giovedì 7 settembre 2023

Quando Stanlio e Ollio non andarono a Venezia

Verso la conclusione della 80edizione della Mostra Cinematografica di Venezia, ho pensato di spolverare dagli archivi una vecchia storiella che avevo letto molti anni fa in un numero di Cinema Illustrazione, una delle riviste più interessanti sull’argomento e sul divismo soprattutto americano che all’epoca faceva volare la fantasia dei lettori verso il mito di Hollywood. Oltre al notiziario, alle gallerie fotografiche dei grandi film in uscita, le recensioni, la rivista aveva avuto per un periodo di quattro anni una rubrica di racconti dal titolo Cronache di Hollywood, firmate da Jules Parme, che altri non era uno pseudonimo del giovane Cesare Zavattini: la sua già fertilissima fantasia scatenava corrispondenze immaginarie che spesso venivano prese per buone, come accadde al sottoscritto quando sfogliando in biblioteca trovai questo numero con le cronache di Stan Laurel e Oliver Hardy a Venezia, nell’agosto del 1932. Il cronista Parme alias Zavattini in verità aveva preso spunto dal viaggio che la coppia di comici aveva affrontato fra luglio e agosto di quell’anno, che tanto ebbe successo da trasformare quella che doveva essere una semplice vacanza dei due colleghi in un vero giro promozionale. Il loro successo oltreoceano, infatti, era notevolissimo ma all’epoca Stan e Oliver, a parte alcune serate di beneficenza negli Stati Uniti, non erano affatto consapevoli di quanto fossero diventati famosi in tutto il mondo. Toccarono con mano il vero trionfo divistico. Le cineprese immortalarono folle impazzite nelle stazioni di Waterloo, Londra, Edimburgo fino al passaggio di Parigi, fra il 10 e il 15 agosto: la MGM organizzò loro persino un disco di ringraziamenti, registrato il 18 agosto ai Columbia Recording Studios. In Italia Stan e Oliver erano conosciuti ma senza clamori: aveva avuto grande successo il film Pardon Us, arrivato nel ’31 in una versione fonetica girata da loro stessi in lingua italiana intitolata Muraglie, ma il doppiaggio “buffo” che avrebbe ripreso le loro storpiature linguistiche ancora non era stato inventato, né venivano chiamati Stanlio e Ollio, ma “Crick e Crock”. Un loro passaggio a Venezia avrebbe destato un certo interesse, ma in realtà la Mostra Cinematografica di Venezia era alla primissima edizione e gli occhi erano puntati su un cinema internazionale di maggiore autorevolezza, e i divi comici e i loro film non vennero presi in considerazione (basti ricordare che gli Stati Uniti furono rappresentati da titoli come L'uomo che ho ucciso, di Ernst Lubitsch, Il dottor Jekyll, di Rouben Mamoulian, Proibito di Frank Capra, e Frankenstein, Grand Hotel, ecc.). 

Eppure, Cinema Illustrazione fece di tutto per far credere il contrario: nel n.34 viene pubblicata una loro foto scattata a Parigi dicendo che si trattava di Venezia, e nel n.35, del 31 agosto 1932, Parme/Zavattini firma un pezzo breve, piuttosto di grana grossa se vogliamo essere onesti, tanto è lontana dall’umorismo della coppia, di un loro passaggio veneziano. Ecco la trascrizione:

 

Anche Stan Laurel e Oliver Hardy hanno già radiotelegrafato i primi appunti sulla loro sosta europea. 

«Dicono che l'Europa sia travagliata dalla crisi. Infatti, in molte vetrine di librai non abbiamo visto che libri su questo argomento. Ma nella realtà., ci è sembrato che dappertutto regnasse il buon umore. In Italia la folla ci circondava e intorno a noi era sempre una cinematografia di volti sorridenti, Ma ora vi vogliamo raccontare una piccola avventura toccatavi a Venezia, dove andammo per assistere al Festival Cinematografico. La cameriera di un albergo, una viennese, aveva colpito il cuore di entrambi. La piccola Circe civettava con l'uno e con l'altro sicché non sapevano chi fosse prescelto. 'Una sera, io, Oliver Hardy, riuscii a parlarle per le scale... Alla sera ricevetti un suo biglietto: «Vi aspetto questa notte alle due, camera numero 130». Ero pazzo di gioia. Vi assicuro che di una cameriera così si potrebbe fare una vamp. Ma come potevo fare a liberarmi di Stan Laurel, che dormiva nella mia camera? Ebbi un pensiero. Infatti alle due in punto cominciai a lagnarmi forte che mi doleva la testa, il ventre, o che so io. Stan Laurel si alzò e disse: «Vado giù io a chiamare il medico, calmati», «No, Laurel del mio cuore, prendi questa ricetta e va nella più vicina farmacia a prendere il calmante che v’è segnato. Vacci tu poiché non vorrei che, andandoci un altro tardasse troppo. E io non ne posso più...». 

Diedi un foglietto di carta, che avevo preparato prima, a Laurel e questo andò via di corsa. Allora mi vestii, pian piano e con il cuore in festa mi avviai verso il numero 130. Mi aspettava la più amara delusione. Chiuso a chiave! Passeggiai a lungo nel corridoio, tornai a bussare. Niente. Dopo mezz’ora mi parve di sentire nell'interno della camera uno scricchiolio... Il mio cuore diede un balzo. E ridevo dentro di me pensando a Laurel che doveva esser rimasto di sasso nel non trovarmi in camera...». 

A un tratto la porta si dischiuse e apparve... Apparve Stan Laurel, con una faccia da schiaffi che non immaginate. Seppi la spiegazione dell'enigma il giorno dopo, quando ci rappacificammo. Io gli avevo, consegnato, per sbaglio, anziché la ricetta, il biglietto che mi aveva mandato la cameriera. E Laurel che se l'era letto per le scale, aveva subito...mangiato la foglia».

 

Al di là del dettaglio della nazionalità della cameriera, specificata viennese perché una italiana non avrebbe potuto essere così “facile”, il pezzo non è fra i migliori scritti da Zavattini. E, curiosamente, Laurel e Hardy non visiteranno mai Venezia. In Italia passeranno per cinque giorni intensi nella seconda metà di giugno del 1950, durante un giro promozionale per un film che dovevano ancora girare dal titolo Atoll K, l’ultimo della loro carriera, passando a Sanremo, Genova, Milano e poi Roma. 

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