giovedì 26 novembre 2020

Dieci anni di Profilo


Con l’uscita nelle librerie del libro John Belushi, la biografia definitiva, virtualmente la Sagoma Editore festeggia oggi dieci anni della collana “Di profilo”, una serie di biografie dei comici del passato.

La casa editrice di Vimercate ha in verità qualche mesetto in più, perché fu nel 2009 che Carlo Amatetti, all’epoca ancora con i capelli color avorio, aveva gettato le basi del primo progetto biografico e che coinvolgeva il grande attore e regista Gene Wilder. Amatetti andò ginocchioni nella sua casa dove Wilder era pensionato, nel Connecticut, e strappò un accordo non male. La Sagoma ha infatti pubblicato la sua autobiografia Baciami come uno sconosciuto e i suoi quattro romanzi, e l’autobiografia della prima moglie, Gilda Radner, Ce n’è sempre una!, morta di cancro nel 1989. 

Poi è stata la volta di Jerry Lewis, con le memorie di suo pugno sulla coppia Lewis & Dean Martin, intitolato Dean & Me, di Marty Feldman, con il libro di Robert Ross, l’autobiografia dei Monty Python, scritta da Bob McCabe; la Sagoma non poteva sfuggirmi, e cominciai a contattare Amatetti nel 2010 quando timidamente gli proposi l’idea di fare una biografia su John Belushi, dal titolo Comico kamikaze; ero acerbo, sconosciuto anche ai miei genitori, e la bozza che gli mandai lo inorridì da rifiutarmi con gentilezza, e ci salutammo con un complimento che mi sembrò sincero sulla mia grinta. Mollai l’idea di Belushi e cominciai a studiare.

Divorai quello che avevo solo assaggiato da ragazzino tutta la comicità del Novecento, lessi molti saggi, e capii che per raccontare il profilo di un comico bisognava conoscere il contesto storico e tutto quello che circondava la loro carriera. Quando approfondii Belushi, quindi, conoscevo già tutta la comicità americana degli anni settanta e ottanta, da Woody Allen, Mel Brooks, tutto il gruppo legato a John Landis, Ivan Reitman, John Hughes, i fratelli Zucker, il demenziale, all’arrivo di Jim Carrey. Potrei parlare a lungo di quante cose appresi in dieci anni e quanto ancora studio sull’argomento. Mi sentii abbastanza bravo come alunno quando cominciai a collaborare con Sagoma scrivendo coccodrilli per comici appena defunti o di cui ricorrevano importanti anniversari, da Louis De Funès a Steno, Paolo Villaggio, Jerry Lewis ecc.

Non ricordo ora se fu in occasione del libro di Mel Brooks sulla lavorazione di Frankenstein Junior che cominciai a collaborare con la Sagoma come “guru” (la definizione è di Amatetti), ma di sicuro nelle fiere, quindi dal 2016, che appresi l’arte di collaborare a una casa editrice nel “basso”, cioè proprio nella vendita diretta a annoiati visitatori delle esposizioni “libresche” per tutta Italia. Sono occasioni importanti anche per capire cosa cerca il lettore, e conoscere persone interessanti cui piace condividere la propria passione. Se ci sono editori in ascolto, sanno che “fiera” vuol dire anche condivisione di grandi abbuffate serali fra colleghi, un aspetto che io e il mio nutrizionista ignoravamo.

Il primo passaggio è stato quando mi è stato chiesto opinione e consiglio sui successivi progetti della Sagoma. Calai l’asso con Stanlio e Ollio. Saltò via un mio vecchio progetto di filmografia completa perché avrebbe richiesto due impegni di Amatetti non previsti, l’acquisto di molte fotografie di scena e sopportare che sono italiano. Però la coppia in Italia è famosa ed esiste un fan club storico, I figli del deserto, con una sede italiana trentennale con alcuni soci bravi in inglese e a raccogliere aiuti in tutto il mondo, la sezione “Noi siamo le colonne” dove sono iscritto da venti anni, che si è resa disposta ad aiutare con un libro su Laurel e Hardy. La collana “Di Profilo” pubblica di solito libri scritti da penne ufficiali, autobiografie e non, e nel caso della coppia c’è stato un autore che li conosceva bene e ha scritto quattro libri sull’argomento: John McCabe. Così nel 2017 ecco che uniamo un manipolo di volontari che lavorano alla traduzione, edizione, e recupero delle fotografie per il primo libro, Mr. Laurel & Mr. Hardy, scritto nel 1961 e rieditato negli anni; Amatetti cavalcò l’onda del successo del libro in occasione dell’uscita nelle sale del film biografico Stan & Ollie (2018) di Jo S. Baird e una nuova riproposta dei loro film in televisione, dando al libro un notevole successo. Parte di quel gruppo è tornato a lavorare al secondo libro di McCabe, The Comedy World of Stan Laurel (1974), uscito nel giugno di quest’anno con il titolo Il cosmo comico di Stanlio, altra prima edizione italiana arricchita di fotografie inedite e un “pezzo” in più nel capitolo che riporta i copioni teatrali scritti da Stan.

Il passaggio più importante per me era uscire dal mucchio e impormi come scrittore di una biografia. Ci vuole un pizzico di presunzione a farlo, ma io ero spinto anche da altre cose: un archivio imponente che era un peccato lasciarlo nella polvere, e il dono di avere una memoria storica. Sepolta l’idea su Stanlio e Ollio comunque sostituita con McCabe – e l’autorevolezza ce l’aveva eccome – mi sono affidato al fato quando seppi che l’argomento della rassegna cinematografica della Festa del Cinema di Roma del 2018 sarebbe stato Peter Sellers. E l’idea fu: perché non facciamo un libro su Sellers? Io da anni avevo letto tutto quello che c’era da sapere su di lui, e con amarezza quel poco che avevamo in italiano non era prettamente biografico o degno di nota. L’idea di fare la prima biografia in italiano su Sellers allettava Amatetti, ma quale? Una delle ultime era anche una delle migliori, scritta da Ed Sikov, Mr. Strangelove, ma cominciai a notare che aveva dei “buchi” e non era aggiornata. E Amatetti mi disse, “Quindi ti sei convinto di scriverlo tu, questo libro?”. Aveva molti dubbi, tutti giustificati, ma quello che scrissi gli piacque. Ero ancora acerbo, e il fiato di un articolo è ben diverso dal capitolo di un libro (io almeno lo ammetto che ancora oggi i miei testi hanno bisogno di revisione), quindi sia lui che l’editor uscirono pazzi. I capelli di Carlo cominciarono a sbiancarsi. Ci furono grosse difficoltà a reperire le fotografie, ma In arte Peter Sellers riuscì ad essere finito in tempo per ottobre del 2018. Ebbe molta copertura mediatica e successero un sacco di cose interessanti. Su tutte: Alberto Crespi, che io ammiravo in tv e leggevo su L’Unità come unico motivo per comprare quel giornale, mi scrisse l’introduzione.

Intanto collaboravo alle nuove edizioni di alcuni libri della Sagoma, come quello di Gene Wilder, e le nuove uscite, come il libro di Richard Pryor, o il recente su John Belushi, scritto dalla vedova Judith. Ne cito tre quando in verità sono molti i progetti discussi, rimossi, anche persi negli ultimi anni. Un progetto che cadde nel dimenticatoio prese un’altra forma, ad esempio, fu quello di Cochi e Renato. Sandro Paté aveva scritto la prima biografia di Guido Nicheli, detto Dogui, attore che aveva avuto origini cabarettistiche importanti nel Derby Club di Milano, e ci stimolò l’idea di parlare dei “Padri” di quel cabaret anche perché Sandro era stato allievo e amico di Enzo Jannacci negli ultimi anni di vita. Anni prima, però, avevo intervistato Cochi Ponzoni a Milano per fare un epilogo alla ristampa del libro di Beppe Viola su di loro, Quei due, storia di una coppia racchiusa in un Pozzetto (1976), ma le nostre intenzioni caddero miseramente. L’idea di virare su un progetto biografico direttamente su Cochi e Renato fu di Carlo, unendo le nostre forze con l’intenzione di fare – parole di Sandro – la più grande storia di cabaret mai raccontata. Ci sono state difficoltà e sfighe – morti sul campo – discussioni, opposizioni (eh, caro Renato…), ma anche tante soddisfazioni. Lo abbiamo diviso in due parti, per distinguere lo stile e la storia della coppia fra inizi nel cabaret e il debutto in televisione e nel cinema, ma è stato un lavoro di team che ha coinvolto Amatetti, ormai grigio chiaro perlato, e che abbiamo intitolato Cochi e Renato, la biografia intelligente, uscito nel 2019. Flavio Oreglio, altro archivio vivente del cabaret, ha scritto L’arte ribelle quasi contemporaneamente.

E’ bello lavorare per una casa editrice che ha la comicità faro principale: mi sento partecipe di una missione bibliografica importante, lasciare nella memoria dello spettatore il ricordo di un comico da riscoprire.

Nel 2020-21 ci saranno nuove uscite nella collana Di Profilo (oggi argomento di questo post perché mi interessa personalmente ma Sagoma ha un catalogo esteso che vi consiglio di spulciare, soprattutto nella narrativa umoristica) che aspetto a citare. Non ho fatto mistero però che sto lavorando al mio terzo libro che uscirà nel 2021 in occasione del centenario di Nino Manfredi, ufficialmente il quarto comico italiano che entra nella collana di Sagoma, colma di volti anglosassoni. L’ho intitolato Alla ricerca di Nino Manfredi, sarà pieno di sorprese, fotografie, ma poi ne parleremo, tranquilli. Amatetti ormai è imbiancato.

lunedì 20 aprile 2020

Il ruggito dei fratelli Marx

Nella metà degli anni Trenta i fratelli Marx erano il gruppo comico più famoso in America. I film girati per la Paramount - The Cocoanuts (1929), Animal Crackers (1930), Monkey Business (1931), Horse Feathers (1932), Duck Soup (1933) – aveva fatto accettare la loro comicità demenziale, divisa fra battute senza senso e gag visive ai limiti del surreale. Eppure bisognerà aspettare il passaggio alla potente Metro Goldwyn Mayer per trovare il momento giusto per distribuirli in Italia, con due film che ebbero un enorme successo in America, A Night at the Opera (1935), e A Day at the Races (1937). Il post di oggi racconta come e perché questo lancio non andò esattamente come avevano pianificato i distributori italiani.

Premessa storica

Chi erano i fratelli Marx non è una domanda che posso accettare.
Perché l’Italia ha fatto sì che diventassero una meteora nelle sale italiane durante il fascismo, quello sì, posso raccontarlo. Da quando la MGM entrò in Italia nel 1934 con una sede a Roma in Via Maria Cristina, mise le radici con una imponente base di lanci pubblicitari e presenza quasi totale nelle sale italiane: del resto gran parte dei film di maggiore successo nel nostro paese erano produzioni straniere, soprattutto americane. Un film in uscita diventava un evento straordinario, le tattiche di lancio erano scritte nere su bianco con vere guide al film, brochure che oggi sono pezzi da collezione e spiegano perfettamente la cura e le strategie da utilizzare: dai manifesti di più dimensioni, alle figure cartonate degli attori, alle frasi da inserire nei “flani” sui quotidiani e nelle numerose riviste specializzate. L’ufficio stampa della Metro aveva un bollettino che io stesso ho collezionato negli anni dal titolo La voce del leone: in un periodo di tempo importante, dal 1932 al 1938, venivano presentate le novità della stagione corrente. Nel ’38, poi, le leggi razziali e la chiusura del mercato italiano presso le case di produzioni straniere costrinsero gran parte degli Studi americani a ritirarsi (la Metro, fra questi). Praticamente i film americani importati in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale furono pochissimi, e, a volte, anche clandestinamente. L’ente che controllava questo monopolio si chiamava E.N.A.I.P.E. (Ente Nazionale Acquisto e Importazione Pellicole Estere). Sull’argomento vi segnalo un bellissimo libro di Gian Piero Brunetta, Il ruggito del leone (sottotitolo, Hollywood alla conquista dell’Impero dei sogni nell’Italia di Mussolini), pubblicato da Marsilio nel 2013.
Tuttavia, negli anni Trenta il cinema americano faceva il bello e il cattivo tempo nelle nostre sale, i distributori si affacciavano direttamente ai gestori delle sale, e l’umore delle sale erano più importanti di una critica. Lo spettatore sognava le grandi stelle, incluse quelle comiche: la Metro aveva da poco licenziato il grande Buster Keaton quando arrivò in Italia – per questo motivo il materiale d’epoca su di lui è troppo “vecchio” e difficile da trovare – ma aveva in scuderia Stan Laurel e Oliver Hardy, così famosi in Italia che nel ’34 la sede parigina fondò un vero e proprio fan club che nel giro di un anno aveva raccolto due milioni d’iscritti. Alla ricerca di novità sul campo comico, non appena i Marx arrivarono alla Metro, si preparò lo sbarco di Groucho, Chico e Harpo con i due film sopra citati.

Ma prima?

Rispetto a tutti i comici venuti prima di loro, Groucho, Chico e Harpo (escludendo il quarto, Zeppo, che aveva abbandonato il team anni prima) erano totalmente senza freni e come elemento preoccupante per i dirigenti della Metro era il fattore anarchia: i Marx lo erano fino al midollo, e il loro maggiore successo fino a quel momento era stato Duck Soup (1933), diretto da Leo McCarey, un capolavoro assoluto di comicità folle e che di base prendeva ferocemente in giro l’autarchia e i regimi. Si narra leggenda che Mussolini in persona si oppose alla distribuzione del film in Italia (ma forse, più plausibilmente, il film era poco commerciabile). L’Italia rimase così senza questo film per parecchio tempo, fino a quando venne doppiato per la televisione e mandato in onda il 12 aprile 1972, con il titolo La guerra lampo dei fratelli Marx.

DEMOLENDO LA LIRICA

Il film Una notte all’Opera racconta la storia di un eccentrico impresario (Groucho) che convince una ricca vedova (interpretata da Margaret Dumont) a farsi dare un grosso prestito di denaro per scritturare un famoso tenore per uno spettacolo al Metropolitan Theatre di New York, ma egli sarà imbrogliato da Fiorello (Chico), accompagnato da Tomasso (Harpo), che gli fa invece scritturare un suo amico anch’egli tenore ma disoccupato, innamorato di una bella ragazza cantante soprano. La storia parte da Milano e finisce a New York, ovviamente con un finale che distrugge la “prima” del Trovatore di Verdi.
Gli uffici stampa accorsero con un numero dedicato nella copertina e nell’articolo principale della Voce del leone nel n. 105 del 1 giugno 1937, qui sotto riportato. 

L’articolo è davvero interessante perché pone Laurel e Hardy come diretti concorrenti e illustra il campo del comico in crisi, in quel momento in salvataggio grazie ai Marx. E insegna una parola che oggi non si usa più per indicare un terzetto: triumvirato.
Nel n. 114 del 1 novembre 1937 si lancia Una notte all’Opera, con una serie di (false) testimonianze favorevoli dei grandi comici su di loro (fra questi Stan Laurel, che non era esattamente un fan dei Marx). 
 
Nonostante questi preparativi, era presto per fare festa, perché apparentemente Una notte all’Opera ebbe problemi con la censura: passò in visione ma venne inizialmente respinto (anche in appello): la data di revisione è del 31 agosto 1937, ma per essere approvato dovrà aspettare il 10 marzo 1938. Gli archivi della Direzione Generale del Cinema non mi sono stati di grande aiuto per mancanza di materiale, ma qualche risposta la trovo negli archivi di Joseph Breen (per la cronaca, Breen faceva le veci di William Hays – fondatore del gruppo che riuniva [e riunisce ancora oggi] le case di produzione cinematografica americane, Motion Picture Association of America, e del tristemente codice di produzione che doveva regolare moralmente i film, il Codice Hays – ed era insomma il censore n.1 d’America).

Breen aveva avvisato il capo della Metro, Louis B. Mayer, che il film dei Marx conteneva degli elementi da censurare (doppi sensi, più che altro), e sottolineava come alcuni paesi avrebbero protestato contro alcuni stereotipi razziali, fra cui appunto l’Italia, paese dove il film fra l’altro è in gran parte ambientato. Ci furono quindi proteste da parte del governo fascista per le prese in giro di alcuni personaggi italiani (fra cui l’antagonista, il pomposo tenore italiano Rodolfo Lassparri interpretato da Walter Woolf King), poi effettivamente ritirate, almeno secondo il biografo dei Marx Simon Louvish. Eppure qualcosa è stato tagliato, secondo quanto testimonia una copia ritrovata in Ungheria nel 2008: saltano alcune sequenze di Opera, ma soprattutto numerosi riferimenti all’Italia – dagli spaghetti ai pasticcini – e agli italiani. Inoltre, forse inutile ricordarlo ma lo stesso personaggio di Chico era italo-americano, e in originale esclamava frasi in italiano (ovviamente a caso). I Marx non volevano insultare nessuno, ma nel ’37 eravamo noi i suscettibili. La cosa incredibile è che questi tagli sono rimasti nelle copie almeno quelle giunte oggi dalla riedizione del 1949 (e quindi nel DVD). Se notate bene, nella prima parte ambientata nel teatro dell'Opera di Milano ci sono dei tagli netti che troncano la colonna sonora e in mezzo all'inquadratura, salta ad esempio all'occhio nel primo incontro fra Groucho e Chico, che integralmente era l seguente:


Chico: "I'm a stranger here myself" (questa battuta c'è nel dvd, ma c'è un taglio subito dopo)
Groucho: "Aren't you an italian?"
Chico: "No, only my mama and papa is italian."
Groucho: "What's his name?"
(riferendosi al tenore che vuole scritturare)
Chico : "It's an italian name."
(questa è stata tagliata di netto) "I can't pronunce it."

 
LA FEBBRE DA CAVALLO DEI FRATELLI MARX
 
Un giorno alle corse non incontrò alcun problema, viene fatta richiesta del visto censura il 21 febbraio 1938 e approvata tre giorni dopo. Per questo venne distribuito prima di Opera.
La storia ruotava attorno ad una clinica in difficoltà economiche che un bizzarro dottore raccomandato da una ricca paziente cerca di risollevare, ma la salvezza arriva grazie ad una vincita alle corse dei cavalli.
Altro espediente che in passato aveva avuto successo, fu quello di unire l’uscita di un film ad un concorso a Premi. La Motta, la Perugina, non erano nuove a queste iniziative. Così, come si legge nella copertina del n. 122, il film fu abbinato ad un concorso a premi legato all'ippica.
Possiamo solo ipotizzare l’effettivo responso positivo del pubblico, ma l’accoglienza della critica è discordante. Su Cinema Illustrazione si divertono ma rinfacciano a Chico e Harpo di essere antiquati per il trucco e i costumi da vecchio circo, mentre Filippo Sacchi, storica firma del Corriere della sera, l’11 marzo 1938 scrive favorevolmente: “Tre superpagliacci. tre clowns trascendentali, per i quali l'arte e la tecnica del lazzo non hanno più nessun segreto, tre saltimbanchi della risata che hanno la mimica mediterranea dei Fratellini  accoppiata all'ironia musicale di Grock, con un'infusione di frenesia  americana che li fa stordenti e  spasmodici: questi sono i fratelli Marx. Con essi è il circo equestre che entra ufficialmente al cinematografo. Perché i loro sketchs, le loro trovate, sono pure pantomime da circo equestre: di quegli intermezzi che i pagliacci usano improvvisare nell'arena, tra un numero e l'altro, mentre gli inservienti rastrellano la pista e drizzano gli attrezzi. Naturalmente, anche qui, il cinematografo ne fa un'altra cosa. Ne fa un'altra cosa, prima di tutto perché consente un'esecuzione che, senza perdere nulla del suo carattere estemporaneo, ha il rigore di un congegno perfetto. Ma soprattutto perché, con le sue infinite possibilità di prospettiva di tempo, la macchina da presa ne moltiplica l'acerbo funambolismo e la sbellicante forza (…).Tutto il film si accentra però sui fratelli Marx e sulla loro irriverente e pirotecnica follia. Questo è il quinto film girato dai Marx. Potremmo umilmente domandare di vederne un altro paio?”.

Su La stampa del 3 marzo 1938 si commenta: “Episodi grossolani e farseschi, ancora affidati soltanto al lazzo verbale, strappano una facile risata, e lo fanno con lo immancabile commento di un ‘che stupido’: è la scemenza per la scemenza, è l'incastro arbitrario e meccanico, è anche la tetra malinconia della freddura alogica e idiota. Ma poi, man mano che il film procede, i toni di questa comicità si rilevano in un gioco audace ed enorme, in un'assurda e serrata coerenza che tutto deforma su di un piano burattinesco e scanzonato. Allora, sia pure di un gusto tipicamente americano, episodi si staccano in un grottesco esasperato, che sfodera vecchi motivi da ‘comica finale’ con allusioni più vive e azzeccate, fra trapassi d'una scemenza arrischiatissima e calzante, e trovate e trovatine che dal bambinesco giungono alla parodia della parodia. In fondo, un film dei Marx, è un ‘numero’ da clown di circo equestre, alleato a parecchie risorse del cinema vero; si comprende come le risate scroscino, fra il pubblico, insistenti”.
Il Messaggero del 10 marzo, si annota qualche spunto critico in più: "Non è possibile liquidare i fratelli Marx in una nota di cronaca come quella alla quale ci obbliga il quotidiano mestiere. Essi meritano certamente di più (…). Un giorno alle corse è, per giudizio unanime, la più completa e nutrita opera cinematografica dell’impareggiabile terzetto (…). Definire la loro arte non è facile, basata com’è, l’impulso elementare e irrazionale, l’incoerenza sistematica, su un dinamismo sfrenato e anarchico; eppure in tutto questo terremoto c’è una regola, c’è un accordo che non è, come nei fratelli Ritz, puramente meccanico; esso deriva da un’armonia più larga e ispirata, da coincidenze più libere e spontanee; vedrete, per esempio, nella sequenza della visita medica, forse la più tipica del loro stile, come essi sanno andare d’accordo fra loro e in disaccordo con la logica. Vedrete come zampillare, inaspettati, irresistibili, rivoluzionari i gags senza che l’armonia e il carattere dell’intera scena perda vigore e significato (…). Non tutto il film però è della stessa qualità. I primi duecento metri quasi deludono e io non so come non si sia pensato di tagliare radicalmente il lungo e stupido gag fra Chico e Groucho alle corse, con la neutra trovata dei libri. Ma subito dopo i Marx prendono quota e il film con essi. Il difficilissimo doppiato è quasi riuscito.
Curioso il riferimento al doppiaggio: essendo irripetibili queste copie italiane, è impossibile immaginare l'adattamento all'umorismo spesso intraducibile dei Marx, un problema non risolto neanche attualmente.





















L’entusiasmo si spegne
 quando finalmente viene distribuito anche Una notte all’opera: l
a recensione torinese del 22 ottobre 1938 elogia solo il finale e bolla il film come una “stanca farsa”. La gentilezza nei loro confronti si raffredda ancora di più anche perché il film non va neanche bene nelle sale. Gino Visentini lo recensisce per il n.56 di Cinema, del 25 ottobre 1938, ma partiamo male, Gino si lamenta perché era stato trascinato dagli amici per vederlo, rimpiange Ridolini e accusa i Marx che tutto sono tranne surrealisti come molti invece sostengono. E scrive: “La novità che i Marx hanno portato nella farsa cinematografica è un certo irrazionalismo: essi mettono ad effetto tutto ciò che passa per la loro mente come bambini troppo estrosi, ma senza terrori, quasi con sbadata indifferenza, con l’aria di dimostrare che la vita non è se non non una serie di impulsi involontari e irrazionali. Ma il loro gioco è breve, povere le loro risorse. Sotto le loro furiose nevrotiche agitazioni si nasconde un irreparabile aridità, una monotonia senza pari nella storia del cinema comico. Lo stile farsesco dei Marx è troppo povero di umore e di fantasia. Così, a vedere questi clowns che credono di farci ridere, mentre non fanno che rendersi penosi e irritanti, si pensa con rimpianto al grande Mack Sennett, a Ridolini, a Charlot (...)”. 

Unico ancora tifoso delle loro gesta sembra essere Filippo Sacchi, che sul Corriere della sera del 12 ottobre scrive: "Una notte all'Opera (che sarebbe poi, propriamente parlando, una  sera) dovrebbe divertirvi, se vi siete divertiti a Un giorno alle corse: perché ha lo stesso schema  strampalato, lo stesso procedimento  convulso, la stessa stridula buffoneria. E' inutile, anche questa volta,  spiegare una comicità la cui forza è nel puro e assoluto assurdo.  Bisogna accettare questo mondo  marxiano com'è, come un mondo di metafisica idiozia e di universale sberleffo; un mondo che deve  rispondere del resto a qualcosa di insito nel tempo, se forma per  quattro quinti la base dell'allegria  contemporanea, come ognuno può  vedere sfogliando anche i nostri  giornali umoristici. Lo sfondopretesto, questa volta, è il teatro lirico, nel quale Groncho (sic!), Harpo e Chico si si introducono come impresari di Alan Jones, in antagonismo a una cricca operistica che spalleggia un celebre e presuntuoso tenore, e il parapiglia finale si svolge durante una rappresentazione del Trovatore. Già René Clair e Buster  Keaton ci avevano dato, ciascuno nel suo stile, due versioni celebri di questa gag teatrale, per cui una peripezia di retroscena si  ripercuote con disastrosi effetti sulla recita in palcoscenico, però mai esso era stato spinto sino a questo grado di ribalda caricatura e di  funambulesco caos. Questo episodio, raltro del poliziotto e dei quattro letti, e nella prima parte la manicomiale scena nella cabina, sono le tre zone ad alto voltaggio del film. Al quale nuoce forse un leggero eccesso nelle parti cantate, tanto più che Kitty Carlisle, piacente donna che viene dall'operetta (essa è stata la « stella » del Cavallino bianco a Nuova York) se la cava piuttosto modestamente con Verdi; e l'unico quadro coreografico, quello che si suppone svolgersi tra gli emigranti di una terza classe, è  mediocre cartolina. Però queste e altre minori deficienze sono subito spazzate via dai tre Marx, con la loro tecnica inesauribile.."





L’avventura delle meteore Marx finì così, e complice anche un miserabile antisemitismo che travolse l'Italia e una stampa che definiva Hollywood un covo di ebrei comunisti, il terzetto finì nel dimenticatoio.
Nel dopoguerra, il recupero dei film americani appena sbloccati non trovò subito spazio per loro, perché nella valanga di titoli bisognava rilanciare Laurel e Hardy, Abbott e Costello, Jerry Lewis e Dean Martin, Red Skelton, Danny Kaye più la nuova scuola italiana capitanata da Totò. La Metro rilancia il terzetto con At the Circus, un film del 1938 ora intitolato Tre pazzi a zonzo, e portato nelle sale nel 1948. Un indipendente, la Union Films, importa il film Una notte a Casablanca (1946) nel 1950, mentre il loro ultimo lavoro insieme, Una notte sui tetti (1949), viene distribuito nel 1954. In sala, quindi, arrivano filmetti senza conto, lasciando il pubblico perplesso e senza la possibilità di cogliere la loro genialità.

LA SECONDA VITA (dagli anni '60)

Con il loro umorismo assurdo e i giochi di parole intraducibili, i Marx non furono comici facile da rilanciare in Italia. Piacevano molto agli intellettuali, quello sì, e nonostante la difficoltà di reperire i loro film – che ricordo erano pressoché ancora inediti a parte una manciata di titoli – non sono mancate le poche ma interessanti pubblicazioni. Nel 1949 la rivista Cinema pubblicò un articolo scritto due anni prima da Richard Rowland su Hollywood Quarterly, poi nel 1964 Ernesto G. Laura scrisse un importante profilo critico su Bianco e Nero, “Il contributo dei Max Brothers alla nascita del film comico sonoro (n.11/12, nov./dic. 1964), tutt’oggi uno dei migliori saggi mai scritti in Italia sui Marx, mentre nel 1980 Andrea Martini pubblicava con Nuova Italia il volume “Castoro” sui fratelli Marx (ultima edizione 1995); assolutamente meritorie le edizioni italiane di alcuni libri di Groucho Marx, come l’autobiografia Groucho e io (Adelphi, 1997, ristampata nel 2017), Le lettere di Groucho Marx (Adelphi, 1992), la biografia scritta da Arthur Marx, La mia vita con Groucho: crescere con i Fratelli Marx (Effepi, 2007), i testi radiofonici di Groucho e Chico, pubblicati da Bompiani nel 1989 con il titolo I fratelli Marx: legali da legare (l’ultima edizione è del 2002), la splendida antologia di Stefan Kanfer, “The Essential Groucho: Writings by and for Groucho Marx” (O quest'uomo è morto, o il mio orologio si è fermato. Il meglio del meglio di Groucho, Einaudi, 2001), le memorie di Groucho, Memorie di un irresistibile libertino (Rizzoli, 1975, ultima ediz. 1999), o suoi scritti, come Letti (Lindau, 1995, ultima ediz. 2017), Grouchismi. Storie brevi 1925 -1973 (Mondadori, 1999), fino alla recente autobiografia di Harpo, Harpo Speaks! (Erga, 2016).


Ma i film? Nota dolente. In televisione saranno trasmessi col contagocce quelli doppiati, nonostante salutati dalla stampa come eventi culturali – come accadde nel 1963 con I cowboys del deserto e Il bazar delle follie – o persino unici, come nel caso nel 1972 con la messa in onda di Zuppa d’anatra, re-intitolato chissà perché La guerra lampo dei Fratelli Marx, e nel 1986 con Horse Feathers, doppiato con il titolo I fratelli Marx al college. Come era accaduto negli anni Settanta con Totò, il rilancio fu gestito dai gloriosi cineclub e in dettaglio cito l’Obraz Cinestudio di Milano, fondato da Enrico Livraghi, che nell’aprile del 1982 ospitò una rassegna che fece epoca sui fratelli Marx, tanto da essere replicata al Ciak di Milano, per poi andare in “tour” a Roma e Bari. L’occasione fu quella di proiettare tutti i film dei Marx, inclusi quelli inediti, grazie all’impegno di Francesca Dragone Bandel, che curò i sottotitoli per Monkey BusinessThe CocoanutsA Day at RacesAnimal CrackersHorse Feathers. Ebbe così successo il lavoro accurato di sottotitolazione della Bandel da essere utilizzato in più occasioni: nel 1992 L’Unità pubblicò la traduzione dei primi quattro film dei Marx (volumetti che trovate facilmente su Ebay e che consiglio di prendere assolutamente), e poi nel 1995 per una importante rassegna televisiva su Fuori Orario (Raitre) della loro intera filmografia. Chi scrive, scoprì i Marx proprio in questa ultima occasione, registrando faticosamente le messe in onda notturne su cassette che ha smarrito nel tempo, poi sostituite da altre edizioni VHS (si ricordano quelle del Gruppo Editoriale Bramante, della Univideo e della Ricordi, tutte degli anni Novanta) che ancora conserva. Il successo di Woody Allen e il suo entusiasmo per i Marx, o il ruolo di Groucho nei fumetti di Dylan Dog, ha un po’ influenzato il ricordo del terzetto in Italia. Nelle ricerche per questo articolo, si è scoperto persino che la commedia Room Service, scritta da Allen Boretz e John Murray, alla base del film dei Marx del ’38, è stata portata al teatro Trastevere di Roma nell’ottobre 1985 con Giorgio Lopez, Mino Caprio, Vittorio Amandola, Sandro sardone, Renato Cortesi, Maurizio Mattoli. 


Per un periodo il mercato DVD aveva pubblicato tutti i film dei Marx in edizioni notevoli, oggi purtroppo fuori catalogo (l’astuzia del collezionista vi porterà a scoprire che le edizioni straniere più recenti, però, hanno l’audio italiano, eccetto Monkey Business, misteriosamente privo dell’esistente doppiaggio). Il dvd era comunque la nuova occasione di rivedere i fratelli Marx in originale, spiace dirlo, unico modo genuino per gustarli appieno. Il doppiaggio, quando è stato fatto dignitosamente con voci perfette per Groucho come quella di Elio Pandolfi o di Giorgio Lopez, è stato anche piacevole, ma ovviamente le battute hanno sofferto parecchio nell’adattamento, almeno quanto le traduzioni dei testi o nei sottotitoli odierni (quelli fatti dalla Bandel, salvati da Raitre, sono smarriti da tempo). Tuttavia, come scriveva Alberto Crespi su L’Unità, “fate uno sforzo e cercate di vederli, e decrittarli, in inglese. Sarete ricompensati da una ricchezza inventiva senza pari. Ve ne diamo un solo esempio, che vede Groucho alle prese con la solita, simpatica, monumentale Margaret Dumont, l'attrice che era, nei film, la loro vittima preferita. È l'inizio di Zuppa d'anatra e Rufus T. Firefly è stato appena eletto dittatore dello staterello di Freedonia (da «freedom», libertà). Tutti lo aspettano a corte ma lui entra dal retro e comincia a combinarne di tutti i colori (ad esempio tira fuori un mazzo di carte e dice a un tizio: «Scelga una carta. Non quella! L'ha scelta? Ok, se la tenga, ne ho altre 51»), poi si avvicina alla Dumont e le chiede il perché di tutti quei festeggiamenti, e qui l'inglese diventa intraducibile. «It's your gala day», risponde lei, è il vostro giorno di gala. Groucho ribatte: «That's fine, I couldn't make it with more than a gal a day», che a un primo livello significa «Perfetto, non ce la farei con più di un giorno di gala», ma spezzando «gala» in «gal a» significa anche «Perfetto, non ce la farei con più di una ragazza al giorno». (Groucho. Un altro Marx è possibile, 19 agosto 2007).

venerdì 10 aprile 2020

Semplicemente Alberto Sordi

Come molti avranno notato e saputo dalle numerose iniziative, Alberto Sordi compie quest’anno 100 anni e per l’occasione è stato fatto un film biografico con Edoardo Pesce, Permette? Alberto Sordi, per la regia di Luca Manfredi e stanno uscendo – o meglio, sono in catalogo ma per la situazione attuale arriveranno in libreria in un secondo momento – diverse pubblicazioni importanti sulla sua incredibile carriera.
Poi è successo anche che io e Alessandro Boschi siamo finiti negli studi RAI per una puntata di L’Italia con voi dedicata a Alberto Sordi, trasmessa il 28 febbraio. Buffo, per quanto io conosca molto bene la carriera di Sordi, non mi sono mai avventurato in un progetto su di lui. Intendiamoci, Sordi lo reputo uno dei più grandi attori in assoluto che abbiamo avuto non solo in Italia, e non esagero se almeno trenta film che ha girato sono fra i miei preferiti in assoluto, ma non ho mai trovato un contesto giusto per scrivere su di lui. In verità, nel 2012 avevo iniziato a scrivere sulla sua filmografia e partecipai a un progetto iconografico dove riuscii a inserire molte delle informazioni inedite, e due anni dopo misi in piedi la possibilità di fare un libro, ma poi rinunciai.  L’ostacolo era che Sordi aveva raccolto un archivio di se stesso imponente, e non avendo accesso decisi di mollare la presa e aspettare che lo facesse qualcun altro. Per fortuna, lo ha fatto il Centro Sperimentale di Cinematografia, prima con un numero (da collezione!) di “Bianco e Nero” del 2018 dove si raccoglievano studi importantissimi sulla carriera di Sordi meno nota, poi recentemente, per mano del grande Alberto Anile, con un libro intitolato semplicemente Alberto Sordi. E in questa occasione, ho collaborato minimamente soprattutto sulla parte sul quale sono più preparato: il rapporto fra Stan Laurel e Oliver Hardy e Alberto Sordi
(Crediti: Fondo Alberto Sordi/CSC)
Com’è noto, Sordi debuttò nel mondo dello spettacolo giovanissimo come voce di Ollio in un famoso – mai provato veramente – concorso che la MGM bandì nel lontano 1937, cercò poi di sfruttare il buffo accento negli spettacoli del varietà, con qualche disco, e fu logico fargli incontrare Stanlio e Ollio quando i due comici passarono a Roma nel 1950. Con l’aiuto di Benedetto Gemma e Gabriele Gimmelli abbiamo fornito a Anile ogni dettaglio e informazione raccolta negli ultimi venti anni di ricerche. Ma il pezzo forte è stato recuperato nel Fondo Sordi: una fotografia presa da un quotidiano d’epoca che raffigurava Sordi con Stanlio e Ollio. Erano decenni che la cercavamo, e non appena è stata pubblicata in anticipo dall’ANSA ha fatto il giro del web con notevole successo (e che riporto anche qui).  
Il volume di Anile è pazzesco: parte dalla infanzia di Alberto, gli inizi nell’avanspettacolo, il doppiaggio, il rapporto con Totò, il personaggio di Nando l’americano, il rapporto con le donne, il Boom, le varie versioni di Polvere di Stelle, le incredibili storie di scherzi che Sordi faceva ai suoi amici, e argomenti mirati come il rapporto con Fellini e l’antipatia di Nanni Moretti, più uno studio incredibile sui progetti mai realizzati. Ci sono foto mai viste – la prima è davvero inedita, con Sordi e Peter Sellers, che si può vedere nella bella prefazione di Carlo Verdone – e materiali inediti.
Probabilmente è uno dei migliori libri mai pubblicati su di lui, assieme ad altri volumi “fotografici” di qualche anno fa, sempre curati per il Fondo Sordi. Molto utile per approfondire la carriera e il metodo di lavoro, qui Anile cerca anche di capire chi fosse veramente, e quanto era vicino ai suoi personaggi. Compito non facile, che neanche Verdone ammette di poter rispondere. La verità se l‘è portata in cielo lo stesso Alberto?
Per vedere la puntata del programma L’Italia con voi cliccate qui, e per il libro di Anile su Sordi cercate online nei vari siti specializzati (Ibs, Amazon), o aspettate la riapertura delle librerie.

venerdì 13 marzo 2020

Le origini di Donald Duck

Oggi ho avuto notizia che la Panini slitterà al mese di giugno le uscite previste a breve, fra cui il secondo volume che raccoglie le strisce giornaliere di Paperino nel periodo interessato dal 1940 al 1942, dopo aver già pubblicato nel novembre scorso il primo delle strisce dal 1938 al 1940. Questi due volumi, ai quali si aggiungeranno altri tre futuri, sono farina del sacco della americana IDW Publishing, che aveva pubblicato fra il 2015 e il 2019 cinque volumi con le strisce giornaliere di Paperino dal 1938 al 1950. Se le vendite dei primi due volumi in Italia andranno bene, potremo sperare che la collana continui seguendo le uscite americane. 

L’entusiasmo è molto alto perché finalmente le strisce uscite per i quotidiani americani troveranno la giusta attenzione filologica in Italia, paese dove Paperino è sempre stato popolarissimo e sin dagli anni Trenta ha avuto uno spazio particolare.
Dal punto di vista storico, Al Taliaferro ha avuto un ruolo fondamentale, quasi se non forse di più quanto lo avrà Carl Barks nella evoluzione di Paperino come personaggio nei fumetti (fra l’altro, Barks è stato autore di gag per alcune strisce di Taliaferro, poi gagman per i cartoni animati e poi autore totale per le prime storie a lungo respiro del papero, dal 1942 al 1966, prendete nota perché poi interrogo). Fu lui a introdurre nel mondo di Paperino i personaggi di Qui, Quo e Qua nel 1937, 
seguito dal cugino Ciccio (1938), la fidanzata Paperina (1940) e il professor Pico de Paperis (1961), più Nonna Papera (1943), la macchina 313 e il cane Bolivar, tutti elementi puntualmente trasportati nel campo dell’animazione più o meno contemporaneamente. Senza nulla togliere al merito enorme di Barks nello sviluppo del mondo dei paperi (dalla invenzione di personaggi come Paperon De’ Paperoni, la Banda Bassotti, la stessa città di Paperopoli, Amelia, i nemici Cuordipietra Famedoro e Rockerduck, le Giovani Marmotte, Gastone Paperone, Archimede Pitagorico, alla incredibile capacità di sceneggiare storie avventurose che avranno come fan persone come George Lucas, Steven Spielberg. (Non Pupi Avati. Spielberg eh!), anche Taliaferro dovrebbe essere considerato Uomo dei Paperi come è stato ad esempio Jack Hannah, altra leggenda Disney che diresse quasi cento cortometraggi di cui molti con Paperino protagonista. In seguito lo sviluppo di Paperino e di tutta la sua famiglia ha avuto un suo corso anche recente, con una serie di importanti artisti italiani fra sceneggiatori e disegnatori – fra gli americani, oltre Don Rosa non vedo altri nomi - ma il Paperino classico è quello degli albi a fumetti ingialliti.

BREVE CRONOLOGIA di paperino NEI FUMETTI dEGLI ANNI ‘30


Sin dalla sua apparizione in un cartone animato nel 1934, il personaggio di Donald Duck ha subito mostrato una personalità da sviluppare in molte sfaccettature, prima come spalla di Topolino, come un personaggio pasticcione, fannullone e molto infantile, poi in trio con Pippo, fino alla svolta nel 1936 con una serie tutta sua sia nel campo del cinema (di cui parlo qui) che in quello dei fumetti. Questa la cronologia delle sue apparizioni:
 

“The Wise Little Hen”

16 settembre – 16 dicembre 1934. 

Testi di Ted Osborne, disegni di Al Taliaferro.

 

“Mickey Mouse”

Paperino appare nelle strisce domenicali di Topolino dal 10 febbraio 1935 al 19 aprile 1936.

Testi di Ted Osborne, disegni di Floyd Gottfredson, chine di Ted Thwaites.

 

“The Case of the Vanishing Coats” 

(Topolino e il mistero dei cappotti)

17 febbraio - 24 marzo 1935.

Testi di Ted Osborne, disegni di Floyd Gottfredson.

 

“Editor-in-Grief”

(Topolino giornalista)

4 marzo - 1 giugno 1935.

Testi di Ted Osborne, disegni di Floyd Gottfredson.

 

"Race for Riches"

(Topolino e il tesoro di Clarabella)

3 giugno -28 settembre 1935.

Testi di Ted Osborne, disegni di Floyd Gottfredson, chine di Ted Thwaites.


“Oscar the Ostrich”

(Topolino e lo struzzo Oscar)

6 gennaio-20 marzo 1936.

Testi di Ted Osborne, disegni di Floyd Gottfredson, chine di Ted Thwaites.

 

“The Seven Ghost” 

(Topolino nella casa dei fantasmi

10 agosto - 28 novembre 1936.

 

“Silly Symphony – Donald Duck”

Strisce domenicali dal 30 agosto 1936 al 5 dicembre 1937.

 

“Donald Duck”

Strisce giornaliere, dal 2 febbraio 1938.

Testi di Bob Karp, disegni di Al Taliaferro.

 

“Donald Duck”

Strisce domenicali, dal 10 dicembre 1939.

Testi di Bob Karp, disegni di Al Taliaferro.

 

Taliaferro continuerà a lavorare alle strisce fino al 1967, per poi abbandonare quelle domenicali per motivi di salute, poco prima di morire nel 1969. Le strisce saranno continuate da altri artisti fino al 1995, anno dell’ultima strip di Paperino. Il passaggio negli albi a fumetti avviene nel 1942. Nonostante in quell’anno Paperino troverà Carl Barks, la coppia inseparabile di Bob Karp e Al Taliaferro lavorerà alle strisce giornaliere fino al 1969.


Bibliografia italiana altalenante 
 
Mentre la IDW ha praticamente raccolto la produzione di Paperino nelle strisce sin dal debutto fino al 1950, rimane fuori dalle ristampe una fetta piuttosto ampia – come ho appena detto, Taliaferro concluse sua attività nel 1969, e aggiungo che le ultime strisce a fumetti di Donald uscirono fino al 1995 – ma fa onore alla editoria italiana aver provato a dare la giusta attenzione filologica negli anni passati. 
Le strip di Paperino debuttano nelle prime importanti pubblicazioni italiane della Disney: da Il regno di Topolino (prima Mondadori, poi Anonima Periodici Italiani) dal 1935 al 1939, assieme alle lunghe storie di Gottfredson, a Paperino e altre avventure, dove si fa spazio la prima generazione italiana di autori Disney con Federico Petrocchi (autore della famosa Paolino Paperino e il mistero di Marte) fra il 1937 e il 1940, ma è in Topolino formato giornale (dal 1940 al 1946) che le brevi gag di Paolino trovano lo spazio continuo, fino a quando la prima storia a lungo respiro di Paperino viene pubblicata nel 1947 (“Donald Duck Finds Pirate Gold”, Paperino e l'oro del pirata, 1942, disegni di Carl Barks e Jack Hannah), e le strip vengono dimenticate sulla scrivania.
In verità, come scrive Luca Boschi, “Il tascabile Topolino, dalle sue prime uscite del 1949, si serve spesso di singole immagini di Taliaferro per gonfiarle e promuoverle a copertine, oppure smembra le strisce per ricavarne delle vignette che, adeguatamente adattate nel testo, ornano e commentano vari redazionali”, e bisognerà attendere la celeberrima serie dei cartonati Mondadori, ufficiosamente noti come “cartonatone”, per avere la prima raccolta di strisce. E sono:
 
Paperino - Sketches 1936 - 1945. 365 storie per un anno
(1975)
Conteneva le tavole domenicali dal 30 agosto 1936 al 16 settembre 1945.
 
Topolino 365 sketches 1932-1942 storie per un anno (1977) 
Include le apparizioni di Paperino nelle strisce domenicali di Mickey Mouse dal 10 febbraio 1935 al 19 aprile 1936.

Paperino - Mille e 92 strips (1992) 
Raccoglieva le strisce giornaliere dal 7 febbraio 1938 al 2 agosto 1941.
 
Paperino - 1072 paperinate in tempi di autarchia (1994) 
Conteneva le strisce giornaliere dal 4 agosto 1941 al 4 gennaio 1945. 
 
Paperino - Un triennio di strips – DOC (1996)
Raccoglieva le strisce giornaliere dal 5 agosto 1945 al 25 dicembre 1947.
 
Paperino - Le mie allegre domeniche (1996)
Raccoglieva le tavole domenicali dal 23 settembre 1945 al 28 dicembre 1952 (inoltre recuperava alcune tavole domenicali mancanti nel volume “365 storie per un anno”, ed esattamente del 13 giugno 1937, 18 luglio 1937, 8 agosto 1937 e 13 ottobre 1940). 
 
Paperino - Affari di famiglia (1997) 
Conteneva le strisce giornaliere dal 26 dicembre 1947 al 31 dicembre 1950.

Molto importante mirata alla produzione taliaferriana in strisce giornaliere fu la serie di 24 albi orizzontali Donald Duck by Al Taliaferro, edita dall'ANAF dal 1983 al 1991 e che incluse le strisce fino a tutto il 1947.
Infine, importante pubblicazione è stata Donald Duck - Le strisce inedite (1951-52), edito dalla ANAFI nel 2015, e che rendeva giustizia alla produzione giornaliera di Taliaferro dimenticata dalla editoria, esattamente le strisce giornaliere dal 1 gennaio 1951 al 31 dicembre 1952, oltre ad una serie di articoli storici molto interessanti dal punto di vista bibliografico.
E ora si ricomincerà tutto da capo con il giusto ordine filologico grazie alla Panini e all’accordo preso con la IDW, sperando escano da noi non dico nove volumi come indicato, ma almeno i cinque totali delle strisce giornaliere. 
 
Le strisce di Floyd Gottfredson 
 
Prima di passare nelle mani Taliaferro, Paperino debutta nelle strisce di Topolino disegnate da Gottfredson nel febbraio 1935 e ci rimane fino all'aprile 1936. Queste strisce sono state ristampate nel 2013 in due volumi editi dalla Fantagraphics Books Inc. intitolati Walt Disney's Mickey Mouse Color Sundays. Al 2023, questi due volumi sono ancora inediti in Italia, forse smarriti nel passaggio di pubblicazione in Italia della collana pubblicata dalla Fantagraphics dedicata a Gottfredson: la Rizzoli aveva infatti pubblicato due volumi, uno nel 2011 (Topolino nella valle infernale) e l’altro nel 2013 (Topolino e i pirati), mentre per il terzo volume intitolato Topolino e il bandito pipistrello (con all'interno Topolino giornalista) bisognerà aspettare la Panini Comics alla fine del 2020, seguito nel 2021 dal quarto, Topolino e la casa dei fantasmi. La serie originale di 14 numeri (uscita in America dal 2011 al 2018) è al momento ferma in Italia al volume 8. 
 
In arrivo
 (maggio 2021): i
volumi sono acquistabili sul sito della Panini. Confermo che la serie di volumi dedicati alle strisce di Paperino da parte della Panini è continuata. Nel momento in cui scrivo è uscito il terzo volume dedicato al periodo dal 1943 al 1945, e il primo volume, andato fuori catalogo, è stato ristampato. Il quarto, uscito nell'aprile del 2021, contiene le strisce giornaliere dal 1945 al 1947, mentre il quinto e ultimo volume contiene le strisce dal 1948 al 1950 e uscirà a novembre. 
Sono edizioni meravigliose, eleganti e piene di informazioni e cosa più importante rispettano il formato originale. Quindi il mio consiglio è di non perderle assolutamente.

In arrivo (aprile 2022)

Al momento sono in arrivo in Italia i due volumi delle strisce domenicali, usciti nel 2016 e intitolati Donald Duck: The Complete Sunday Comics, contenenti nel primo volume le strisce 
dal 10 dicembre 1939 al 27 dicembre 1942, e nel secondo dal 3 gennaio 1943 al 30 dicembre 1945; Luca Boschi mi ha gentilmente confermato che il primo volume arriverà il 5 maggio 2022, mentre il secondo a novembre.

Inediti - al momento (agosto 2023)

In Italia continuano ad essere inediti i due volumi a colori della Fantagraphics dedicati alle strisce di Topolino sopra citati (1935-36), e i due volumi della IDW dedicati alle strisce della serie Silly Symphonies dove appariva Paperino: Silly Symphonies: The Complete Disney Classics Vol. 1 (2016), che include la storia del 1934 “The Wise Little Hen”, e Silly Symphonies: The Complete Disney Classics Vol. 2 (2017), con le strisce domenicali dal 30 agosto 1936 al 5 dicembre 1937. 

Nel 2023 in America il contenuto di questi due ultimi volumi stanno per tornare nelle librerie grazie alla Fantagraphics. Il primo si intitola Walt Disney's Silly Symphonies 1932-1935: Starring Bucky Bug and Donald Duck ed è uscito lo scorso aprile, mentre il secondo, Walt Disney's Silly Symphonies 1935-1939: Starring Donald Duck and the Big Bad Wolf, vedrà la luce il prossimo dicembre. Questa è la cover in anteprima: