invece ha apprezzato molto il film e scoperto Belushi, praticamente invisibile nel nostro paese. Non ha perso smalto, niente polvere, ha ancora tutta l'energia che ti trascina sulle poltrone a saltare assieme ai galeotti scatenati alla fine del film. Blues Brothers è un capolavoro per questo. Ottimo restauro anche se l'audio italiano mi è sembrato di una qualità troppo diversa quando entrano le canzoni in originale.
La grande certezza è una retorica noiosa, ma piuttosto veritiera: la fortuna di poter constatare che, un po' di anni fa, gli americani erano in grado di fare ottimi film comici e, almeno una volta ogni dieci anni, centrare il capolavoro assoluto. Andando in sala, invece, io e Mario abbiamo adocchiato il manifesto del film sfigato 2012, Un anno da leoni, titolo truffaldino per The Big Year, regia di David Frankel  (quello del Diavolo veste Prada), con Steve Martin, Jack Black e Owen Wilson. E' uscito in patria lo scorso ottobre 2011, stroncato da critica e rifiutato dal pubblico. Motivo? Regista brillante e tre ottimi comici, nessuna risata in una storia basata sul guardare gli uccelli. In Italia esce a fine Luglio (periodo sfigato), con un doppiaggio discutibile (avremo Steve Martin che parla come Robin Wlliams, cioè Carlo Valli). Ecco, questo film è la dimostrazione che non sai come fare una commedia decente. Okay, Owen Wilson non vale una lira, sono d'accordo, ma hai Steve Martin con botox e Jack Black, ora che hai incassato sette milioni di dollari nel mondo (è così..), sai che compiti devi rifare a casa..

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