domenica 8 dicembre 2024

Saturday Night: recensione

Ho recuperato in ritardo “Saturday Night”, di Jason Reitman, distribuito limitatamente nel mondo – in Italia per soli tre giorni – con notevole successo di critica, e di quel pubblico di nicchia cui si rivolge il film. Sì perché nonostante il “Saturday Night Live” sia uno dei programmi più famosi in America che ha raggiunto quest’anno la stagione numero 50, il film che racconta quello che successe poco prima della messa in onda del primo show, nel lontano 11 ottobre 1975, è per un target di appassionati che probabilmente ignorano alcuni dei numerosissimi dettagli inseriti nella sceneggiatura, scritta dal regista con Gil Kenan con il gusto della reverenza nei confronti di Lorne Michaels, il pazzo canadese che ha avuto l’idea di proporre questo show in diretta alle mummie della NBC prendendo al balzo l’occasione di sostituire le repliche del “Johnny Carson Show”: ma a parte tutto questo, è un ottimo film godibile, con ritmo, virtuosismo tecnico, e un gran lavoro di attori. 

 

La prima puntata del Saturday Night Live non assomiglia niente alle puntate successive, né a quello che è oggi lo show: chi diamine ricordava che i Muppet facessero parte del cast? Conoscendo molto bene la storia del programma, studiando a suo tempo alcune pubblicazioni che raccontavano i retroscena non solo dello show, ho vissuto quei momenti di tensione, caos, collera, improvvisazione che caratterizzarono la lunga settimana di prove di quella serata. Reitman compie, in questo, un vero miracolo: è così trascinante che quando Chevy Chase annuncia, “In diretta, da New York, è Saturday Night”, sui cadaveri di John Belushi e Michael O’Donoghue, si tira un sospiro di sollievo. Ce l’hanno fatta, questi teppisti!

Michaels voleva proporre qualcosa di alternativo alla vecchia televisione che scalciava con arroganza e snobismo la nuova generazione di attori e autori che avrebbero cambiato la televisione e la comicità degli anni ’70: Milton Berle, “Mr. Tv”, con la sua “dote” da divo stronzo (e il suo leggendario pene: eh sì, questa è storia della tv ragazzi!), le telefonate minatorie di Johnny Carson, la inquietante figura del dirigente televisivo, sono personaggi che guardavano dall’alto al basso questa troupe di scalmanati ragazzini. Ad un certo punto appare, seduto sul divano, Bernie Brillstein: agente cinematografico e futuro produttore, veniva dalla vecchia scuola e si aspettava che la band indossasse lo smoking, ma si adattò subito, mentre i musicisti e i comici prendevano cocaina, fu lui a firmare il contratto con John Belushi e diventare, su due piedi, il suo agente personale. Una figura fugace, ma importante per il cambiamento radicale e anticonformista che Michaels riuscì ad imporre con il suo programma. Del resto, uno show in cui l’unico noto è il fumatissimo dalla bocca pericolosa George Carlin, e l’ospite musicale era Andy Kaufman, tenero e lunare, la dice lunga su quanto anche legittimamente i colletti bianchi della NBC fossero preoccupati.




Sugli attori, due parole: la somiglianza (checché i soliti fan rompipalle hanno avuto da ridire) non è importante, nonostante il loro ottimo lavoro di reinterpretare Aykroyd, Belushi, Chase, Gilda Radner, Laraine Newman, Garrett Morris, Jane Curtin con i loro disagi alle prese con un nuovo mezzo per loro, la televisione in diretta. Perché, importante ricordarlo, erano tutti giovanissimi e gran parte sconosciuti. E cito Matt Wood come John Belushi perché ne fa una versione probabilmente veritiera: tossico, aggressivo, ribelle e dolcissimo allo stesso tempo. Michaels lo sopportava perché aveva un grande talento. Sullo sfondo, Billy Crystal e il suo mancato debutto, Michael O’Donoghue, autore sprezzante e geniale, e Alan Zweibel, sudato gagman che sarebbe stato uno dei migliori sulla piazza (soprattutto con Crystal), sono delle chicche rendono “Saturday Night” un gioiello da recuperare.


PS: Discutere qui quanto abbia profondamente cambiato lo spettacolo in America, è fuorviante (e potrei perdermi fra migliaia di nomi, personaggi, sketch: non chiedetevi dov’è Bill Murray, arriverà nella seconda stagione, nel ’77, quando Chase lasciò il programma per Hollywood), ma consiglio caldamente la nuova edizione del libro Saturday Night: A Backstage History of Saturday Night Live, di Doug Hill e Jeff Weingrad, oppure, se vi sentite gradassi, Live From New York: The Complete, Uncensored History of Saturday Night Live as Told by Its Stars, Writers, and Guests (2015), di Tom Shales e James Andrew Miller, di cui esiste persino una edizione italiana della prima edizione, pubblicata dalla Kowalski (2004).

mercoledì 20 novembre 2024

Laurel & Hardy: Year Two - una recensione

L’encomiabile processo di restauro a cura della Blackhawk Films, distribuito da Flicker Alley, prosegue dopo l’uscita di Laurel or Hardy nel 2020 e del primo volume con i cortometraggi del 1927. Il secondo cofanetto è uscito il 5 novembre (disponibile qui per l’ordine) e contiene tutti i corti muti di Stanlio e Ollio realizzati nel 1928. Un anno fondamentale, in cui i due sono ormai una coppia fissa e si scatenano produttivamente, realizzando alcune delle punte di diamante della loro filmografia: Leave ‘Em LaughingThe Finishing TouchFrom Soup to NutsYou're Darn Tootin’Their Purple MomentShould Married Men Go Home?Early to BedTwo TarsHabeas CorpusWe Faw Down.

Il box blu-ray include un booklet firmato da Serge Bromberg ed Éric Lange, con note di Sara Imogen Smith e del biografo della coppia, Randy Skretvedt, oltre a una serie di extra davvero notevoli:

  • Now I’ll Tell One (1927), sopravvissuto nel solo secondo rullo, con Charley Chase e Stan Laurel, e Oliver Hardy in un piccolo ruolo.

  • Eve’s Love Letters (1927), una delle ultime comiche soliste di Stan, diretta da Leo McCarey.

  • Galloping Ghosts (1928), due frammenti di questa rarissima comica con Oliver Hardy.

  • A Pair of Tights (1929), divertente comica con Anita Garvin e Marion Byron, girata nello stile del duo e prodotta da Hal Roach nel tentativo di creare una nuova coppia comica. I registri ufficiali degli studi confermano una partecipazione straordinaria di Stan e Oliver, poi tagliata in montaggio.

  • Un filmato amatoriale eccezionale girato sul set di Should Married Men Go Home?, proveniente dall’archivio di George Mann e già pubblicato su YouTube.

  • Un’intervista audio del 1959 a Stan Laurel.

  • Tracce sonore d’epoca per quattro comiche, più nuove colonne sonore composte da Neil Brand, Robert Israel, Andreas Benz, Jean-François Zygel e lo stesso Bromberg.

Se il primo volume raccontava la “preistoria” del duo (qui la recensione), questo secondo — e ancor più il terzo, con i film del 1929 — documenta la piena maturazione della coppia. Come già fatto in precedenza, è doverosa una premessa sullo stato dei materiali. Se il cofanetto del 1927 aveva compiuto un vero miracolo, recuperando pellicole spesso malconce o solo in formati ridotti, non bisogna pensare che con i film successivi la situazione fosse migliore.

L’ultimo restauro importante dei muti risaliva alla fine degli anni Novanta. Ma, come raccontato in un dettagliato articolo sul n. 3 della rivista Laurel and Hardy Magazine (estate 2023), la storia parte molto prima.

“Uno dei momenti chiave per i film muti di Stanlio e Ollio avvenne il 7 aprile 1972, quando, dopo una lunga e feroce battaglia legale, i successori di Roach cedettero tutti i diritti di 74 cortometraggi di Stanlio e/o Ollio alla Richard Feiner Company. Questo contratto dimenticava persino di menzionare i diritti già venduti alla Blackhawk Films. (…) Ma la storia non finisce qui. Anzi, peggiora! Nel 1988, Richard Feiner affidò a Michael Agee, un presunto specialista del restauro, i materiali originali delle pellicole di sua proprietà. Agee raccolse tutto il materiale che riuscì a trovare, compresi i negativi conservati nei caveaux della Library of Congress, e mise tutti i nitrati nella cucina della sua casa di Yorba Linda. Niente aria condizionata, caldo estremo... e quando una pellicola iniziava a deteriorarsi, veniva semplicemente scartata per non infettare le altre pizze in metallo. Quando tutti gli elementi della casa di Agee furono finalmente recuperati dalla cineteca dell'UCLA, la maggior parte di essi era già diventata polvere”.

L’articolo citava Rob Stone, all’epoca curatore dell'UCLA (e fino a poco tempo fa impegnato nella collezione della Library of Congress): “Ho preso personalmente i negativi originali di Habeas Corpus e You're Darn Tootin’ e li ho messi in un barile d’acqua per poterli incenerire. Tutto questo perché erano conservati nel suo garage nel sud della California, dove le temperature raggiungevano i 38 gradi. Erano come dei mattoni”. E conclude con una nota importante: “Il materiale sopravvissuto all’UCLA di questi film è tutto ciò che rimane di questi elementi originali, molti dei quali incompleti e fortemente deteriorati, dopo molti anni di permanenza nel caldo di un garage californiano. Fin dalla loro produzione originale, non è stato fatto alcun serio investimento per preservare queste preziose pellicole prima che la Kirch Group incaricasse Richard W. Bann di ricostruire ciò che ha potuto all'inizio degli anni Novanta. Per molti era troppo tardi! La maggior parte dei negativi originali in nitrato è stata pesantemente mutilata, smarrita o talvolta completamente persa. Questo lungo elenco di decisioni finanziarie, contratti di distribuzione e problemi di copyright spiega in gran parte perché di qualsiasi film muto di Stanlio e Ollio pochi negativi originali o grani fini sopravvivono. Era tempo di agire”.

La Kirch Group conservò nei suoi caveau sottozero a Monaco alcune copie, ma diversi titoli muti risultavano comunque rovinati o perduti. Per ricostruire il meglio possibile, Bromberg e il suo team si sono affidati nuovamente ai materiali della Blackhawk Films, restituendo al 1928 il suo autentico splendore cinematografico.

Vediamo nel dettaglio.

Leave ‘Em Laughing”, conserva le tinte unite in blu per le scene notturne. Mentre il primo rullo proviene dalla Library of Congress, il negativo del secondo rullo è andato perduto: si mescolano tre fonti in 16mm e materiali dalle compilation di Robert Youngson. Credo di aver intravisto qualche frame in più rispetto alle copie passate, e alterna una ottima qualità ad una più bassa, rimanendo lo stesso un restauro che ha miracolato un film non sempre messo bene. Fa ancora ridere, fra l’altro.

The Finishing Touch” è, come indicato nel booklet, un “puzzle da incubo” risolto con un risultato soddisfacente. Tutti gli elementi disponibili avevano problemi di contrasto, fuoco o stabilità del quadro. Il restauro unisce fonti in 35 mm (Library of Congress), 16 mm e sequenze tratte dalla compilation L’allegro mondo di Stanlio e Ollio (1965). Si vede meglio di qualunque versione precedente. La grana è evidente ma il film è completo. Rivedendolo, ho apprezzato molto i comprimari.

From Soup to Nuts” soffriva di pochi materiali esistenti. Il libricino informa anzi che nessun materiale originale in 35mm è sopravvissuto, tranne quella della compilation prima citata, del totale di soli nove minuti. Sono state ripristinate tutte le didascalie, e usato materiali in 16mm, di ottimo stato, a parte alcuni passaggi. Ancora oggi fa ridere, e il piglio “rozzo” della coppia si rispecchia in alcune gag grossolane, come loro che commentano le forme di Anita Garvin, o Stan che serve la zuppa infilando il dito nella scodella (e quando Babe lo guarda male, si pulisce il dito e ci infila un altro) o che mette il piede nell’insalata quando Babe cerca di coprirlo perché in mutande.

You ‘re darn tootin”, la comica messa meglio nel primo volume, proviene da un 35mm ristampato negli anni ’80, e nel passaggio fra il primo e il secondo rullo, solitamente deteriorato, si è salvato grazie ad una copia in 16mm proveniente dalla collezione di Youngson. Qualità eccezionale, nei limiti del possibile. La musica viene da un “live” dove si sentono – basse - anche delle risate del pubblico.

Their Purple Moment” proviene da un 35 mm della Blackhawk, ma — secondo il booklet — ha richiesto un intervento digitale più marcato per ridurre la grana. La copia è molto buona, anche se in certi punti leggermente meno nitida. Curiosità: i 12 dollari che Babe deve alla ragazza delle sigarette, oggi corrisponderebbero a circa 212 dollari!


Should married men go home?”, è presentato in una copia eccellente proveniente da negativo 35 mm. Il ritmo a tratti cede, ma le gag funzionano. Notevole la presenza ricorrente di Edgar Kennedy nei film della coppia per tutto il 1928. Straordinario il backstage girato sul set, nelle location esterne e negli studi Roach: un documento raro, dove compare anche Charley Chase. Il filmato, completo, è stato scansionato in 5K.

Early to Bed”, ha richiesto un restauro più impegnativo. La nitidezza è inferiore rispetto ad altri titoli, ma l’immagine è quasi sempre pulita.



Two tars” ha imperfezioni prevedibili, ma è la copia migliore e completa mai vista. La comica aveva dei problemi alla fonte di un negativo conservato al MoMa di New York - "gli specialisti possono tuttavia notare lievi imperfezioni visive", segnalano le note del booklet - ma sono stati corretti molti difetti noti alle copie precedentemente pubblicate. Rimane ancora oggi uno dei migliori film comici muti mai girati.

Habeas corpus”, è la grande sorpresa del secondo disco: la copia è perfetta, come se fosse stata stampata ieri. Il film include la registrazione su dischi Vitaphone che accompagnava musiche ed effetti sonori — essenziali per certe gag —, sincronizzati digitalmente sul film restaurato.



We Faw Down” circolava finora in copie 16 mm piuttosto mediocri. In questo restauro rinasce letteralmente in una copia impeccabile.





Negli extra, “Now I’ll Tell One”, è come vederlo per la prima volta, e si vede molto bene. Stesso discorso per “Galloping Ghosts” e “Eve’s Love Letters” (ottimo film). “A Pair of Tights”, si è conservato benissimo, probabilmente perché era uno dei titoli più venduti del catalogo Blackhawk. Una fonte è la compilation di Youngson When Comedy Was King (1960).

Molto interessanti le testimonianze audio raccolte da Randy Skretvedt: Hal Roach ("Stan Laurel era il miglior gagman sulla piazza, come Chaplin, ma come creatore di storie non valeva un nichelino"), Anita Garvin e Thomas Benton Roberts, attrezzista negli studi Roach.

Prezioso anche il documentario sulle location, realizzato incrociando le mappe aeree di Culver City, dove sorgevano gli studi e le location di moltissimi film della coppia.

Nonostante alcuni inevitabili difetti dovuti all’irreperibilità di materiali originali, soprattutto nei primi film del 1928, questi restauri rappresentano le versioni migliori mai realizzate. Come per il primo volume, anche questa edizione permette di apprezzare meglio le performance degli attori e le finezze delle gag.

Attendiamo ora con impazienza il volume 3, dedicato al 1929: sarà senza dubbio un altro lavoro di altissimo livello.

domenica 14 gennaio 2024

Un brano inedito di Cochi e Renato?

giovanissimi al Cab 64 - ©Uliano Lucas 

Mentre leggo La versione di Cochi, scritto da Ponzoni con Paolo Crespi, mi soffermo su un ricordo dei tempi del Cab 64, il primo locale milanese che accolse professionalmente gli allora giovanissimi Cochi e Renato, e sul ruolo del paroliere Giorgio Calabrese come collaboratore del gruppo di artisti che si unì a questa fase sperimentale del cabaret a Milano (assieme a Bruno Lauzi, Felice Andreasi, Lino Toffolo). A quell’epoca – siamo nel 1964 - Calabrese, autore di canzoni per artisti del calibro di Mina, Ornella Vanoni, Adriano Celentano, Luigi Tenco, aveva scritto una canzone per Cochi e Renato dal titolo La cosa, e nel 1975 collaborerà di nuovo con loro per due brani inseriti nel film Il padrone e l’operaio, regia di Steno, cantati da Cochi e Renato, e musicati da Gianni Ferrio, La ventosa e La fortuna ha le mutande rosa. Stando a quanto letto nella sua autobiografia, Cochi afferma che Calabrese aveva scritto apposta per loro un’altra canzone intitolata In due, con musiche dello stesso Ponzoni. Nel deposito della SIAE, questa canzone effettivamente c’è, ma la musica è attribuita a Jacqueline Perrotin, pianista francese che lavorava con il gruppo al Cab, e all’epoca moglie di Ciro Tortorella. Quando scrissi la discografia per il libro che ho realizzato con Sandro Paté – Cochi e Renato, la biografia intelligente (Sagoma, 2019) – pensavo di aver raccolto tutto quello che avevano cantato in coppia, consapevole però agli inizi della loro esperienza in cabaret potesse esserci qualche ballata milanese che si smarrì in quelle occasioni. Mai pensavo però di leggere di un brano scritto proprio per loro, e non di saperne niente. Succede! Essendo una canzone inedita, mai registrata o recuperata negli anni successivi, ho scritto alla Siae, sai non si sa mai…

martedì 2 gennaio 2024

Quando il Belpaese voleva Stanlio e Ollio gladiatori

Quello che sto per raccontare parte da una curiosità principale che a quanto pare sul web non è riportata da nessuna parte: questo perché la fonte è un libro di interviste che conoscono gli studiosi di cinema, ed è da lì che sono partito, come si faceva una volta nelle biblioteche e negli archivi, in tempi non troppo lontani ma che sembrano giurassici. E dedico questo articolo alla memoria di Ernesto G. Laura, caposcuola di una generazione di storici del cinema che ebbe l’occasione di raccontare, fra le varie cose, la storia di Stanlio e Ollio.


La curiosità parte da un titolo dell’Hollywood Reporter del dicembre del 1939 che annunciava il prossimo progetto della coppia Laurel e Hardy nei panni di due gladiatori nell’Antica Roma. La notizia vedeva ottimisticamente il futuro di Stan e Ollie ancora sotto contratto con Hal Roach per la United Artists, e invece, mentre stavano girando Saps at Sea (C’era una volta un piccolo naviglio, uscito nel 1940), decisero di chiudere per sempre con il produttore cercando strade migliori. Al di là di questo progetto di cui non sappiamo nulla, neanche l’esistenza di un soggetto, possiamo affermare che quello che fu proposto loro – anche idealmente – anni dopo in Italia è una coincidenza veramente incredibile. Perché si trattava proprio di una storia con loro due come gladiatori alle prese con Nerone. Per spiegarlo dobbiamo fare una premessa storica tornando all’Italia del dopoguerra.


All’epoca il nostro paese era invaso dai comici, vecchi e nuovi. Totò, dopo una falsa partenza alla fine degli anni Trenta, cominciò a girare film di successo ed esplose come il comico del momento. La vecchia guardia, capitanata da Macario, Aldo Fabrizi, Nino Taranto, proveniva dal varietà come Totò e seguiva l’onda del successo di quest’ultimo, mentre la giovane generazione, chi dal teatro, chi dall’avanspettacolo o dalla radio, fu “rapita” dai produttori per inserirli in film comici veloci da girare dalla qualità altalenante: prima del successo di Alberto Sordi, per citarne uno che negli anni Cinquanta divenne il re del box office, erano già subentrati Ugo Tognazzi, Walter Chiari, Riccardo Billi e Mario Riva, Carlo Croccolo, Carlo Campanini, Raimondo Vianello e così via. Per dirla in maniera spicciola: tutti lavoravano e mangiavano, e per continuare a farlo bisognava avere sempre idee nuove, a costo di raschiare il barile. E poiché lo sblocco delle pellicole americane ferme durante la Guerra scatenò un incredibile assalto di comici senza precedenti – da Laurel e Hardy ad Abbott e Costello, i fratelli Marx, Bob Hope, Danny Kaye – i produttori italiani sentivano nell’aria la possibilità di una co-produzione. E guarda caso, in quel periodo Stanlio e Ollio erano tornati alla popolarità esibendosi nei teatri inglesi alla fine degli anni Quaranta, rendendosi accessibili alla vecchia Italia, dove la coppia era ancora popolarissima. Già alla fine del 1946 si pensò di inserirli in un contesto simile a quello del loro grande successo Fra Diavolo (1933), con loro due umili servitori pasticcioni e dal cuore d’oro, per una parodia de Le due orfanelle, il testo del 1874 di Adolphe d’Ennery ed Eugène Cormon, già alla base dell’omonimo film di David W. Griffith del 1921, e di una versione di Carmine Gallone del ’42. I due orfanelli, proposto da Mario Mattoli al giovane sceneggiatore Age, voleva sfruttare le scenografie di un film precedente di Mattoli, Il fiacre n.1, ed inserire Stanlio e Ollio, ma, come ha raccontato Age, i due comici al momento di concludere l’affare non erano disponibili, e così si ripiegò su Totò e Carlo Campanini. 


L’anno in questione, il 1947, era stato fittissimo nelle agende dei due comici americani: sbarcati a febbraio, rimasero nei teatri europei fino al gennaio dell’anno successivo. Pur prossimi ai sessant’anni d’età, erano ancora molto famosi: quando tornarono in America, scoprirono che i loro film vecchi degli anni Trenta trasmessi nella neonata televisione, avevano riscosso un grosso successo e avviato una nuova generazione di fan. La cosa non passò inosservata, e un finanziatore americano di nome George Bookbinder decise di sfruttare i suoi contatti con un produttore, tale Deutchmeister, che era affiliato all’Universalia, a capo Salvo D’Angelo, di Roma, per mettere in cantiere un film girato in Europa con Laurel e Hardy. L’idea principale era fare un film con Stanlio e Ollio e affiancarli ad altre star comiche: e nella fretta di pubblicizzare un film che praticamente non aveva ancora una sceneggiatura, nella primavera del 1950 i comunicati stampa spararono grossi nomi come quello di Totò e di Fernandel. Il sentore che si trattasse di una produzione confusionaria cominciò a farsi sentire proprio da queste mosse pubblicitarie: mentre Stan Laurel sbarcò a Parigi a maggio, seguito da Hardy a giugno, i nomi continuarono a cambiare, senza freni: spariti Totò e Fernandel, si stamparono i nomi di Carlo Croccolo, Walter Chiari, persino Macario, nessuno che farà parte del cast di quel film disgraziato che fu Atollo K


Saltiamo direttamente la faticosa lavorazione e le complicazioni di salute che ebbero i due attori americani, per andare – dopo questa premessa – ad un altro film che inizialmente era stato persino scritto per loro, una parodia sull’Antica Roma dal titolo O.K. Nerone. Il film è del 1951, e pur diretto da Mario Mattoli e con una squadra di sceneggiatori incredibile (Monicelli, Steno, Alessandro Continenza, Age e Scarpelli), non è quello che possiamo considerare una commedia riuscita, nonostante Walter Chiari e Carlo Campanini protagonisti, e con Gino Cervi e Silvana Pampanini di contorno: la storia ruota attorno a due marinai italo-americani in visita a Roma che vengono aggrediti da dei teppisti, e dalle botte ricevute sognano di essere nella Roma di Nerone. Le situazioni comiche partono soprattutto da qui, con questi due scemotti che parlano proprio come Stanlio e Ollio (anche se a volte l’accento sparisce nel nulla…) e insegnano a Nerone a giocare a biliardo e a rugby. Quando si risvegliano davanti al Colosseo, scoprono che il loro superiore è un ufficiale che ha il volto di Nerone, sempre interpretato da Cervi. Non era una trama irresistibile, e ricorrendo alle grazie della giovane e bella Pampanini nel ruolo di Poppea, il film ebbe grossi problemi con la censura in fase di revisione, che ordinò dieci tagli di cosce nude per dare il nulla Osta, per poi accordarsi a “soli” cinque. O.K. Nerone uscì nelle sale nel Natale del 1951, quasi in contemporanea con il film Atollo K con Stanlio e Ollio, incassando anche bene (418 milioni di lire d’incasso, nell’anno di Guardie e ladri con Totò e Fabrizi). Lo sceneggiatore Alessandro Continenza – ed ecco la fonte che ho citato prima - rivela che l’idea di averli in Francia e rinfrescato la possibilità di girare un film con loro, era naufragata per l’avanzata età dei due attori: “Una volta avevamo scritto un film con Steno, Monicelli, Age e Scarpelli che si chiamava O.K. Nerone, che doveva dirigere Soldati e poi diresse Mattoli. Il film era stato scritto per la Diana cinematografica, che lo voleva con Stan Laurel e Oliver Hardy, era la storia di due americani che si trovavano improvvisamente nell’antica Roma. Un film facile, qua e là scopiazzato: avevamo scritto ‘sta roba cercando di ricordarci le gag di Laurel e Hardy, per fare un film ‘alla maniera di’. Senonché, quando arrivarono, ‘sti americani erano due vecchi cadenti, e in Italia fecero un solo film, che si chiamava Atollo K e che fu un disastro. Così i produttori sostituirono a Stanlio e Ollio...Carlo Campanini e Walter Chiari! Il film andò abbastanza bene, però era un filmaccio!”. Col senno di poi, effettivamente i ruoli richiedevano un certo impegno fisico che Stan e Oliver, bontà loro, non erano più in grado di sostenere. Siete curiosi di vedere il film? Eccolo qui:


 

da "Ciak", 1994 (archivio B. Gemma)
Curioso, però, che due attori come Chiari e Campanini avessero sfiorato un progetto pensato per la coppia, perché in precedenza c’erano stati diversi punti di contatto. Walter Chiari, come si è detto, era talmente vicino ad interpretare Atollo K con Stan e Oliver da essere presente quando i due arrivarono a Roma, accolti da una enorme folla festante, nel giugno del 1950. L’impressione che ebbe dei due comici, racconterà anni dopo, non fu molto entusiasmante: “Avevano una paura maledetta, inesorcizzabile, dell’aereo. Arrivarono a Roma con un treno, perché non avevano mai viaggiato [in aereo]. Avrebbero potuto diventare miliardari, anche da vecchi, girando il mondo, facendo gli sketch, facendosi vedere. Li ho visti tristi, perché sono scesi, in un attimo la gente aveva stabilito che non servivano. Dio come sentono gli attori quando c’è la fine. Sono degli psicologici infallibili. Una cosa che posso dire è che mi ha fatto ridere, e non è crudele, le voci. Stanlio parlava con la voce di Ollio, e Ollio con la voce di Stanlio!”. Il rapporto con Campanini era meno diretto, ma molto interessante da ricordare: nella metà degli anni Trenta, agli inizi della sua carriera di attor giovane, si mise in coppia Carlo Dapporto per proporre uno sketch in cui facevano Stanlio e Ollio, idea che ebbe un certo successo presso il pubblico dell’avanspettacolo. L’imitazione, davvero ben fatta, è oggi visibile grazie alle riproposte che ne fecero in televisione negli anni Cinquanta.



Meno noto è il ruolo del doppiaggio: Campanini doppiò Stanlio e Ollio in una sola occasione, e non ufficialmente, nel ruolo di un doppiatore alle prese con il film I diavoli volanti (1939), per In due si soffre meglio (1943) diretto da Nunzio Malasomma. La scena è molto interessante, e in parte è una testimonianza dei doppiaggi dell’epoca (il film in origine era stato doppiato da Alberto Sordi e Mauro Zambuto due anni prima, nel ’41), riportata qui sotto.





Dapporto, invece, avrà modo di incontrare Laurel e Hardy a Milano durante il tour promozionale per Atollo K, nel 1950: ed è un peccato che quella occasione, registrata alla radio, sia andata smarrita. Sopravvivono però alcune foto e una preziosa testimonianza di Emilio Pozzi (a destra nella foto), giornalista presente a quel momento, che nel 1985 racconterà al Radiocorriere Tv: “Come radiocronista fui mandato al loro arrivo alla Stazione Centrale di Milano per intervistarli appena scesi dal treno. I mezzi tecnici allora non erano sofisticati, i collegamenti erano riservati a dirette importanti e si registrava su dischi e, d’altra parte, poiché l’arrivo era previsto per mezzogiorno, volevano andare in onda con il Gazzettino padano alle 12,40. Non sapevo l’inglese e non volevo rinunciare al servizio. Imparai alcune frasi, le recitai: i due risposero, io tradussi, a senso, indovinando le risposte. Il pomeriggio, poi, mi presentai alla conferenza stampa per un'altra intervista più ampia e destinata a Voci dal Mondo il settimanale radiofonico diretto da Vittorio Veltroni, in compagnia di un'interprete e di Carlo Dapporto che avrebbe dato la voce per la versione italiana, come al cinema. Stanlio mi guardò perplesso e mi domandò “Perché non parli? Da stamane hai dimenticato l'inglese?”. Feci spiegare che d’inglese conoscevo solo le quattro frasi usate la mattina. Scoppiarono a ridere di cuore. Presuntuosamente potrei ricordare quell’episodio come la volta che feci ridere Stanlio e Ollio”.

Il contatto con l’Italia non si concluse lì: nella corrispondenza privata di Stan, si legge che il loro agente aveva ricevuto una offerta per farli recitare nei varietà italiani – per uno spazio di uno sketch, che di una rivista intera – fra il ’51 e il 1952, ma come lo stesso Laurel immaginava, erano parole campate in aria che non ebbero seguito. La stanchezza fisica cominciò a farsi sentire, e dopo qualche anno i due decisero di ritirarsi, non avendo più l’età neanche per fare i gladiatori per i produttori del Belpaese.


(la fonte della dichiarazione di Continenza è L'avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli, 1979).