giovedì 20 febbraio 2014

The Monuments Men: recensione senza scintilla

Ecco quello che si dice un film tanto atteso. Annunci a titoli grossi così su Variety, interviste da Letterman, da Fazio, tappeto rosso a Berlino, Londra e Milano, un libro che esce, star stellare, regista rilassato e sicuro e affascinante, insomma ecco che esce il film di e con George Clooney, la gente si strappa i vestiti, i fotografi si appendono per aria, poi buio in sala, parte il film. 
Dormono tutti. 
Abbiamo visto Monuments Men, gli uomini della Monumenti, la divisione dell’esercito americano degli Stati Uniti voluta fortemente dal Presidente per salvaguardare le opere d’arte che in Europa rischiavano di sparire o di bruciare. E’ una storia vera, i nazisti e zio Adolfo, pittore mediocre in gioventù, volevano rubare tutte le opere d’arte dei paesi invasi per il potere assoluto della cultura e anche per riempire un Museo dell’Arte nazista (Führermuseum) per quel matto del Fuhrer. Ora, come fai a spiegare agli ufficiali in trincea che non possono bombardare una chiesa o un castello medioevale – a rischio dei loro uomini e della riuscita della guerra in corso – perché otto uomini di mezz’età, per quanto culturalmente importanti, sono stati autorizzati a deciderlo? Una missione poco convinta e appoggiata, ciò nonostante gli otto uomini salvarono milioni di opere trafugate in Francia, in Italia, nella stessa Germania e Inghilterra e, cosa più importante e clamorosa, scoprirono che in una delle miniere dove i nazisti nascosero migliaia di quadri, statue, c’erano anche milioni di lingotti d’oro. In un sol colpo, otto tizi sbancarono l’oro germanico, le risorse economiche di Hitler che, rimasto col culo per terra, non si arrese e si sparò un colpo in testa nel suo bunker. 
Oppure, è in incognito in Brasile, nei panni di un’amabile vecchio pensionato, come la leggenda narra.
E’ una storia vera, e io ho letto il libro di Robert M. Edsel. Poco raccontata, ma molto appassionante, la lunga vicenda dei “Monuments Men” era perfetta per finire in un film classico hollywoodiano. Quei film di guerra alla John Wayne, ma con un certo humor alla Billy Wilder. Insomma, sapete quei capolavori allucinanti che non rifaranno mai più? Alla John Wayne, perché la storia trasuda di patriottismo e durezza, difficoltà (erano 8, e nessuno li aiutava davvero, e trovarono più difficoltà di quelle raccontate nel film) e sudore, sacrifici e momenti cult (uno cita espressamente il vecchio Wayne); alla Wilder, perché per quanto difficile sia stata la loro missione – uno di loro, come leggo nel libro, morì in seguito ad una improvvisa esplosione – di base c’era un certo umorismo – mezza età, bonarietà e cameratismo forzato, un po’ come in “M.A.S.H.”, ma senza graffiare molto, diciamo che siamo vicini più al compiacimento di Tony Curtis e alle coppie alla Stanlio e Ollio – che solo il grande regista viennese sapeva raccontare; infine, tragicità, è stato scritto che in questo film che le scene di guerra sono goffe, ma il gruppetto di architetti ed esperti storici arrivavano quando le battaglie erano finite, con una atmosfera quasi bizzarra, come se quei 8 erano lì per raccogliere i cocci che sparare col fucile, e quindi non erano fondamentali da mostrare. Insomma, un film da fare. E di questo ringrazio Clooney.
Come l’ha fatto, è un altro paio di maniche. Le critiche generali – oltre il 70% - sono negative. Forse sono eccessive, c’è chi disprezza il Clooney regista presuntuoso, chi s’è annoiato a morte, in effetti è il ritmo il difetto maggiore. Su due ore di film, ha dei momenti di stanca troppo frequenti e, come ho detto all'inizio, ho letto che all'anteprima qualcuno s’è addormentato davvero. Forse troppe voci off, troppi dialoghi, troppa attenzione a sequenze banali, eppure non mi è dispiaciuto affatto. Certo, le differenze dal libro sono un bel po’ (l’impiegata del museo francese, Rose Valland, in realtà era ben oltre l’età di Cate Blanchett, e non ebbe nessuna attrazione sentimentale con James Rorimer, interpretato da Matt Damon), qualche personaggio inventato è stato comunque basato su reali protagonisti - come i ruoli di Bill Murray, John Goodman e Bob Balaban, ma rimane abbastanza fedele sugli eventi. Non sono la sporca dozzina, non è la scampagnata della Banda Bassotti, né veri soldati, sono invece i protagonisti di un film che mantiene un certo fascino anche se ha pochi momenti memorabili. Gli manca la scintilla del buon film, più che del capolavoro. E si esce dalla sala con un dubbio: è il copione, incerto fra dramma e commedia, o il regista ad aver sbagliato? Il cast no di certo: Clooney e Damon sono in parte, Murray è perfetto (antologia pura la scena del grammofono con gli auguri della moglie e dei figli messo nell'altoparlante del campo militare, una sequenza accaduta davvero), molto cupo ed azzeccato Balaban, molto bravi anche John Goodman e Jean Dujardin, che tornano a lavorare insieme dopo “The Artist”; si respira quel divertimento e quel fascino di vederli assieme e in divisa come quei vecchi film “all stars”. Clooney non è un regista presuntuoso: conosce bene il vecchio cinema americano che cita con ammirazione, e si fa sostituire nel finale dal padre, Nick.







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