Verso la conclusione dell'80ª edizione della Mostra Cinematografica di Venezia, ho pensato di rispolverare dagli archivi una vecchia storiella che avevo letto molti anni fa in un numero di Cinema Illustrazione, una delle riviste più interessanti dedicate al cinema e al divismo — soprattutto quello americano — che all’epoca faceva volare la fantasia dei lettori verso il mito di Hollywood.
Oltre al notiziario, alle gallerie fotografiche dei grandi film in uscita e alle recensioni, la rivista ospitò per un periodo di quattro anni una rubrica di racconti intitolata Cronache di Hollywood, firmata da Jules Parme, pseudonimo dietro cui si celava il giovane Cesare Zavattini. La sua già fertilissima fantasia dava vita a corrispondenze immaginarie, spesso scambiate per vere. Fu proprio il mio caso quando, sfogliando un numero in biblioteca, trovai una cronaca dedicata a Stan Laurel e Oliver Hardy a Venezia, nell’agosto del 1932.
Il cronista Parme, alias Zavattini, aveva in realtà preso spunto da un viaggio compiuto dalla celebre coppia comica fra luglio e agosto di quell’anno. Un viaggio che ebbe così tanto successo da trasformare quella che doveva essere una semplice vacanza in un vero e proprio tour promozionale. Il loro successo oltreoceano era notevole, ma all’epoca Stan e Oliver — a parte qualche serata di beneficenza negli Stati Uniti — non erano affatto consapevoli della fama che avevano raggiunto nel resto del mondo. Fu proprio in quell’occasione che toccarono con mano la dimensione del loro mito: un autentico trionfo divistico.
Le cineprese immortalarono folle in delirio nelle stazioni di Waterloo, Londra, Edimburgo, fino al passaggio a Parigi, fra il 10 e il 15 agosto. La MGM organizzò persino una registrazione discografica di ringraziamento, incisa il 18 agosto presso i Columbia Recording Studios.
In Italia Stan e Oliver erano conosciuti, ma senza clamore. Aveva riscosso un certo successo il film Pardon Us, arrivato nel 1931 in una versione “fonetica” girata da loro stessi in lingua italiana e intitolata Muraglie. Tuttavia, il celebre doppiaggio "buffo" che avrebbe esaltato le loro storpiature linguistiche non era ancora stato inventato. Non venivano neppure chiamati Stanlio e Ollio, ma piuttosto “Crick e Crock”.
Anche Stan Laurel e Oliver Hardy hanno già radiotelegrafato i primi appunti sulla loro sosta europea.
«Dicono che l'Europa sia travagliata dalla crisi. Infatti, in molte vetrine di librai non abbiamo visto che libri su questo argomento. Ma nella realtà., ci è sembrato che dappertutto regnasse il buon umore. In Italia la folla ci circondava e intorno a noi era sempre una cinematografia di volti sorridenti, Ma ora vi vogliamo raccontare una piccola avventura toccatavi a Venezia, dove andammo per assistere al Festival Cinematografico. La cameriera di un albergo, una viennese, aveva colpito il cuore di entrambi. La piccola Circe civettava con l'uno e con l'altro sicché non sapevano chi fosse prescelto. 'Una sera, io, Oliver Hardy, riuscii a parlarle per le scale... Alla sera ricevetti un suo biglietto: «Vi aspetto questa notte alle due, camera numero 130». Ero pazzo di gioia. Vi assicuro che di una cameriera così si potrebbe fare una vamp. Ma come potevo fare a liberarmi di Stan Laurel, che dormiva nella mia camera? Ebbi un pensiero. Infatti alle due in punto cominciai a lagnarmi forte che mi doleva la testa, il ventre, o che so io. Stan Laurel si alzò e disse: «Vado giù io a chiamare il medico, calmati», «No, Laurel del mio cuore, prendi questa ricetta e va nella più vicina farmacia a prendere il calmante che v’è segnato. Vacci tu poiché non vorrei che, andandoci un altro tardasse troppo. E io non ne posso più...».
Diedi un foglietto di carta, che avevo preparato prima, a Laurel e questo andò via di corsa. Allora mi vestii, pian piano e con il cuore in festa mi avviai verso il numero 130. Mi aspettava la più amara delusione. Chiuso a chiave! Passeggiai a lungo nel corridoio, tornai a bussare. Niente. Dopo mezz’ora mi parve di sentire nell'interno della camera uno scricchiolio... Il mio cuore diede un balzo. E ridevo dentro di me pensando a Laurel che doveva esser rimasto di sasso nel non trovarmi in camera...».
A un tratto la porta si dischiuse e apparve... Apparve Stan Laurel, con una faccia da schiaffi che non immaginate. Seppi la spiegazione dell'enigma il giorno dopo, quando ci rappacificammo. Io gli avevo, consegnato, per sbaglio, anziché la ricetta, il biglietto che mi aveva mandato la cameriera. E Laurel che se l'era letto per le scale, aveva subito...mangiato la foglia».
Al di là del dettaglio — piuttosto eloquente — della nazionalità della cameriera, specificata come “viennese” perché, evidentemente, una italiana non avrebbe potuto essere così “facile”, il pezzo non figura certo tra i migliori scritti da Zavattini. E, curiosamente, Stan Laurel e Oliver Hardy non visiteranno mai Venezia. In Italia trascorreranno soltanto cinque giorni intensi nella seconda metà di giugno del 1950, durante un tour promozionale per un film che dovevano ancora girare: Atoll K, l’ultimo della loro carriera. In quell’occasione faranno tappa a Sanremo, Genova, Milano e infine Roma.
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