mercoledì 27 settembre 2023

Sherlock Holmes nel cinema muto italiano


Non fatevi ingannare dal titolo di questo articolo: non esiste nessun Sherlock Holmes italiano nel cinema muto. Eppure, il personaggio nato dalla penna di Arthur Conan Doyle è considerato fra i più rappresentati nella storia del cinema. Chi scrive, è un appassionato che ha cominciato a leggere i primi romanzi in età prescolare, per diventare poi accanito spettatore delle numerosissime serie cinematografiche. Tutte le fonti concordano che il primo film dedicato all’investigatore privato risalga addirittura al 1903, intitolato Sherlock Holmes Baffled: in meno di un minuto, l’investigatore viene buggerato da un ladro che scompare e appare a suo piacimento. Quindi il primo film su Holmes fu una produzione non inglese e una aperta parodia del personaggio. In Italia l’infallibile Holmes sarebbe arrivato nel 1895 con una manciata di romanzi per la Casa Editrice Verri di Milano, per poi passare, nel 1899, al Corriere della Sera che pubblicherà, a puntate su La Domenica del Corriere, gran parte dei racconti di Holmes: il grande successo ottenuto presso i lettori italiani spingerà una serie di editori a pubblicare i romanzi e varie antologie in più edizioni. Nei primi anni Dieci del Novecento Holmes era quindi abbastanza famoso per essere imitato o trasportato nel pioneristico cinema italiano che proprio in quel periodo stava correndo verso una produzione ampia e persino esportabile all’estero. L’affermazione che il primo e unico (per il momento) Sherlock Holmes italiano è stato Nando Gazzolo per la serie di telefilm prodotti dalla Rai nel 1968, è corretta; ma in precedenza, nel periodo del muto, sono state diverse le parodie girate dai primi comici del cinema italiano. Gran parte di questi film, alcuni brevissimi, sono andati perduti, ma ne riportiamo qui titoli e dati necessari per l’approfondimento necessario (la fonte principale è I comici del muto italiano, a cura di Paolo Cherchi Usai e Livio Iacob, «Griffithiana», La Cineteca del Friuli, nn. 24-25, ottobre 1985). 

NB: in alcuni film il titolo storpia il nome di Sherlock Holmes in Sherlok, sicuramente un espediente per evitare noie per i diritti, o un plausibile e costante errore ortografico.

NB2: Nell'autorevole libro Sir Arthur Conan Doyle at the cinema (1996), di Scott Allen Nollen, viene riportato il film The Flea of the Baskervilles (1915) come produzione italiana, ma era in verità il tedesco Der Floh von Baskerville, prodotto dalla Luna Films.

NB3: il film muto più noto di Sherlock Holmes, interpretato da William Gillette nel 1916, nonostante alcune fonti lo indicano distribuito da noi, è in verita inedito in Italia. E' stato proiettato durante le Giornate del cinema muto di Pordenone nel 2015, in seguito al clamoroso ritrovamento di una copia francese, avvenuto l'anno precedente.


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Un rivale di Sherlock Holmes (1907). Prodotto dalla Ambrosio (Torino), 165 metri. Film perduto di cui si sa veramente pochissimo. Il film è però uscito negli Stati Uniti, dove ha ricevuto anche una recensione favorevole (“Numerose le scene emozionanti e gli scontri fisici. Un soggetto sensazionale di superbo effetto drammatico, senza caratteristiche discutibili”, The Moving Picture World, 2 maggio 1908).

 

Il piccolo poliziotto (1909), prodotto dalla Itala Film, è noto anche come Il piccolo Sherlock Holmes. È un film di genere drammatico dove è presente vagamente lo spirito investigativo di Holmes nel personaggio del figlio di un viaggiatore rapito da due briganti in cambio di un riscatto (la cifra riportata è di diecimila lire: sono quarantaduemila euro odierni!). Il giovane trova il covo dei briganti, li affronta uccidendoli con un fucile e libera così suo padre. 

 

Fricot emulo di Sherlok Holmes (1913), con Armando Pilotti (Fricot). Prodotto dalla Ambrosio (Torino), 205 metri. Il personaggio di “Fricot” fu inventato nel 1910 dall’attore Ernesto Vaser (Torino, 1876-1934), piccolo di statura, un po' corpulento, ma agile, per la casa di produzione piemontese Ambrosio. Nel febbraio del 1912 Vaser lasciava l’Ambrosio per l'Itala, dove avrebbe impersonato un altro analogo personaggio, Fringuelli, e, a quanto pare, venne sostituito nella serie di Fricot da Armando Pilotti e da Cesare Gravina. La comica è andata perduta.

 

Più forte che Sherlock Holmes (1913), regia di Giovanni Pastrone, con Emilio Vardannes (Totò Travetti), prodotto dalla Itala Film (Torino). Sono due episodi rispettivamente da 198 e 230 metri (il secondo ha un visto censura datato 1914): dal 1989 il Museo del cinema di Torino conserva una copia ritrovata al Nederlands Filmmuseum, ed è visionabile nel loro profilo Vimeo. “Conferma – ove ce ne fosse ancora bisogno – la grande abilità di Segundo De Chomón nell’utilizzo dei trucchi, qui profusi a piene mani e tutti finalizzati a dare alla divertente vicenda un ritmo cinematografico vivacissimo ed incalzante, una vera e propria elettrizzazione del racconto”. (Aldo Bernardini, Il cinema muto italiano, 1913, Bianco e Nero, Nuova Eri, 1994, pag. 132). Link: film.
Vardannes, il cui nome era in verità Emile in quanto parigino, aveva inventato il personaggio di Totò nel 1911 dopo essere stato assunto come attore dall’Itala Film; l’anno successivo passò alla Milano Films con un personaggio molto simile a Totò di nome Bonifacio. 

 

Krì Krì contro Sherlok Holmes (1915), con Raymond Frau nel ruolo di Krì-Krì. Prodotto dalla Cines, 125 metri.  La disfatta di Sherlok Holmes o Krì-Krì sconfigge Sherlok Holmes (1915), con Raymond Frau nel ruolo di Krì-Krì. Prodotto dalla Cines, 145 metri.  
L’attore Raymond Fran, in arte Ovaro, nato nel Senegal nel 1887 da padre italiano e madre francese, era diventato in Francia un clown/acrobata da circo, e si esibiva in un duo nei varietà e nei caffè-concerto, compiendo tournées anche in Italia. Notato e assunto dalla Cines nel 1912, con il personaggio di Kri Kri creò un personaggio di “viveur” elegante, segaligno e mattacchione, per certi versi ispirato al modello messo in auge in Francia da Max Linder. Nel ruolo di Kri Kri, Ovaro raggiunse comunque larga popolarità e risultati di buon rilievo, qualitativo e quantitativo, nel cinema italiano e internazionale, spesso lavorando assieme ad altre macchiette della Cines, come Checco, Lea e Cinessino. Nel 1915 ritornò in Francia, dove creò un altro personaggio di successo, Dandy.

 


Rodolfi emulo di Herlock Sholmes
 (1915), con Eleuterio Rodolfi. Prodotto dalla Ambrosio (Torino), 1050 metri. Film perduto.

Il bolognese Eleuterio Rodolfi (1876-1935), dopo una lunga attività teatrale, trovò la sua strada quando Arturo Ambrosio lo scritturò per il cinema, facendolo diventare subito popolare in una miriade di comiche e brevi commedie dove tratteggiava una lepida figurina di elegante e spesso sfortunato dongiovanni. Realizzatore oltre che attore, lavorò molto spesso in coppia con Gigetta Morano e con Emma Veda. Dal 1913 Rodolfi partecipò anche alla direzione artistica dello stabilimento Ambrosio, occupandosi soprattutto del settore comico e brillante. 

 

Camillo emulo di Sherlok Holmes (1921), con Camillo De Riso. Prodotto dalla Caesar-film (Roma), 1050 metri. Film perduto.

Camillo De Riso (1854-1924), aveva alle spalle una carriera teatrale quan-do, nell'ottobre del 1912, venne assunto all'Ambrosio di Torino. Qui formò con Gigetta Morano ed Eleuterio Rodolfi un trio comico di successo, ma fu solo quando passò alla Gloria, alla fine del 1913, che egli poté lanciare un personaggio tutto suo. Camillo, allegro buongustaio e impenitente libertino. Nella seconda metà degli anni Dieci fu anche regista di qualche opera di maggior impegno, come Spiritismo (1919), con Francesca Bertini.

 

Saetta più forte di Sherlock Holmes (1921), con Domenico Gambino (Saetta). Prodotto dalla Saetta-film (Torino), 1590 metri. Conosciuto anche come Saetta contro Sherlok Holmes.

Nel castello di Changeloup viene rapita la cagnetta della baronessa, un pechinese di nome Rirì. Accusata di scarsa sorveglianza, viene licenziata una cameriera, anch'ella di nome Rirì. La baronessa incarica due poliziotti privati, Sherlock e Holmes di ritrovare la preziosa bestiolina, ma i due non vengono a capo di nulla. Attratto dalla ricompensa di cinquemila lire, inter-viene Saetta, che dopo mirabolanti peripezie ritrova il cagnolino, ma chiede, oltre ai soldi, an-che la riassunzione dell'innocente cameriera. Intascato il premio di cui non sa che fare, capita in un istituto di trovatelli, gioca con loro e consegna i soldi al direttore dell'Istituto, perché li impieghi a favore dei piccoli. E ritorna alla sua solita vita di generoso vagabondo. (Aldo Bernardini, Il cinema muto italiano, 1921, Bianco e Nero, Nuova Eri, 1996, pag. 290).

Domenico Gambino, altro piemontese (1890-1968), aveva iniziato all’Itala Film nel 1910 come comparsa nella serie di Cretinetti (André Deed); passò all'Ambrosio Film nel 1916 come attore-regista e poi alla Pasquali Film. Due anni dopo fondò una propria casa cinematografica, la Delta Film, e nel 1920 fu interprete di un nuovo personaggio dal nome Saetta, trasformando la stessa Delta in Saetta Film. In seguito, Gambino rimarrà dietro la cinepresa anche nel cinema sonoro: nel 1949, ad esempio, girerà Torna a Napoli, che segnò il debutto cinematografico di Nino Manfredi.





sabato 16 settembre 2023

Laurel & Hardy: Year One - una recensione


Lo scorso 15 agosto è uscito un attesissimo cofanetto blu-ray intitolato Laurel & Hardy: Year One, concepito come primo volume dedicato all’annata iniziale della celebre coppia nel lontano 1927. In realtà, la raccolta include anche il loro primo film insieme, The Lucky Dog (girato nel 1921), e 45 Minutes from Hollywood (1926), primo titolo in cui appaiono come attori negli studi Roach, per un totale di quindici cortometraggi muti.

Oserei definire questa uscita epocale. Nel 2020, in pieno lockdown, la Blackhawk Films ha intrapreso un progetto fondamentale: recuperare i materiali migliori disponibili a livello mondiale e restaurare — anzi, si dovrebbe dire ricostruire — i film muti di Stanlio e Ollio. Il periodo dei “silents” comprende 34 titoli realizzati tra il 1921 e il 1929; o meglio, 33, se si esclude Hats Off, l’unico titolo completamente perduto della loro filmografia. Considerando che si tratta di opere vecchie di 96 anni (e nel caso del primo film, 102!), e che per lungo tempo sono state trascurate o maltrattate, il lavoro di restauro è stato tutt’altro che semplice.
 

Spiegare nel dettaglio cosa sia successo a questi film non è facile, e rischierei di perdervi tra date, percentuali e nomi poco noti. Ma è proprio in queste ricostruzioni storiche che si nasconde la verità. Partiamo da un dato di base: l’80% dei film muti — intesi come produzioni realizzate tra il 1895 e il 1929 — è andato perduto. Migliaia di pellicole non hanno ricevuto alcuna forma di conservazione, né per ragioni culturali né commerciali, e si sono irrimediabilmente rovinate: alcune sono esplose (la vecchia pellicola in nitrato d’argento era altamente infiammabile) durante grandi incendi che colpirono i magazzini degli studi hollywoodiani; altre si sono deteriorate per acetosi o muffe. I negativi e le pellicole erano materiali estremamente fragili, e la cultura del restauro è arrivata troppo tardi per salvare molti di quei film.

Con Stanlio e Ollio, in un certo senso, siamo stati fortunati: si è perso “solo” un titolo per intero, Hats Off. The Battle of the Century (1927) è stato ricostruito quasi completamente soltanto nel 2015, anche se manca forse per sempre la fine del primo rullo. Metà di Now I’ll Tell One, altro film del 1927 con Charley Chase e i due comici in ruoli secondari, risulta ancora mancante. The Rogue Song, lungometraggio in cui la coppia aveva un ruolo di supporto, sopravvive oggi in un trailer, due sequenze e una clip di dieci minuti. Una parte consistente delle versioni girate in lingua straniera nei primi anni ’30, incluso Muraglie in italiano, è tuttora dispersa (anche se Ladroni è stato ritrovato l’anno scorso, purtroppo senza sonoro). Tuttavia, a parte queste perdite, la filmografia della coppia è sostanzialmente integra, e gran parte dei negativi è conservata in condizioni adeguate.
 

Ma per arrivare a questo punto, anche Indiana Jones si sarebbe arreso. I film muti di Laurel e Hardy del 1926-27 furono prodotti da Hal Roach per la Pathé, mentre i successivi dalla MGM: il passaggio fra le due major coincise con il crescente successo della coppia, determinando percorsi differenti per i due gruppi di film. I titoli pre-coppia vennero distribuiti “in concorrenza” con quelli ufficiali, per promuovere Stan e Oliver anche se non ancora formavano un duo. Dopo il successo iniziale, vennero accantonati in favore dei corti realizzati in coppia, soprattutto quelli sonori. In Europa e in Italia, questi ultimi furono molto più noti, mentre i muti finirono nell’oblio a partire dal 1931-32, anno in cui le ultime compilation che li includevano cessarono la distribuzione.

 

I film sonori continuarono a circolare fino al 1940, quando Laurel e Hardy lasciarono Hal Roach per intraprendere nuovi percorsi. Il loro catalogo contava circa 90 film, senza contare altre serie dello studio Roach, come quella di Charley Chase o dell’Our Gang. Nel frattempo, i negativi originali non versavano in buone condizioni. Hal Roach — e questo non vuole essere un atto d’accusa — non si preoccupò mai seriamente della conservazione delle sue vecchie opere, concentrato com’era sulla produzione continua di nuovi contenuti. Non era il solo: negli anni ’40 c’era scarso interesse per i film vecchi, e ancor meno per quelli muti. Così gran parte del catalogo finì nei depositi MGM, disponibile per il noleggio in 16 mm o per... fare la muffa. Uno di questi depositi era il Mercury Laboratory di New York, dove nel 1945 fu inviato il negativo 35 mm di Hats Off, prima di andare perduto — o, almeno, dimenticato.

Poi successe qualcosa. Roach si accorse che anche i film meno riusciti della coppia, girati per la Fox e la MGM, continuavano ad avere successo al botteghino. Siglò così un accordo per la riedizione di alcuni dei loro vecchi titoli. Nel 1943, la Film Classics firmò un contratto con Roach per ristampare gran parte della produzione post-1928. Alcuni titoli, come Pack Up Your Troubles e Pardon Us, ottennero buoni risultati, ma il lavoro di duplicazione della Film Classics danneggiò gravemente i materiali originali. La negligenza fu condivisa. Quando l’accordo si concluse nel 1951, la Astor Pictures di Robert Savini fu una delle tante società che acquisirono i diritti per riproporre i film in sala. In cerca solo di un guadagno immediato, molti di questi distributori abusarono dei negativi. Poi, nei primi anni ’50, arrivò la televisione. Le comiche mute ebbero un breve ritorno in TV. Considerate obsolete ma facilmente sfruttabili, furono trasmesse in programmi come Comedy Capers o Mischief Makers — approdati anche in Italia: qualcuno ricorda ancora oggi lo storico programma Oggi le comiche? Tagliate e rimontate, infarcite di pubblicità, quelle comiche divennero frammenti irriconoscibili.

Poi arrivò l’home video, e con esso un nuovo interesse culturale. Il primo a riconoscerne il valore fu il cineasta Robert Youngson, che tra il 1957 e il 1970 realizzò splendide compilation di comiche mute, due delle quali dedicate espressamente a Stanlio e Ollio. 

Come scrive Richard Bann in un dossier sulla preservazione dei loro film: “Selezionando i nitrati in decomposizione che voleva utilizzare su pellicola di sicurezza, li preservò. Youngson copiò tuttavia solo ciò che desiderava per il film che stava girando. Salvò quindi solo il filmato di Battle of the Century che incluse nella sua antologia. Aveva la possibilità di conservare l'intero film o farne una copia fine grain, ma il suo licenziatario, gli Hal Roach Studios, non fece nulla. Non molto tempo dopo che Youngson ebbe estratto ciò che gli serviva dalla bobina n.2 (contenente la famosa battaglia di torte), il resto della bobina si decompose nei depositi Bonded Storage di New York. Fu scartato e buttato via” (e ritrovato, decenni dopo, al MoMA). Il successo di quelle antologie e della prima biografia della coppia, firmata da John McCabe nel 1961, riaccese l’interesse. Gli Hal Roach Studios siglarono nuovi accordi per il mercato casalingo in crescita, soprattutto nei formati 8 mm e 16 mm. Fu qui che entrò in gioco la Blackhawk Films.

 

“Negli anni '70, quando lavoravo per la principale licenziataria, la Blackhawk Films Inc. di Davenport, Iowa — scrive ancora Bann —, venni a sapere che la società rimasterizzava i film di Roach in 35 mm, ma solo per creare un duplicato ridotto in 16 mm. Almeno, la Blackhawk tentò in buona fede di presentare i film ‘sostanzialmente come furono distribuiti all’epoca’, come recitavano le introduzioni. Inoltre, investì nei propri materiali di stampa, preservando gli originali.” I cataloghi erano disponibili nelle biblioteche, a noleggio o in vendita, ed erano una manna per i collezionisti. Ma Hats Offe The Battle of the Century non figuravano. Bann spiega: “Prima che la Blackhawk si affermasse nel mercato casalingo, i film muti MGM non furono mai concessi in licenza per stampe in formati ridotti. Nessuna copia completa in 16 mm di quei titoli verrà mai alla luce, perché non sono mai state stampate”.
 

Nel 1971, usciti dalla bancarotta, gli Hal Roach Studios videro il proprio patrimonio dividersi tra l’emisfero orientale e occidentale. In Europa, il copyright fu gestito da CCA. Hans Andresen e il più noto Dr. Leo Kirch (proprietario anche di KirchMedia e di diverse società di diritti televisivi) acquisirono la parte europea. Se avete comprato un DVD europeo di Laurel & Hardy, avrete letto nomi come Beta Taurus o Kinowelt: dietro c’era Kirch, che nel 1983 divenne anche proprietario del pacchetto MGM/UA e dei diritti Roach.

Fino al fallimento della Kirchgruppe nel 2002, Richard Bann supervisionò milioni di dollari investiti nel restauro del catalogo. I materiali in nitrato, depositati già nel 1969 alla Library of Congress, erano spesso in cattivo stato: solo Big Business e Double Whoopee si salvarono in buone condizioni. I primi restauri reali dei silents avvennero negli anni ’90, ma per molti film del 1926-27 si ricorse a copie in Super 8 o 16 mm. Tra il 1999 e il 2000 uscì la serie Lost Films of Laurel and Hardy, che rese disponibile il meglio disponibile all’epoca.

La ricerca però era cominciata decenni prima. David Shepard e Kent Eastin, fondatore della Blackhawk, iniziarono il loro lavoro già negli anni ’60. Dopo vari passaggi di proprietà, la Blackhawk fu rilevata da Hugh Hefner tramite Critics Choice. Shepard fondò la Film Preservation Associates con Bann e altri, e nel 1989 acquistò la cineteca. Nel 1990, il francese Serge Bromberg incontrò Shepard a New York: nacque un sodalizio con l’obiettivo di preservare il catalogo per le generazioni future. Il cofanetto Laurel & Hardy: Year One è dedicato proprio a Shepard, scomparso nel 2017.

E così siamo arrivati alla mia recensione. Se siete sopravvissuti fin qui, vi ringrazio: era necessario raccontare questa storia poco conosciuta. Bromberg e il suo team stanno lavorando alla restante produzione del 1928-29, e ogni nostro supporto sarà prezioso per i prossimi volumi in blu-ray. A proposito: il cofanetto è multiregione, e potete acquistarlo online.

 

Alla luce di tutto questo, possiamo considerare superato tutto ciò che sapevamo — e che abbiamo scritto — sui film muti di Laurel e Hardy. Rivederli oggi è davvero come vederli per la prima volta: il restauro ci riporta a come apparivano realmente all’epoca della loro uscita nelle sale, permettendoci di cogliere aspetti delle loro performance che prima ci erano sfuggiti. Questa sensazione è ancora più forte nei film del loro primo periodo, proprio perché erano quelli messi peggio, in condizioni critiche. Li ho rivisti con occhi nuovi e, in alcuni casi, ne ho cambiato il giudizio. Alcune di queste osservazioni voglio condividerle qui. Nel documentario con Serge Bromberg viene segnalato, per esempio, come alcuni film si siano rovinati in meno di cinque anni dal recupero operato da Robert Youngson (esemplare il caso di Putting Pants on Philip). Avrei voluto qualche dettaglio in più sul processo tecnico di restauro, ma le musiche sono molto ben scelte. Ogni cortometraggio presenta un prezioso commento audio di Randy Skretvedt, mentre il restauro è stato curato insieme a Éric Lange. Per dare un’idea dei risultati raggiunti, ho messo a confronto un fotogramma attuale con quelli utilizzati nella serie Lost Films of Laurel and Hardy del 2000: basta cliccare per ingrandire l’immagine.

 



The Lucky Dog è completo nei limiti del possibile: l'immagine è un po’ sporca, ma è la più nitida che io abbia mai visto per questo film. Diversi fotogrammi sono stati recuperati. L’incontro tra Stan e Oliver in questo film è, credo, una delle casualità più straordinarie della storia di Hollywood. Il produttore voleva lanciare Stan come comico e girò una comica pilota, per la quale chiamò un regista amico, che a sua volta si portò dietro un attore bravo nei ruoli da cattivo, tale Oliver Hardy.




45 minutes from Hollywoodcircolava già in una copia discreta pubblicata dalla Mk2 una quindicina d’anni fa, ma nel nuovo scan ha guadagnato in nitidezza. Come in quella copia, anche qui la sequenza con Stan alterna momenti di scarsa e ottima qualità. Peccato, perché in alcune fonti quella scena era visibile molto meglio. Non è un film da buttare, e Hardy è davvero buffo. Credo di aver notato qualche dettaglio in più nelle sequenze iniziali ambientate a Hollywood.


Duck Soupfinalmente completo, si fa apprezzare di più come comica: la qualità è davvero ottima. Rivedendolo con la famosa sequenza censurata (assente nelle copie americane), devo dire che si incastra male nella narrazione, ma dal punto di vista del restauro non possiamo lamentarci.



Slipping Wivesnon mi sono mai spiegato perché Hardy fosse così violento con Stan. In ogni caso, la copia è spettacolare, considerando che in precedenza era difficile perfino distinguere bene i volti degli attori (una copia Rai, in particolare, era imbarazzante). Il film, in sé, è una mezza cretinata. Non ricordavo che la gag finale del poliziotto colpito al sedere dal fucile fosse la stessa che si vede in Noi siamo le colonne.

 


Love ‘Em and Weepcircolava già in una splendida copia nei DVD tedeschi, e qui non solo si conferma tale, ma vengono recuperate anche le sequenze multi-tinte per esterni e interni. Una grande comica, anche se non ricordavo che Stan e Babe non condividessero neppure un’inquadratura, tranne il totale finale.


Why Girls Love Sailorsè passato da “film perduto” a “film che si vede uno specchio”. Forse qualcosa si è perso per sempre, ma poco male: il restauro riporta alla luce tutti i dettagli del volto di Oliver Hardy e i suoi sguardi irresistibilmente comici. A parte qualche gag, però, il film è davvero mediocre.


With Love and Hissesha avuto un restauro incredibile. Ho avuto l’impressione che nella scena del bagno fossero davvero tutti nudi come vermi, ma guardando meglio si nota che indossano costumi da bagno. La storia è poca, ma c’è tanto slapstick: cadute, rincorse, e uno Stan piuttosto effeminato.



 

Sailor’s Bewarevalorizza finalmente Anita Garvin come attrice comica. Stan e Babe iniziano a interagire con maggiore continuità. La comicità è piuttosto rozza — Stan che spinge un nano in carrozzina giù per le scale oggi farebbe insorgere i social — ma il ritmo è rapido. La copia è ottima, e in certi momenti la nitidezza sorprende, dato che il film circolava sempre in versioni rovinate. Alcuni intertitoli sono stati finalmente reinseriti nei punti corretti.


Do Detective Think?anche se la coppia non era ancora “ufficiale”, Stan e Babe sembrano nati per recitare insieme, proprio come succedeva già in Duck Soup. Non credo ci fosse nulla di casuale nemmeno nei costumi. Rivedendo Sailors dopo questo, è evidente che i due funzionavano benissimo insieme.

La copia è splendida. Era uno dei muti che si vedevano peggio, e ora è un vero spasso. Non mi ero mai accorto, per esempio, che quando i due prendono i sigari e strappano la punta, Ollie la sputa e Stan la ingoia. Come ha scritto Randy Skretvedt su Facebook: “L'unica omissione di cui sono a conoscenza è una molto breve inquadratura di Viola Richard che cammina verso la porta d'ingresso, presente solo in una fonte talmente scadente che includerla avrebbe stonato e distratto lo spettatore. La durata è di circa due secondi: nulla di grave”.



 

Flying Elephants, sse la memoria non mi inganna, le copie sopravvissute erano in 16 mm. L’immagine ora è così completa che si nota un membro della troupe che, a destra di Stan, gli tira i pesci mentre lui pesca nell’acqua. Copia ottima.


 

Sugars Daddies, copia nitida ma molto graffiata, perché — come nel film precedente — è stata ricostruita come un Frankenstein di fonti diverse. A un certo punto, la combinazione Stan-Babe-Finlayson deve aver convinto Roach a farne un vero duo. Tuttavia, il film mescola elementi già visti in Love ‘Em and Weep e Slipping Wives, e la noia prende il sopravvento. Ma dalla fuga in poi, fino all’arrivo al luna park, la comica prende la giusta piega “a due”; è evidente che allo studio si siano detti: “Facciamoli tornare insieme, vediamo come reagisce il pubblico”.



The Second Hundred Yearsè tornato finalmente “in vita”, con sequenze recuperate e mai viste prima, soprattutto quelle iniziali e quelle “tinte” in blu con la gag del poliziotto che cade nella vernice. Il film non è così esilarante come si ricordava, ma la prima parte vale da sola il prezzo del cofanetto.



Call of the Cuckoo
qualità eccellente. Max Davidson, come protagonista, non era certo un fuoriclasse della risata. Però vedere insieme Laurel, Hardy e Charley Chase, affiancati da Finlayson e Charlie Hall, fa sempre piacere. Le loro scene, però, risultano un po’ fuorvianti.


Putting Pants on Philip
restaurato in modo meraviglioso, è a mio parere uno dei più divertenti della loro prima fase. L’anello mancante con Hats Off è ormai chiaro: qui sono una coppia a tutti gli effetti, anche se il debutto “ufficiale” era avvenuto con The Second Hundred Years. La MGM promosse entrambi i film con grande impegno.


The Battle of the Centuryil restauro lo conoscevamo già, ma questa versione migliora ulteriormente rispetto a quella presente nel cofanetto The Definitive Restorations. Troveremo mai la fine del primo rullo? Resta un film geniale.

Conclusione: Il periodo 1926-27 rappresentava lo zoccolo duro della conservazione della loro filmografia. Il lavoro fatto è davvero notevole, e possiamo perdonare i graffi visibili, considerando che questi film hanno 96 anni. È incredibile notare i passi avanti compiuti dalle tecnologie di restauro dal 2000 (epoca dei “Lost Films”) a oggi.

Ringrazio per la collaborazione Valerio Greco, Benedetto Gemma e Stefano Cacciagrano.

giovedì 7 settembre 2023

Quando Stanlio e Ollio non andarono a Venezia

Verso la conclusione dell'80ª edizione della Mostra Cinematografica di Venezia, ho pensato di rispolverare dagli archivi una vecchia storiella che avevo letto molti anni fa in un numero di Cinema Illustrazione, una delle riviste più interessanti dedicate al cinema e al divismo — soprattutto quello americano — che all’epoca faceva volare la fantasia dei lettori verso il mito di Hollywood.

Oltre al notiziario, alle gallerie fotografiche dei grandi film in uscita e alle recensioni, la rivista ospitò per un periodo di quattro anni una rubrica di racconti intitolata Cronache di Hollywood, firmata da Jules Parme, pseudonimo dietro cui si celava il giovane Cesare Zavattini. La sua già fertilissima fantasia dava vita a corrispondenze immaginarie, spesso scambiate per vere. Fu proprio il mio caso quando, sfogliando un numero in biblioteca, trovai una cronaca dedicata a Stan Laurel e Oliver Hardy a Venezia, nell’agosto del 1932.

Il cronista Parme, alias Zavattini, aveva in realtà preso spunto da un viaggio compiuto dalla celebre coppia comica fra luglio e agosto di quell’anno. Un viaggio che ebbe così tanto successo da trasformare quella che doveva essere una semplice vacanza in un vero e proprio tour promozionale. Il loro successo oltreoceano era notevole, ma all’epoca Stan e Oliver — a parte qualche serata di beneficenza negli Stati Uniti — non erano affatto consapevoli della fama che avevano raggiunto nel resto del mondo. Fu proprio in quell’occasione che toccarono con mano la dimensione del loro mito: un autentico trionfo divistico.

Le cineprese immortalarono folle in delirio nelle stazioni di Waterloo, Londra, Edimburgo, fino al passaggio a Parigi, fra il 10 e il 15 agosto. La MGM organizzò persino una registrazione discografica di ringraziamento, incisa il 18 agosto presso i Columbia Recording Studios.

In Italia Stan e Oliver erano conosciuti, ma senza clamore. Aveva riscosso un certo successo il film Pardon Us, arrivato nel 1931 in una versione “fonetica” girata da loro stessi in lingua italiana e intitolata Muraglie. Tuttavia, il celebre doppiaggio "buffo" che avrebbe esaltato le loro storpiature linguistiche non era ancora stato inventato. Non venivano neppure chiamati Stanlio e Ollio, ma piuttosto “Crick e Crock”.

Un loro passaggio a Venezia avrebbe certamente suscitato interesse, ma la Mostra Cinematografica era ancora alla sua primissima edizione, e l’attenzione era rivolta soprattutto al cinema internazionale di maggiore prestigio. I divi della commedia e i loro film non furono presi in considerazione (basti ricordare che gli Stati Uniti furono rappresentati da titoli come L’uomo che ho ucciso di Ernst Lubitsch, Il dottor Jekyll di Rouben Mamoulian, Proibito di Frank Capra, Frankenstein, Grand Hotel e altri).Eppure, Cinema Illustrazione fece di tutto per far credere il contrario. Nel n. 34 fu pubblicata una loro foto scattata a Parigi, spacciandola per un’immagine veneziana. Nel n. 35, datato 31 agosto 1932, Parme/Zavattini firmò un pezzo breve — piuttosto di grana grossa, a dire il vero — che raccontava un loro presunto passaggio a Venezia. Un testo lontano dall’umorismo tipico della coppia, e che oggi si fatica a leggere senza un sorriso d’imbarazzo.

 

Anche Stan Laurel e Oliver Hardy hanno già radiotelegrafato i primi appunti sulla loro sosta europea. 

«Dicono che l'Europa sia travagliata dalla crisi. Infatti, in molte vetrine di librai non abbiamo visto che libri su questo argomento. Ma nella realtà., ci è sembrato che dappertutto regnasse il buon umore. In Italia la folla ci circondava e intorno a noi era sempre una cinematografia di volti sorridenti, Ma ora vi vogliamo raccontare una piccola avventura toccatavi a Venezia, dove andammo per assistere al Festival Cinematografico. La cameriera di un albergo, una viennese, aveva colpito il cuore di entrambi. La piccola Circe civettava con l'uno e con l'altro sicché non sapevano chi fosse prescelto. 'Una sera, io, Oliver Hardy, riuscii a parlarle per le scale... Alla sera ricevetti un suo biglietto: «Vi aspetto questa notte alle due, camera numero 130». Ero pazzo di gioia. Vi assicuro che di una cameriera così si potrebbe fare una vamp. Ma come potevo fare a liberarmi di Stan Laurel, che dormiva nella mia camera? Ebbi un pensiero. Infatti alle due in punto cominciai a lagnarmi forte che mi doleva la testa, il ventre, o che so io. Stan Laurel si alzò e disse: «Vado giù io a chiamare il medico, calmati», «No, Laurel del mio cuore, prendi questa ricetta e va nella più vicina farmacia a prendere il calmante che v’è segnato. Vacci tu poiché non vorrei che, andandoci un altro tardasse troppo. E io non ne posso più...». 

Diedi un foglietto di carta, che avevo preparato prima, a Laurel e questo andò via di corsa. Allora mi vestii, pian piano e con il cuore in festa mi avviai verso il numero 130. Mi aspettava la più amara delusione. Chiuso a chiave! Passeggiai a lungo nel corridoio, tornai a bussare. Niente. Dopo mezz’ora mi parve di sentire nell'interno della camera uno scricchiolio... Il mio cuore diede un balzo. E ridevo dentro di me pensando a Laurel che doveva esser rimasto di sasso nel non trovarmi in camera...». 

A un tratto la porta si dischiuse e apparve... Apparve Stan Laurel, con una faccia da schiaffi che non immaginate. Seppi la spiegazione dell'enigma il giorno dopo, quando ci rappacificammo. Io gli avevo, consegnato, per sbaglio, anziché la ricetta, il biglietto che mi aveva mandato la cameriera. E Laurel che se l'era letto per le scale, aveva subito...mangiato la foglia».

 

Al di là del dettaglio — piuttosto eloquente — della nazionalità della cameriera, specificata come “viennese” perché, evidentemente, una italiana non avrebbe potuto essere così “facile”, il pezzo non figura certo tra i migliori scritti da Zavattini. E, curiosamente, Stan Laurel e Oliver Hardy non visiteranno mai Venezia. In Italia trascorreranno soltanto cinque giorni intensi nella seconda metà di giugno del 1950, durante un tour promozionale per un film che dovevano ancora girare: Atoll K, l’ultimo della loro carriera. In quell’occasione faranno tappa a Sanremo, Genova, Milano e infine Roma.