domenica 15 ottobre 2023

Sherlock Holmes all’italiana

Dopo le parodie di Sherlock Holmes nel cinema muto italiano, l’argomento di oggi è l’unica versione italiana mai realizzata: e bisogna tornare indietro al 1968 per raccontare l’’unico Holmes made in Italy interpretato dal grande attore Nando Gazzolo. All’epoca le fiction si chiamavano sceneggiati ed erano trasposizioni televisive di opere teatrali o letterarie: avevano tempi televisivi che oggi potremmo considerare mortali, ma con un’alta eleganza nella confezione e una scelta di prim’ordine nel cast che, sottolineo, proveniva dal teatro classico. Era una Rai opposta a quella di oggi: gli sceneggiati fungevano da servizio pubblico per far arrivare al pubblico italiano dell’epoca storie, personaggi e paesaggi che a scuola avevano finto di apprendere. Basta fare un salto su Raiplay e godersi quella meraviglia degli anni ’60, per rendersene conto: Sherlock Holmes, andato in onda in sei puntate nel 1968, presente sulla piattaforma, non è da meno. Diretto dallo specialista Guglielmo Morandi, lo sceneggiato presentava due romanzi scritti da Arthur Conan Doyle, La valle della paura e Il mastino di Baskerville, rispettivamente ultimo e terzultimo della saga di Holmes, adattati da Edoardo Anton, sceneggiatore di grande esperienza (lavorò con Risi, Comencini, Bolognini, Blasetti). Questa produzione fu realizzata per rilanciare gli scritti di Conan Doyle in Italia, in quel periodo poco considerati nel nostro paese; la scelta di Gazzolo e Gianni Bonagura come Holmes e Watson non fu casuale, perché nel doppiaggio avevano prestato la loro voce in questi ruoli in due film: Gazzolo aveva doppiato Peter Cushing nel film La furia di Baskerville (1959), all’epoca una delle ultime versioni cinematografiche arrivate in Italia, mentre Gianni Bonagura, grandissimo, doppiò Donald Houston in A Study in Terror (Sherlock Holmes: notti di terrore, 1965). È opinione di molti esperti che Bonagura è stato uno dei migliori Watson di sempre: ironico, scaltro, rispettoso del suo amico più intelligente. Non da meno Gazzolo-Sherlock, più fisicamente possente rispetto ai precedenti, ma perfettamente calato nel ruolo: circondati da ottimi attori, il duo è piacevole, e la curiosità di vedere due italiani in questi panni inglesissimi suscitò interesse da parte della stampa italiana e da quella locale che seguì le riprese che si svolsero nell’estate del ’68 fra l’Inghilterra (per gli esterni), e e Napoli per gli interni. Il pubblico apprezzò l’operazione (l’indice di gradimento fu di 78-80: non essendoci ancora l’auditel, il sistema di ascolto si basava su delle telefonate random presso gli abbonati, e la cifra si intendeva come percentuale di apprezzamento), la critica meno: colpevole, a leggere le recensioni, un ritmo più lento del solito, e una prolissità nel racconto. Dividere due romanzi in sei puntate in effetti era un po’ troppo, almeno con quella lentezza che ancora oggi pesa sulla visione, ma il bianco e nero trasmette, soprattutto per Il mastino di Baskerville, un’atmosfera cupa, quasi gotica. Si trattò di una versione italiana unica, che nessuno ha avuto più coraggio – e fortunatamente, vista la qualità di oggi – di replicare.

E in radio? Qui, come direbbe Totò, casca l’asino: perché il primo Sherlock Holmes italiano fu radiofonico, e cioè il mitico Ubaldo Lay (il futuro tenente Sheridan televisivo): I gialli di Sherlock Holmes andò in onda sul Programma Nazionale (futura Radio Rai1) dal 2 luglio 1958 per dodici appuntamenti adattati da Marco Visconti, con Lay-Holmes e Renato Cominetti-Watson: nel cast di un paio di puntate, figurava proprio Gianni Bonagura. 


All’epoca della realizzazione di questo Sherlock Holmes, la televisione americana e britannica aveva già prodotto le sue versioni: nel 1954, toccò all’americano Ronald Howard, nel 1965 all’inglese Douglas Wilmer per una famosa serie della BBC, poi sostituito da Peter Cushing nel ’68; prima di Gazzolo, solo un altro attore non anglosassone era “stato” Sherlock, Erich Schellow, per la televisione tedesca, nel 1967: e proprio tedesco fu il primo “straniero” anche nel cinema, negli anni Dieci. 

Inoltre, l’Italia fu co-produttrice del film Sherlock Holmes und das Halsband des Todes (Sherlock Holmes – la valle del terrore, 1962), con Christopher Lee nel ruolo principale, considerato uno dei “peggiori” Holmes della storia.

 

Trame & credit

 

Per questo sceneggiato vengono scelti due romanzi che vedono Holmes e Watson fuori da Londra e dal loro quartier generale a Baker Street: ne La valle della paura, pubblicato nel 1915, sono chiamati dall’ispettore MacDonald a indagare sulla morte di John Douglas, americano trapiantatosi in Inghilterra e proprietario di un piccolo castello nella campagna inglese. Holmes risolverà il mistero della piccola truffa messa in piedi dal defunto (il cadavere è quello del suo assassino, che covava vendetta contro di lui da molti anni da parte di una società massonica chiamata I vendicatori), dalla moglie Ivy Douglas e del loro ospite Cecil Baker, amico di vecchia data di Douglas. Con Leonardo Severini (Ames), Cesarina Gheraldi (Mrs. Allen), Anna Miserocchi (Ivy Douglas), Mario Erpichini (Cecil Baker), Francesco Paolo D'Amato (Jack McDonald), Antonietta Lambroni (Mrs. Clarke), Francesco Sormano (Ispettore McDonald), Enrico Ostermann (Ispettore Mason), Giuseppe Mancini (Jackson), Mario Laurentino (Sergente Wood), Ernesto Colli (Turner), Francesco Vairano (usciere), Michele Borelli (Groom), Andrea Bosic (John Douglas/ John McMurdo), Nino Pavese (McGinty).

L’ultimo dei Baskerville, pubblicato nel 1902, è una delle storie più famose di Conan Doyle, qui raccontata con alcune differenze soprattutto nell’antefatto, ma la sostanza rimane la stessa: a seguito della morte misteriosa di sir Charles Baskerville, il nipote Henry diventa unico erede delle sue ricchezze e arriva nella tenuta di Baskerville dall’America per prenderne possesso. Holmes e Watson, giunti sul posto dopo aver ricevuto l’invito di sir Charles, iniziano le indagini scoprendo che la vicenda coinvolge una leggenda di famiglia vecchia di secoli e un fantomatico cane demoniaco. Fingendo di lasciare il solo Watson in aiuto dell'erede Henry Baskerville, nipote della vittima, Holmes continua l'indagine individuando il colpevole in John Stapleton, un vicino in realtà discendente dei Baskerville che, conoscendo la malattia di cuore di sir Charles, gli ha scatenato contro un vero grosso cane provocandone la morte per attacco cardiaco e attuando poi lo stesso piano contro il nipote allo scopo di diventare l'erede della proprietà. Salvato sir Henry per un soffio, Holmes e Watson inseguono Stapleton ma l'assassino commette l'errore fatale di entrare nella palude della brughiera in piena notte non emergendone più. Con Franco Volpi (Maggiore Frankland), Paolo Carlini (Sir Henry Baskerville), Antonio Salines (John Barrymore), Adolfo Geri (Dottor Mortimer), Anna Maria Ackermann (Elisa Barrymore), Marina Malfatti (Beryl), Sergio Reggi (Sergente Reynolds), Franco Scandurra (John Stapleton), Michele Mattera (Richard), Marco Pasquini (soldato), Attilio Fernandez (Perkins).

 

Le reazioni

 

Lo sceneggiato andò in onda dal 25 ottobre al 29 novembre 1968 sul Secondo Canale, alle 21:15. Avrebbe dovuto debuttare l’11 ottobre ma all’ultimo momento un cavillo contrattuale con gli eredi di Conan Doyle bloccò la messa in onda, slittando così al 25. All’epoca il giallo era un genere molto seguito dagli spettatori italiani – andavano forte il tenente Sheridan con Ubaldo Lay, Le inchieste del commissario Maigret con Gino Cervi, e da lì a poco avrebbe debuttato Nero Wolfe, con Tino Buazzelli – ma questo Holmes non entrò esattamente nel cuore del pubblico. Una lettera di uno spettatore, ad esempio, lamentava: “l’eccessiva lentezza, la suspense diluita in disutilissime lungaggini, i melensi complimenti reciproci fra Holmes-Gazzolo e Watson-Bonagura, tutto l'episodio conclusivo è stato guastato dalla recitazione nevrotica, quasi isterica dell'attore che impersonava l'ispettore di polizia”. Le altre sono su questo tenore, e i quotidiani non furono teneri. La Stampa del 9 novembre 1968, annota su La valle della paura: “è una storia lenta, diluita, che al lettore di oggi risulta quasi insopportabile. Comunque, con tutti i suoi gravi difetti, era un impianto nient’affatto disprezzabile, con un meccanismo che, depurato dai florilegi di un vecchio stile di sapore decadente e da divagazioni e disquisizioni inutili, si rivela piuttosto ben congegnato”; dopo averso visto Il mastino di Baskerville, il recensore finalmente rimane soddisfatto e il 16 novembre scrive: “L'avvio è stato impeccabile, come giallo (…) Bisogna dire che questa sequenza era molto ben realizzata, con un senso abile di suspense che ne «La valle della paura» avevamo atteso invano per tre puntate. Ma anche dopo, salvo un paio di brevi cadute qua e là, il ritmo s'è mantenuto soddisfacente. Il dialogo a tre (Carlini, Gazzolo e Bonagura) è andato in crescendo e il finale del capitolo con l'ululato agghiacciante dell'ignoto mostro, e col servo sorpreso a fare segnali, e Sherlock Holmes che insegue un individuo nella landa e che per poco non ci rimette la pelle, infilzato da un pugnale, era teso e condotto col gusto del classico racconto del terrore. (…) Nando Gazzolo ci è sembrato meno professorale e Gianni Bonagura meno stupefatto”. Le critiche dell’epoca hanno comunque fatto il suo tempo, al di là del contesto storico degli sceneggiati Rai che non brillavano per ritmo ma ricambiavano in grandezza d’attori e confezione, e oggi lo Sherlock Holmes di Gazzolo è fra i più ricordati negli attori non anglosassoni che si sono cimentati in questo non facile ruolo. 

 

Dietro le quinte

 

Edoardo Anton si approcciò al copione con il cruccio fondamentale di quale taglio dargli. “L’ostacolo maggiore ad una trasposizione di Sherlock Holmes per la televisione italiana era rappresentato dall'elemento più valido dell’epoca di Conan Doyle: il suo personaggio principale; che, proprio perché era assai tipico e controcorrente per la sua epoca, oggi ci è terribilmente lontano. Oggi l'ideale di Uomo per il Mito è esattamente l'opposto di Sherlock Holmes: è James Bond. E per contro l'ideale, non da mitizzare, ma per riconoscervisi, è il famigliare Maigret: grosso, comune, simile ai mille uomini della strada, tutto birra, salsicce e domenica alla osteria fuori porta con la «sua Signora». In quale modo la gente di oggi potrebbe accettare un tipo quale Sherlock Holmes, inventato da un baronetto dell'Ottocento inglese, che gli presta senza volerlo le deformazioni e i pregiudizi della sua casta? Holmes agli occhi del nostro lettore moderno appare decadente o «dannunziano», molto presuntuoso e un po' ridicolo, semplicistico, monotono nei metodi, molto fumo intellettuale e poco arrosto poliziesco, con una fortunaccia indecente nel trovare sempre, al momento giusto, la zacchera di mota conosciuta o il mozzicone di sigaro speciale o il tatuaggio rivelatore. E sopra tutto non gli sarà perdonato il suo non giustificato isolamento sentimentale, il suo disprezzo per le donne: all'occhio di oggi, un uomo simile è antipatico o sospetto. Comunque, in entrambi i casi, un eroe da rifiutare. D'altra parte, la straordinaria fama del Personaggio, l'epoca e il luogo (quella, anche letterariamente, favolosa Londra fine ‘800) sono indubbiamente elementi di fascino spettacolare che non vanno sottovalutati o buttati via alla leggera. Per tali contrastanti ragioni, accingendomi alla trasposizione televisiva di Sherlock Holmes, pensai sulle prime che la miglior soluzione fosse quella di insistere sui difetti del personaggio, rilevandoli satiricamente anziché nasconderli e smussarli, e presentare al pubblico un Holmes in chiave leggiadramente farsesca”. 

Fortunatamente Anton cambiò totalmente idea dopo aver visto (o saputo, poiché si cita una serie televisiva inedita in Italia) il telefilm della BBC del ’65 interpretato prima da Douglas Wilmer nel ruolo principale, e poi 

Da Peter Cushing. “Questa nuova linea della BBC mi convinse”, scrisse Anton. “Modificando la mia prima decisione, anch'io dunque avrei insistito sul clima alla Poe ogni volta che se ne offriva l'occasione, per dare a questa serie un suo carattere che la distingua fortemente da altre poliziesche di successo, ad esempio quella di Maigret; e per puntellare con altro colore l'oggi debole giallo di Conan Doyle. Come nelle precedenti versioni si era messo il rosa, il comico, accanto a quel giallo, io avrei messo il nero. Inoltre avrei prosciugato il personaggio di Sherlock Holmes non solo degli svolazzi esteriori ma anche di molti interiori. Gli avrei tolto parte di quell'ingenua vanità da filodrammatico che tende a far colpo, che vuole stupire, gli avrei tolto naturalmente la siringa per iniezioni e di conseguenza quel decadentismo estetizzante, e quel suo ostentato disprezzo per le donne. Non dico — con questo — che ne ho fatto un dongiovanni: sarebbe stato uno snaturarlo. Ma non ho toccato il problema. Holmes è uno scapolo e vive solo. Ecco tutto. Mi basta aver eliminato la inutile (e sospetta) polemica contro le donne”.

Misoginia, droga, supponenza sparirono da questa trasposizione italiana, con pace per i severi censori della Rai dell’epoca.  

Come si è detto prima, la lavorazione si è svolta nell’estate del 1968 fra Napoli e Londra. Annota Il Radiocorriere Tv in un articolo dell’epoca: 

 

“Il regista Morandi, che un anno fa in Inghilterra diresse il film L'oro di Londra, ha scelto per ambientare le avventure di Sherlock Holmes due castelli della contea di Norfolk — a 170 miglia da Londra — con caratteristiche totalmente differenti: sinistro, desolante quello di Oxburg Hall per La valle della paura: e accogliente, ricco e vasto quello di Blickling Hall per ll mastino dei Baskerville. La troupe televisiva di Morandi ha trascorso più di un mese in Inghilterra, dove sono stati girati più di 10 mila metri di pellicola, equivalenti al materiale necessario per un paio di film. «Si è fatto in un mese», insinua Carlini, «un lavoro per cui la gente del cinema avrebbe impiegato sei mesi, perché a Cromer, dove risiedevamo, gli unici luoghi allegri, con dei fiori, erano i cimiteri! Si viveva ossessionati dalla luce e dalla solitudine: il sole calava alle 11 di sera e gli alberghi erano senza tapparelle! E già alle 8 di sera non c'era anima viva per le strade. Gli spaghetti poi ce li servivano con un sugo dolciastro di frutta». Il primo a portare a termine la sua fatica è stato Roby, il terribile mastino. «Un animale eccezionale», dice Morandi, «di un'intelligenza rara, che alla fine non ubbidiva più all'istruttore, ma a me. Scattava appena ordinavo “Motore, azione!”».

Poi il mastino e Sir Henry, lontano dal set, sono diventati amici. «Robv si è rivelato docile fino a quando non è stato preso a revolverate», interviene Bonagura, «c'era una scena in cui io, Watson, dovevo sparargli contro, ma senza colpirlo, perché questo onore è riservato alla mira infallibile di Sherlock Holmes. Ebbene Roby si è ribellato. Personalmente mi sentivo protetto dalla presenza, alle mie spalle, dell'istruttore; non altrettanto sicuro si è invece dimostrato il sergente Raynolds, cioè Sergio Reggi, il quale ha preferito darsi alla fuga!». 

La realizzazione de II mastino dei Baskerville è stata per la troupe una serie di corse al brivido. Lo stesso Paolo Carlini è rimasto vittima di una caduta da cavallo mentre al galoppo si recava all'appuntamento in un bosco con Beryl (Marina Malfatti). L'incidente ha successivamente indotto il regista a far ripetere la scena con l'innamorato su un più sicuro calessino. Ben più spaventevole per l'attore romagnolo, che non aveva voluto ricorrere alla controfigura, è stata la scena dell'aggressione da parte del terribile mastino: «Quando mi è saltato addosso, Roby ha spezzato con un morso il bastone che tenevo in mano per proteggermi il volto. Tempestivo è stato lo “stop” di Morandi! La scena non l'ho ripetuta: non mi sembrava proprio il caso di scherzare ulteriormente con Roby, che per l'occasione era stato aizzato». In questo giallo della serie di Sherlock Holmes, oltre a dar vita all'ultimo rampollo della dinastia dei Baskerville, Paolo Carlini impersona anche il vecchio Sir Charles, un uomo che ha fatto fortuna nelle Indie e che ha un grosso sfregio sul volto. Ed è Sir Charles la prima vittima del mastino che il pubblico vedrà sui teleschermi”.

 

Il ricordo di Nando Gazzolo

 


Lo Sherlock Holmes impersonato da Gazzolo, continuava l’articolo, “si differenzia da quello leggendario perché è stato modernizzato e spogliato di ogni frangia macchiettistica. Il «nuovo» Holmes ha in comune con quello tradizionale l'intelligenza superiore, lo snobismo e l'eccezionale freddezza: e naturalmente la pipa e il cappellino a doppia visiera. «E' un personaggio difficile da interpretare», spiega Gazzolo, «perché Sherlock Holmes tutti lo conoscono o credono di conoscerlo, e ognuno s'è fatto una sua idea del personaggio. Per entrare nei panni del celebre detective inglese ho dovuto leggere i gialli di Conan Doyle, che ignoravo». Il detective è celebre anche per la passione per gli esperimenti scientifici e il violino. «Sono stato costretto», prosegue Gazzolo, «a farmi prestare le mani da un violinista di professione perché io non so suonare una nota». Il personaggio ora «ricreato» da Gazzolo ha già incontrato i favori della «Sherlock Holmes Society» di Londra, che oggi si batte contro la deformazione macchiettistica della figura del leggendario investigatore, specie nei fumetti che si vendono in Inghilterra. Sfogliando queste pubblicazioni si ha la sensazione che con il passare del tempo Sherlock Holmes potrebbe diventare un James Bond con pipa e cappellino”.

Nel 2010, intervistato da Alessandra Calanchi, docente di lingue e letterature angloamericane all'Università di Urbino, l’attore ricordò: “l’esperienza è stata bellissima, ma più per aver scoperto Sherlock Holmes, perché in realtà io lo conoscevo di fama, ma non avevo letto neppure un libro, quindi per me la lettura è stata affascinante e bellissima; e poi capitare proprio in Inghilterra nei luoghi di Sherlock Holmes, bè, è stato emozionante, molto, molto emozionante. Sono stato molto felice di farlo, anche se io non sono affatto Sherlock Holmes caratterialmente, perché il motto di Sherlock Holmes è “osservare, concatenare e dedurre”: io non sono un bravo osservatore perché sono molto distratto. Quindi al contrario, non posso concatenare e nemmeno dedurre, perché se non osservo tutto il resto non funziona più̀: invece lui è un personaggio meraviglioso perché c’è questa intelligenza superiore alla media che lo rende così affascinante. Mi piace essere in certi momenti, o meglio, mi è piaciuto, essere come Sherlock Holmes, perché ha questa intelligenza superiore, che io non ho (ho un’intelligenza normale): un’intelligenza veramente superiore alla media, se no non riuscirebbe a risolvere certi casi. Lui li risolve perché ha un’intelligenza superiore alla media, e mi sentivo così importante anche io: «ah, come sono intelligente!»”.

Nel ’99, in una intervista telefonica, parlò invece delle riprese in Inghilterra: “Ricordo che girammo gli esterni nell'East England. Mi piacque moltissimo la campagna inglese. Ne rimasi innamorato. Credo che il clima sia il principale responsabile di quei prati verdi, di quelli scorci indimenticabili che ancora ricordo. Io vivo in campagna, amo la campagna, ma di quella inglese mi infatuai. Non ricordo precisamente il nome del luogo. La scelta delle zone dove girare può differire dalla originale in cui si sono svolti i fatti, e questo per varie ragioni. Bisogna guardare anche alla facilità di raggiungere i luoghi, alla vicinanza con posti "utili" per registrare. Si cercava un luogo dove ci fosse vicino un castello, una brughiera ed una pianura in modo da poter limitare gli spostamenti con la troupe. Ma ricordo che il castello dove girammo non andava bene. Un signore inglese mi fece notare che non era fedele alla storia. C'era la necessità di un fossato dove doveva sparire l'arma del delitto. Ma quel fossato non era adatto. Proprio un inglese che assisteva alle scene me lo fece notare. Ricordo invece la gentilezza e la cortesia degli abitanti del luogo. Se giravamo vicino ad una villetta, ad esempio, capitava spesso di essere invitati per una tazza di the. Ricordo anche che la stampa locale fu molto interessata al nostro lavoro. Fummo intervistati dalla BBC, se non erro, ed anche da alcuni giornali locali. Ricordo ancora il titolo di uno di questi «Giovane attore italiano interpreta SH». Allora ero giovane, beh, ero più giovane. Ma suscitammo un certo scalpore e nei giornali locali si dovrebbe poter trovare una traccia”.

 

Watson

 

“Un aspetto molto importante è costituito dai rapporti fra Holmes e il suo amico e collaboratore dottor Watson”, scrisse lo sceneggiatore Edoardo Anton in un articolo per Il Radiocorriere Tv. “Nelle versioni diciamo «comiche» delle Avventure di Sherlock Holmes era logico che Watson fosse la «spalla» sciocca da prendere in giro. Che questo atteggiamento sia divenuto un cliché è provato dalla famosa frase che Holmes dice spesso a Watson: «Elementare, Watson!». Chi non la conosce? Ebbene questa frase non è mai stata scritta da Conan Doyle. Non appare in alcun romanzo né nei racconti. È una espressione nata dalle versioni comiche altrui. Conan Doyle, al contrario, ha impostato il rapporto Watson-Holmes su di una franca amicizia reciproca e su reciproca stima. In più — è naturale — c'è in Watson grande ammirazione per il celebre amico, ma questi non sottovaluta né il buonsenso del suo collaboratore, né le sue generose qualità morali neppure la sua perspicacia anche se talvolta si diverte — lui, lo specialista — a fargli sotto gli occhi i suoi giochi di prestigio mentali. D'altronde Sherlock Holmes, se è un dilettante nell'esercizio dell'investigazione per ciò che riguarda il denaro (per quanto... di che altro vive?), si considera un professionista quale criminologo e non s'aspetta certo, su questo terreno specifico, che un medico possa stargli alla pari. Sarebbe quindi illogico che lo offendesse o lo prendesse in giro”.

Parlando di Bonagura e su come avesse costruito il personaggio di Watson, Gazzolo disse: “È stata un’esperienza molto bella, perché lui è riuscito a dare al personaggio un’intelligenza, quindi era un collaboratore di Sherlock Holmes, non era... invece tante volte lo si vede come un po’ passivo, uno che purtroppo non è intelligente e se non ci fosse Sherlock Holmes non avrebbe capito niente. Invece no, lui l’ha fatto intelligente: non come il suo grande amico, ma intelligente, comunque. E quindi il rapporto era più bello, perché era uno scambio di intelligenze: dove Sherlock Holmes ovviamente andava sempre oltre...”. 

Bonagura, intervistato anche lui telefonicamente nel ’99, parlò soprattutto delle location: “Mi ricordo che un posto dove sicuramente abbiamo girato è Cromer. Se lei guarda su una carta lo trova a meno di cento chilometri da Londra. Ci stemmo una settimana, credo, girando in un castello dove avevano affittato alcuni locali. E poi nei dintorni per gli esterni. Per altri esterni abbiamo girato, per esempio, sul lago di Nemi. Non saprei dirle con precisione in che posto. Però evidentemente, o la vegetazione od in riva al lago qualche cosa poteva richiamare, poteva essere così ingannevole ed equivoco tanto da potersi usare come se fosse Inghilterra. Mi ricordo che girammo in estate perché ricordo che soffrivamo il caldo con i costumi, con i cappotti”. 

Uno degli aspetti più interessanti di questo Sherlock Holmes, secondo me, è che gli interpreti principali erano due eccellenti attori e doppiatori: poiché la scuola all’epoca era il teatro, gli attori erano tutti dotati di una bella, carismatica o caratteristica voce. E su questo aspetto, segnaliamo due ulteriori contributi nel mondo di Holmes da parte di Bonagura: prestò la voce a Marty Feldman nel personaggio del Sergente Orville Stanley Sacker, specie di Watson minore nel film parodia di Gene Wilder Il fratello più furbo di Sherlock Holmes (The Adventure of Sherlock Holmes' Smarter Brother, 1975), e a Peter Cushing nel film tv La maschera della morte (1984), in una storia apocrifa di Sherlock Holmes. Gazzolo, invece, fu chiamato per prestare la voce all’attore inglese Lance Percival in Concerto per pistola solista (1970), “stracult” di Michele Lupo, nel quale interpretava un commissario di Scotland Yard: nel doppiaggio non a caso ripete spesso “elementare, elementare” e ha un tono alla Holmes…

 

Dove vederlo

 

La Fabbri Editori pubblicò una lunga collana di DVD dedicata agli sceneggiati di genere giallo prodotti dalla RAI, incluso ovviamente Sherlock Holmes, nel 2009. Nel 2013, è la stessa Rai ad aver pubblicato un cofanetto di due dischi, oggi ancora in catalogo. Ma più facile cliccare qui: https://www.raiplay.it/programmi/sherlockholmes-losceneggiato  

 

Fonti bibliografiche

 

Edoardo Anton, Il professore che batté Scotland Yard, Radiocorriere Tv, n. 31 del 28 luglio-3 agosto 1968.

Ernesto Baldo, Brividi fuori programma per girare Sherlock Holmes, Radiocorriere Tv, n. 41 del 6-12 ottobre 1968.

Gianluca Salvatori, Al telefono con Sherlock Holmes, The Strand Magazine, n. 3, dicembre 1999 (http://www.unostudioinholmes.org/telefono.htm).

 

mercoledì 27 settembre 2023

Sherlock Holmes nel cinema muto italiano


Non fatevi ingannare dal titolo di questo articolo: non esiste nessun Sherlock Holmes italiano nel cinema muto. Eppure, il personaggio nato dalla penna di Arthur Conan Doyle è considerato fra i più rappresentati nella storia del cinema. Chi scrive, è un appassionato che ha cominciato a leggere i primi romanzi in età prescolare, per diventare poi accanito spettatore delle numerosissime serie cinematografiche. Tutte le fonti concordano che il primo film dedicato all’investigatore privato risalga addirittura al 1903, intitolato Sherlock Holmes Baffled: in meno di un minuto, l’investigatore viene buggerato da un ladro che scompare e appare a suo piacimento. Quindi il primo film su Holmes fu una produzione non inglese e una aperta parodia del personaggio. In Italia l’infallibile Holmes sarebbe arrivato nel 1895 con una manciata di romanzi per la Casa Editrice Verri di Milano, per poi passare, nel 1899, al Corriere della Sera che pubblicherà, a puntate su La Domenica del Corriere, gran parte dei racconti di Holmes: il grande successo ottenuto presso i lettori italiani spingerà una serie di editori a pubblicare i romanzi e varie antologie in più edizioni. Nei primi anni Dieci del Novecento Holmes era quindi abbastanza famoso per essere imitato o trasportato nel pioneristico cinema italiano che proprio in quel periodo stava correndo verso una produzione ampia e persino esportabile all’estero. L’affermazione che il primo e unico (per il momento) Sherlock Holmes italiano è stato Nando Gazzolo per la serie di telefilm prodotti dalla Rai nel 1968, è corretta; ma in precedenza, nel periodo del muto, sono state diverse le parodie girate dai primi comici del cinema italiano. Gran parte di questi film, alcuni brevissimi, sono andati perduti, ma ne riportiamo qui titoli e dati necessari per l’approfondimento necessario (la fonte principale è I comici del muto italiano, a cura di Paolo Cherchi Usai e Livio Iacob, «Griffithiana», La Cineteca del Friuli, nn. 24-25, ottobre 1985). 

NB: in alcuni film il titolo storpia il nome di Sherlock Holmes in Sherlok, sicuramente un espediente per evitare noie per i diritti, o un plausibile e costante errore ortografico.

NB2: Nell'autorevole libro Sir Arthur Conan Doyle at the cinema (1996), di Scott Allen Nollen, viene riportato il film The Flea of the Baskervilles (1915) come produzione italiana, ma era in verità il tedesco Der Floh von Baskerville, prodotto dalla Luna Films.

NB3: il film muto più noto di Sherlock Holmes, interpretato da William Gillette nel 1916, nonostante alcune fonti lo indicano distribuito da noi, è in verita inedito in Italia. E' stato proiettato durante le Giornate del cinema muto di Pordenone nel 2015, in seguito al clamoroso ritrovamento di una copia francese, avvenuto l'anno precedente.


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Un rivale di Sherlock Holmes (1907). Prodotto dalla Ambrosio (Torino), 165 metri. Film perduto di cui si sa veramente pochissimo. Il film è però uscito negli Stati Uniti, dove ha ricevuto anche una recensione favorevole (“Numerose le scene emozionanti e gli scontri fisici. Un soggetto sensazionale di superbo effetto drammatico, senza caratteristiche discutibili”, The Moving Picture World, 2 maggio 1908).

 

Il piccolo poliziotto (1909), prodotto dalla Itala Film, è noto anche come Il piccolo Sherlock Holmes. È un film di genere drammatico dove è presente vagamente lo spirito investigativo di Holmes nel personaggio del figlio di un viaggiatore rapito da due briganti in cambio di un riscatto (la cifra riportata è di diecimila lire: sono quarantaduemila euro odierni!). Il giovane trova il covo dei briganti, li affronta uccidendoli con un fucile e libera così suo padre. 

 

Fricot emulo di Sherlok Holmes (1913), con Armando Pilotti (Fricot). Prodotto dalla Ambrosio (Torino), 205 metri. Il personaggio di “Fricot” fu inventato nel 1910 dall’attore Ernesto Vaser (Torino, 1876-1934), piccolo di statura, un po' corpulento, ma agile, per la casa di produzione piemontese Ambrosio. Nel febbraio del 1912 Vaser lasciava l’Ambrosio per l'Itala, dove avrebbe impersonato un altro analogo personaggio, Fringuelli, e, a quanto pare, venne sostituito nella serie di Fricot da Armando Pilotti e da Cesare Gravina. La comica è andata perduta.

 

Più forte che Sherlock Holmes (1913), regia di Giovanni Pastrone, con Emilio Vardannes (Totò Travetti), prodotto dalla Itala Film (Torino). Sono due episodi rispettivamente da 198 e 230 metri (il secondo ha un visto censura datato 1914): dal 1989 il Museo del cinema di Torino conserva una copia ritrovata al Nederlands Filmmuseum, ed è visionabile nel loro profilo Vimeo. “Conferma – ove ce ne fosse ancora bisogno – la grande abilità di Segundo De Chomón nell’utilizzo dei trucchi, qui profusi a piene mani e tutti finalizzati a dare alla divertente vicenda un ritmo cinematografico vivacissimo ed incalzante, una vera e propria elettrizzazione del racconto”. (Aldo Bernardini, Il cinema muto italiano, 1913, Bianco e Nero, Nuova Eri, 1994, pag. 132). Link: film.
Vardannes, il cui nome era in verità Emile in quanto parigino, aveva inventato il personaggio di Totò nel 1911 dopo essere stato assunto come attore dall’Itala Film; l’anno successivo passò alla Milano Films con un personaggio molto simile a Totò di nome Bonifacio. 

 

Krì Krì contro Sherlok Holmes (1915), con Raymond Frau nel ruolo di Krì-Krì. Prodotto dalla Cines, 125 metri.  La disfatta di Sherlok Holmes o Krì-Krì sconfigge Sherlok Holmes (1915), con Raymond Frau nel ruolo di Krì-Krì. Prodotto dalla Cines, 145 metri.  
L’attore Raymond Fran, in arte Ovaro, nato nel Senegal nel 1887 da padre italiano e madre francese, era diventato in Francia un clown/acrobata da circo, e si esibiva in un duo nei varietà e nei caffè-concerto, compiendo tournées anche in Italia. Notato e assunto dalla Cines nel 1912, con il personaggio di Kri Kri creò un personaggio di “viveur” elegante, segaligno e mattacchione, per certi versi ispirato al modello messo in auge in Francia da Max Linder. Nel ruolo di Kri Kri, Ovaro raggiunse comunque larga popolarità e risultati di buon rilievo, qualitativo e quantitativo, nel cinema italiano e internazionale, spesso lavorando assieme ad altre macchiette della Cines, come Checco, Lea e Cinessino. Nel 1915 ritornò in Francia, dove creò un altro personaggio di successo, Dandy.

 


Rodolfi emulo di Herlock Sholmes
 (1915), con Eleuterio Rodolfi. Prodotto dalla Ambrosio (Torino), 1050 metri. Film perduto.

Il bolognese Eleuterio Rodolfi (1876-1935), dopo una lunga attività teatrale, trovò la sua strada quando Arturo Ambrosio lo scritturò per il cinema, facendolo diventare subito popolare in una miriade di comiche e brevi commedie dove tratteggiava una lepida figurina di elegante e spesso sfortunato dongiovanni. Realizzatore oltre che attore, lavorò molto spesso in coppia con Gigetta Morano e con Emma Veda. Dal 1913 Rodolfi partecipò anche alla direzione artistica dello stabilimento Ambrosio, occupandosi soprattutto del settore comico e brillante. 

 

Camillo emulo di Sherlok Holmes (1921), con Camillo De Riso. Prodotto dalla Caesar-film (Roma), 1050 metri. Film perduto.

Camillo De Riso (1854-1924), aveva alle spalle una carriera teatrale quan-do, nell'ottobre del 1912, venne assunto all'Ambrosio di Torino. Qui formò con Gigetta Morano ed Eleuterio Rodolfi un trio comico di successo, ma fu solo quando passò alla Gloria, alla fine del 1913, che egli poté lanciare un personaggio tutto suo. Camillo, allegro buongustaio e impenitente libertino. Nella seconda metà degli anni Dieci fu anche regista di qualche opera di maggior impegno, come Spiritismo (1919), con Francesca Bertini.

 

Saetta più forte di Sherlock Holmes (1921), con Domenico Gambino (Saetta). Prodotto dalla Saetta-film (Torino), 1590 metri. Conosciuto anche come Saetta contro Sherlok Holmes.

Nel castello di Changeloup viene rapita la cagnetta della baronessa, un pechinese di nome Rirì. Accusata di scarsa sorveglianza, viene licenziata una cameriera, anch'ella di nome Rirì. La baronessa incarica due poliziotti privati, Sherlock e Holmes di ritrovare la preziosa bestiolina, ma i due non vengono a capo di nulla. Attratto dalla ricompensa di cinquemila lire, inter-viene Saetta, che dopo mirabolanti peripezie ritrova il cagnolino, ma chiede, oltre ai soldi, an-che la riassunzione dell'innocente cameriera. Intascato il premio di cui non sa che fare, capita in un istituto di trovatelli, gioca con loro e consegna i soldi al direttore dell'Istituto, perché li impieghi a favore dei piccoli. E ritorna alla sua solita vita di generoso vagabondo. (Aldo Bernardini, Il cinema muto italiano, 1921, Bianco e Nero, Nuova Eri, 1996, pag. 290).

Domenico Gambino, altro piemontese (1890-1968), aveva iniziato all’Itala Film nel 1910 come comparsa nella serie di Cretinetti (André Deed); passò all'Ambrosio Film nel 1916 come attore-regista e poi alla Pasquali Film. Due anni dopo fondò una propria casa cinematografica, la Delta Film, e nel 1920 fu interprete di un nuovo personaggio dal nome Saetta, trasformando la stessa Delta in Saetta Film. In seguito, Gambino rimarrà dietro la cinepresa anche nel cinema sonoro: nel 1949, ad esempio, girerà Torna a Napoli, che segnò il debutto cinematografico di Nino Manfredi.





sabato 16 settembre 2023

Laurel & Hardy: Year One - una recensione


Lo scorso 15 agosto è uscito un attesissimo cofanetto blu-ray intitolato Laurel & Hardy: Year One, concepito come primo volume dedicato all’annata iniziale della celebre coppia nel lontano 1927. In realtà, la raccolta include anche il loro primo film insieme, The Lucky Dog (girato nel 1921), e 45 Minutes from Hollywood (1926), primo titolo in cui appaiono come attori negli studi Roach, per un totale di quindici cortometraggi muti.

Oserei definire questa uscita epocale. Nel 2020, in pieno lockdown, la Blackhawk Films ha intrapreso un progetto fondamentale: recuperare i materiali migliori disponibili a livello mondiale e restaurare — anzi, si dovrebbe dire ricostruire — i film muti di Stanlio e Ollio. Il periodo dei “silents” comprende 34 titoli realizzati tra il 1921 e il 1929; o meglio, 33, se si esclude Hats Off, l’unico titolo completamente perduto della loro filmografia. Considerando che si tratta di opere vecchie di 96 anni (e nel caso del primo film, 102!), e che per lungo tempo sono state trascurate o maltrattate, il lavoro di restauro è stato tutt’altro che semplice.
 

Spiegare nel dettaglio cosa sia successo a questi film non è facile, e rischierei di perdervi tra date, percentuali e nomi poco noti. Ma è proprio in queste ricostruzioni storiche che si nasconde la verità. Partiamo da un dato di base: l’80% dei film muti — intesi come produzioni realizzate tra il 1895 e il 1929 — è andato perduto. Migliaia di pellicole non hanno ricevuto alcuna forma di conservazione, né per ragioni culturali né commerciali, e si sono irrimediabilmente rovinate: alcune sono esplose (la vecchia pellicola in nitrato d’argento era altamente infiammabile) durante grandi incendi che colpirono i magazzini degli studi hollywoodiani; altre si sono deteriorate per acetosi o muffe. I negativi e le pellicole erano materiali estremamente fragili, e la cultura del restauro è arrivata troppo tardi per salvare molti di quei film.

Con Stanlio e Ollio, in un certo senso, siamo stati fortunati: si è perso “solo” un titolo per intero, Hats Off. The Battle of the Century (1927) è stato ricostruito quasi completamente soltanto nel 2015, anche se manca forse per sempre la fine del primo rullo. Metà di Now I’ll Tell One, altro film del 1927 con Charley Chase e i due comici in ruoli secondari, risulta ancora mancante. The Rogue Song, lungometraggio in cui la coppia aveva un ruolo di supporto, sopravvive oggi in un trailer, due sequenze e una clip di dieci minuti. Una parte consistente delle versioni girate in lingua straniera nei primi anni ’30, incluso Muraglie in italiano, è tuttora dispersa (anche se Ladroni è stato ritrovato l’anno scorso, purtroppo senza sonoro). Tuttavia, a parte queste perdite, la filmografia della coppia è sostanzialmente integra, e gran parte dei negativi è conservata in condizioni adeguate.
 

Ma per arrivare a questo punto, anche Indiana Jones si sarebbe arreso. I film muti di Laurel e Hardy del 1926-27 furono prodotti da Hal Roach per la Pathé, mentre i successivi dalla MGM: il passaggio fra le due major coincise con il crescente successo della coppia, determinando percorsi differenti per i due gruppi di film. I titoli pre-coppia vennero distribuiti “in concorrenza” con quelli ufficiali, per promuovere Stan e Oliver anche se non ancora formavano un duo. Dopo il successo iniziale, vennero accantonati in favore dei corti realizzati in coppia, soprattutto quelli sonori. In Europa e in Italia, questi ultimi furono molto più noti, mentre i muti finirono nell’oblio a partire dal 1931-32, anno in cui le ultime compilation che li includevano cessarono la distribuzione.

 

I film sonori continuarono a circolare fino al 1940, quando Laurel e Hardy lasciarono Hal Roach per intraprendere nuovi percorsi. Il loro catalogo contava circa 90 film, senza contare altre serie dello studio Roach, come quella di Charley Chase o dell’Our Gang. Nel frattempo, i negativi originali non versavano in buone condizioni. Hal Roach — e questo non vuole essere un atto d’accusa — non si preoccupò mai seriamente della conservazione delle sue vecchie opere, concentrato com’era sulla produzione continua di nuovi contenuti. Non era il solo: negli anni ’40 c’era scarso interesse per i film vecchi, e ancor meno per quelli muti. Così gran parte del catalogo finì nei depositi MGM, disponibile per il noleggio in 16 mm o per... fare la muffa. Uno di questi depositi era il Mercury Laboratory di New York, dove nel 1945 fu inviato il negativo 35 mm di Hats Off, prima di andare perduto — o, almeno, dimenticato.

Poi successe qualcosa. Roach si accorse che anche i film meno riusciti della coppia, girati per la Fox e la MGM, continuavano ad avere successo al botteghino. Siglò così un accordo per la riedizione di alcuni dei loro vecchi titoli. Nel 1943, la Film Classics firmò un contratto con Roach per ristampare gran parte della produzione post-1928. Alcuni titoli, come Pack Up Your Troubles e Pardon Us, ottennero buoni risultati, ma il lavoro di duplicazione della Film Classics danneggiò gravemente i materiali originali. La negligenza fu condivisa. Quando l’accordo si concluse nel 1951, la Astor Pictures di Robert Savini fu una delle tante società che acquisirono i diritti per riproporre i film in sala. In cerca solo di un guadagno immediato, molti di questi distributori abusarono dei negativi. Poi, nei primi anni ’50, arrivò la televisione. Le comiche mute ebbero un breve ritorno in TV. Considerate obsolete ma facilmente sfruttabili, furono trasmesse in programmi come Comedy Capers o Mischief Makers — approdati anche in Italia: qualcuno ricorda ancora oggi lo storico programma Oggi le comiche? Tagliate e rimontate, infarcite di pubblicità, quelle comiche divennero frammenti irriconoscibili.

Poi arrivò l’home video, e con esso un nuovo interesse culturale. Il primo a riconoscerne il valore fu il cineasta Robert Youngson, che tra il 1957 e il 1970 realizzò splendide compilation di comiche mute, due delle quali dedicate espressamente a Stanlio e Ollio. 

Come scrive Richard Bann in un dossier sulla preservazione dei loro film: “Selezionando i nitrati in decomposizione che voleva utilizzare su pellicola di sicurezza, li preservò. Youngson copiò tuttavia solo ciò che desiderava per il film che stava girando. Salvò quindi solo il filmato di Battle of the Century che incluse nella sua antologia. Aveva la possibilità di conservare l'intero film o farne una copia fine grain, ma il suo licenziatario, gli Hal Roach Studios, non fece nulla. Non molto tempo dopo che Youngson ebbe estratto ciò che gli serviva dalla bobina n.2 (contenente la famosa battaglia di torte), il resto della bobina si decompose nei depositi Bonded Storage di New York. Fu scartato e buttato via” (e ritrovato, decenni dopo, al MoMA). Il successo di quelle antologie e della prima biografia della coppia, firmata da John McCabe nel 1961, riaccese l’interesse. Gli Hal Roach Studios siglarono nuovi accordi per il mercato casalingo in crescita, soprattutto nei formati 8 mm e 16 mm. Fu qui che entrò in gioco la Blackhawk Films.

 

“Negli anni '70, quando lavoravo per la principale licenziataria, la Blackhawk Films Inc. di Davenport, Iowa — scrive ancora Bann —, venni a sapere che la società rimasterizzava i film di Roach in 35 mm, ma solo per creare un duplicato ridotto in 16 mm. Almeno, la Blackhawk tentò in buona fede di presentare i film ‘sostanzialmente come furono distribuiti all’epoca’, come recitavano le introduzioni. Inoltre, investì nei propri materiali di stampa, preservando gli originali.” I cataloghi erano disponibili nelle biblioteche, a noleggio o in vendita, ed erano una manna per i collezionisti. Ma Hats Offe The Battle of the Century non figuravano. Bann spiega: “Prima che la Blackhawk si affermasse nel mercato casalingo, i film muti MGM non furono mai concessi in licenza per stampe in formati ridotti. Nessuna copia completa in 16 mm di quei titoli verrà mai alla luce, perché non sono mai state stampate”.
 

Nel 1971, usciti dalla bancarotta, gli Hal Roach Studios videro il proprio patrimonio dividersi tra l’emisfero orientale e occidentale. In Europa, il copyright fu gestito da CCA. Hans Andresen e il più noto Dr. Leo Kirch (proprietario anche di KirchMedia e di diverse società di diritti televisivi) acquisirono la parte europea. Se avete comprato un DVD europeo di Laurel & Hardy, avrete letto nomi come Beta Taurus o Kinowelt: dietro c’era Kirch, che nel 1983 divenne anche proprietario del pacchetto MGM/UA e dei diritti Roach.

Fino al fallimento della Kirchgruppe nel 2002, Richard Bann supervisionò milioni di dollari investiti nel restauro del catalogo. I materiali in nitrato, depositati già nel 1969 alla Library of Congress, erano spesso in cattivo stato: solo Big Business e Double Whoopee si salvarono in buone condizioni. I primi restauri reali dei silents avvennero negli anni ’90, ma per molti film del 1926-27 si ricorse a copie in Super 8 o 16 mm. Tra il 1999 e il 2000 uscì la serie Lost Films of Laurel and Hardy, che rese disponibile il meglio disponibile all’epoca.

La ricerca però era cominciata decenni prima. David Shepard e Kent Eastin, fondatore della Blackhawk, iniziarono il loro lavoro già negli anni ’60. Dopo vari passaggi di proprietà, la Blackhawk fu rilevata da Hugh Hefner tramite Critics Choice. Shepard fondò la Film Preservation Associates con Bann e altri, e nel 1989 acquistò la cineteca. Nel 1990, il francese Serge Bromberg incontrò Shepard a New York: nacque un sodalizio con l’obiettivo di preservare il catalogo per le generazioni future. Il cofanetto Laurel & Hardy: Year One è dedicato proprio a Shepard, scomparso nel 2017.

E così siamo arrivati alla mia recensione. Se siete sopravvissuti fin qui, vi ringrazio: era necessario raccontare questa storia poco conosciuta. Bromberg e il suo team stanno lavorando alla restante produzione del 1928-29, e ogni nostro supporto sarà prezioso per i prossimi volumi in blu-ray. A proposito: il cofanetto è multiregione, e potete acquistarlo online.

 

Alla luce di tutto questo, possiamo considerare superato tutto ciò che sapevamo — e che abbiamo scritto — sui film muti di Laurel e Hardy. Rivederli oggi è davvero come vederli per la prima volta: il restauro ci riporta a come apparivano realmente all’epoca della loro uscita nelle sale, permettendoci di cogliere aspetti delle loro performance che prima ci erano sfuggiti. Questa sensazione è ancora più forte nei film del loro primo periodo, proprio perché erano quelli messi peggio, in condizioni critiche. Li ho rivisti con occhi nuovi e, in alcuni casi, ne ho cambiato il giudizio. Alcune di queste osservazioni voglio condividerle qui. Nel documentario con Serge Bromberg viene segnalato, per esempio, come alcuni film si siano rovinati in meno di cinque anni dal recupero operato da Robert Youngson (esemplare il caso di Putting Pants on Philip). Avrei voluto qualche dettaglio in più sul processo tecnico di restauro, ma le musiche sono molto ben scelte. Ogni cortometraggio presenta un prezioso commento audio di Randy Skretvedt, mentre il restauro è stato curato insieme a Éric Lange. Per dare un’idea dei risultati raggiunti, ho messo a confronto un fotogramma attuale con quelli utilizzati nella serie Lost Films of Laurel and Hardy del 2000: basta cliccare per ingrandire l’immagine.

 



The Lucky Dog è completo nei limiti del possibile: l'immagine è un po’ sporca, ma è la più nitida che io abbia mai visto per questo film. Diversi fotogrammi sono stati recuperati. L’incontro tra Stan e Oliver in questo film è, credo, una delle casualità più straordinarie della storia di Hollywood. Il produttore voleva lanciare Stan come comico e girò una comica pilota, per la quale chiamò un regista amico, che a sua volta si portò dietro un attore bravo nei ruoli da cattivo, tale Oliver Hardy.




45 minutes from Hollywoodcircolava già in una copia discreta pubblicata dalla Mk2 una quindicina d’anni fa, ma nel nuovo scan ha guadagnato in nitidezza. Come in quella copia, anche qui la sequenza con Stan alterna momenti di scarsa e ottima qualità. Peccato, perché in alcune fonti quella scena era visibile molto meglio. Non è un film da buttare, e Hardy è davvero buffo. Credo di aver notato qualche dettaglio in più nelle sequenze iniziali ambientate a Hollywood.


Duck Soupfinalmente completo, si fa apprezzare di più come comica: la qualità è davvero ottima. Rivedendolo con la famosa sequenza censurata (assente nelle copie americane), devo dire che si incastra male nella narrazione, ma dal punto di vista del restauro non possiamo lamentarci.



Slipping Wivesnon mi sono mai spiegato perché Hardy fosse così violento con Stan. In ogni caso, la copia è spettacolare, considerando che in precedenza era difficile perfino distinguere bene i volti degli attori (una copia Rai, in particolare, era imbarazzante). Il film, in sé, è una mezza cretinata. Non ricordavo che la gag finale del poliziotto colpito al sedere dal fucile fosse la stessa che si vede in Noi siamo le colonne.

 


Love ‘Em and Weepcircolava già in una splendida copia nei DVD tedeschi, e qui non solo si conferma tale, ma vengono recuperate anche le sequenze multi-tinte per esterni e interni. Una grande comica, anche se non ricordavo che Stan e Babe non condividessero neppure un’inquadratura, tranne il totale finale.


Why Girls Love Sailorsè passato da “film perduto” a “film che si vede uno specchio”. Forse qualcosa si è perso per sempre, ma poco male: il restauro riporta alla luce tutti i dettagli del volto di Oliver Hardy e i suoi sguardi irresistibilmente comici. A parte qualche gag, però, il film è davvero mediocre.


With Love and Hissesha avuto un restauro incredibile. Ho avuto l’impressione che nella scena del bagno fossero davvero tutti nudi come vermi, ma guardando meglio si nota che indossano costumi da bagno. La storia è poca, ma c’è tanto slapstick: cadute, rincorse, e uno Stan piuttosto effeminato.



 

Sailor’s Bewarevalorizza finalmente Anita Garvin come attrice comica. Stan e Babe iniziano a interagire con maggiore continuità. La comicità è piuttosto rozza — Stan che spinge un nano in carrozzina giù per le scale oggi farebbe insorgere i social — ma il ritmo è rapido. La copia è ottima, e in certi momenti la nitidezza sorprende, dato che il film circolava sempre in versioni rovinate. Alcuni intertitoli sono stati finalmente reinseriti nei punti corretti.


Do Detective Think?anche se la coppia non era ancora “ufficiale”, Stan e Babe sembrano nati per recitare insieme, proprio come succedeva già in Duck Soup. Non credo ci fosse nulla di casuale nemmeno nei costumi. Rivedendo Sailors dopo questo, è evidente che i due funzionavano benissimo insieme.

La copia è splendida. Era uno dei muti che si vedevano peggio, e ora è un vero spasso. Non mi ero mai accorto, per esempio, che quando i due prendono i sigari e strappano la punta, Ollie la sputa e Stan la ingoia. Come ha scritto Randy Skretvedt su Facebook: “L'unica omissione di cui sono a conoscenza è una molto breve inquadratura di Viola Richard che cammina verso la porta d'ingresso, presente solo in una fonte talmente scadente che includerla avrebbe stonato e distratto lo spettatore. La durata è di circa due secondi: nulla di grave”.



 

Flying Elephants, sse la memoria non mi inganna, le copie sopravvissute erano in 16 mm. L’immagine ora è così completa che si nota un membro della troupe che, a destra di Stan, gli tira i pesci mentre lui pesca nell’acqua. Copia ottima.


 

Sugars Daddies, copia nitida ma molto graffiata, perché — come nel film precedente — è stata ricostruita come un Frankenstein di fonti diverse. A un certo punto, la combinazione Stan-Babe-Finlayson deve aver convinto Roach a farne un vero duo. Tuttavia, il film mescola elementi già visti in Love ‘Em and Weep e Slipping Wives, e la noia prende il sopravvento. Ma dalla fuga in poi, fino all’arrivo al luna park, la comica prende la giusta piega “a due”; è evidente che allo studio si siano detti: “Facciamoli tornare insieme, vediamo come reagisce il pubblico”.



The Second Hundred Yearsè tornato finalmente “in vita”, con sequenze recuperate e mai viste prima, soprattutto quelle iniziali e quelle “tinte” in blu con la gag del poliziotto che cade nella vernice. Il film non è così esilarante come si ricordava, ma la prima parte vale da sola il prezzo del cofanetto.



Call of the Cuckoo
qualità eccellente. Max Davidson, come protagonista, non era certo un fuoriclasse della risata. Però vedere insieme Laurel, Hardy e Charley Chase, affiancati da Finlayson e Charlie Hall, fa sempre piacere. Le loro scene, però, risultano un po’ fuorvianti.


Putting Pants on Philip
restaurato in modo meraviglioso, è a mio parere uno dei più divertenti della loro prima fase. L’anello mancante con Hats Off è ormai chiaro: qui sono una coppia a tutti gli effetti, anche se il debutto “ufficiale” era avvenuto con The Second Hundred Years. La MGM promosse entrambi i film con grande impegno.


The Battle of the Centuryil restauro lo conoscevamo già, ma questa versione migliora ulteriormente rispetto a quella presente nel cofanetto The Definitive Restorations. Troveremo mai la fine del primo rullo? Resta un film geniale.

Conclusione: Il periodo 1926-27 rappresentava lo zoccolo duro della conservazione della loro filmografia. Il lavoro fatto è davvero notevole, e possiamo perdonare i graffi visibili, considerando che questi film hanno 96 anni. È incredibile notare i passi avanti compiuti dalle tecnologie di restauro dal 2000 (epoca dei “Lost Films”) a oggi.

Ringrazio per la collaborazione Valerio Greco, Benedetto Gemma e Stefano Cacciagrano.