mercoledì 31 dicembre 2014

St. Vincent, recensione allibita

Allibisco e in parte mi arrabbio un po’ con il pubblico italiano che per motivi che davvero non riesco a capire ha rifiutato un film come St. Vincent, distribuito dalla Eagle Pictures con un centinaio di copie senza ricavarne neanche quello che potrebbe essere definito un incasso decente: al momento, non ha superato neanche gli 80,000 euro. Ieri l’abbiamo visto in una sala con un’altra coppia (quindi eravamo un totale di quattro presenze) ed alla fine della proiezione ce lo siamo detti in faccia: non sanno cosa si sono persi. Perché St. Vincent non è un film di nicchia, né intellettuale, semplicemente è troppo intelligente e quando il pubblico natalizio preferisce la banda di Neri Parenti (seppur con minor affluenza, e meno male) capisco che non abbiamo scampo e, magari, St. Vincent avrà migliore fortuna nell’home video o sul satellite: ma la visione ne vale veramente la pena. Quindi tolta l’inutile indignazione dell’indifferenza del nostro pubblico, bisogna dire che l’unica ragione d’essere di St. Vincent è ovviamente Bill Murray. La storia dove giganteggia è molto tradizionale, quasi natalizia e in parte zuccherosa, ma quando il “cattivo” di turno è Murray capisci che hai di fronte un film – natalizio? - sopra la media: lui è il burbero vicino di una famiglia composta da una mamma in procinto di divorziare e suo figlio Oliver, un bimbo curioso e intelligente ma solitario e indifeso. Siccome la mamma lavora in ospedale ed è sempre in turno, viene spontaneo chiedere a Vincent di fare da baby-sitter al ragazzino: non sembrerebbe una buona idea siccome le abitudini di Vincent sono quelle di un vecchio ubriacone, fra corse ai cavalli e compagnie discutibili, come uno strozzino e una prostituta russa; eppure Vincent ha una sua storia che non vuole raccontare, né ascoltare quelle degli altri, e il piccolo Oliver la vuole scoprire: come compito in classe, gli viene chiesto di raccontare la vita di una persona che gli è vicina che reputa un vero Santo. Oliver scopre che da otto anni mantiene la moglie malata in una lussuosa casa di riposo nonostante non ha granché nel portafoglio, ha combattuto nella guerra del Vietnam e ha salvato due suoi ufficiali, e alla sua maniera aiuta la prostituta nel difficile e imminente parto (un problema, quando balli in lapdance con il pancione..). Per Oliver, il burbero Vincent è un Santo, perché fa sacrifici per le persone anche se non vuole ammetterlo, e lo ha aiutato nel sentirsi più sicuro e a difendersi – facendogli guadagnare quello che sembra essere il suo migliore amico, dopo avergli rotto il naso a scuola – e sente di volergli bene.  
Vincent era il personaggio alla Walter Matthau che mancava a Bill Murray: vorresti portartelo a casa e metterlo in giardino, tranquillo con il walkman a canticchiare (male) Bob Dylan. La sua faccia ha una forza espressiva incredibile, e rimane uno dei migliori della sua generazione. Il film fa spesso ridere anche perché Murray ha come spalla un bambino attore al suo esordio davvero sorprendente, Jaeden Lieberher, protagonista della parte più sentimentale del film e che, diciamolo, rischia di affondarlo pericolosamente. Insomma, St. Vincent non dice molto di originale, ma se volete vedere un film dove Murray non vincerà l’Oscar ma forse il Golden Globe, perché con quella faccia tragica riesce ancora a far ridere e a consegnarci una prova d’attore superba beh, questo è il film. Che, ripeto, non è il classico film “carino” di Natale.

sabato 18 ottobre 2014

Monty Python, anche questa volta niente sottotitoli..


La serata dei Monty Python del 20 luglio ha avuto un certo richiamo di pubblico in Italia. Contando che: non c'era un flano sui quotidiani, un accenno sui giornali il giorno stesso, un manifesto, una locandina che sia una nelle sale dove è stato proiettato.... sono stati 29.945 gli euro incassati in 24 ore, con 3.046 spettatori paganti. Il risultato italiano è stato positivo. I sottotitoli sono stati saltellanti e a volte incerti e con qualche secondo di ritardo - anche perché i Python hanno pure improvvisato - ma comunque niente che avrebbe potuto far saltare il tanto atteso dvd o bluray dello spettacolo.
Ora che è ufficialmente prenotabile prima che diventi disponibile il 15 novembre prossimo, noi fan italiani abbiamo amaramente scoperto che i sottotitoli in italiano non ci sono. In compenso ci sono in tedesco, inglese, olandese, danese, finlandese, norvegese, svedese e portoghese. Era proprio destino che la Eagle Rock Pictures, l'etichetta distributrice, ci snobbasse di nuovo dopo il colpo ricevuto con il precedente cofanetto Almost the Truth (the Lawyer's Cut), ma devo ammettere che la delusione è fortissima e questa assenza dei sottotitoli è davvero un mistero. Non c'è spiegazione precisa. I fan italiani sono insorti, è ormai tardi per riparare per la prossima uscita di novembre, ma si spera in qualche miracolo dietro l'angolo.
(Ecco gli extra che non vedremo sottotitolati: clip della riunione (novembre 2013) e della conferenza stampa, clip sulla produzione e il backstage, e Highlights dei 10 show alla O2 Arena nel luglio scorso.)

venerdì 5 settembre 2014

Joan Rivers, lady comedy

Siamo andati a letto, ieri sera, più buoni. Pessimo segno, perché Joan Rivers ci ha lasciati nel cuore della notte (ora locale), portando nell'inferno delle risate il suo stile inimitabile della comedian cattiva ed esilarante. Era più di una delle poche attrici comiche leggendarie, è stata forse tra le più grandi mai avute. Purtroppo in Italia è quasi sconosciuta, se non fosse per le sue partecipazioni al canale satellitare E!, e ci sembrava doveroso raccontare la sua storia, una carriera lunga e difficile - tante le volte che la Rivers ha dovuto ripartire quasi da zero - ma fatta di bizzarrie uniche (come il film dell'uomo incinto, scritto e diretto da lei nel 1978 con Billy Crystal protagonista!) e tanti successi. La Sagoma e il suo magazine online mi ha permesso nuovamente di raccontare un capitolo straordinario di un talento be, fatemelo dire, irripetibile. Morta la Rivers, abbiamo perso un riferimento per essere necessariamente più cattivi nella vita. Qui troverete la sua storia.

mercoledì 13 agosto 2014

Addio mio capitano

Queste sono notizie che proprio non vorremmo dare. Robin Williams è morto. E' stato trovato soffocato dalla polizia nella sua casa di Tiburon, California. Aveva 63 anni, ma avremmo voluto averlo ancora con noi per tanto, tanto tempo.

L’ipotesi che si sia trattato di suicidio viene confermata nel corso della conferenza stampa dello sceriffo che si è tenuta alle 11 (20 ora italiana), doge è stato ribadito che Williams si è tolto la vita e che la morte è sopraggiunta per asfissia dovuta all’impiccagione. L’attore è stato ritrovato vestito e “sospeso da terra e in una posizione come se fosse seduto” dalla sua assistente. Williams si è impiccato con una cintura, fissata a una porta.

Probabilmente l’attore, da tempo affetto da depressione, aveva provato a suicidarsi tagliandosi le vene del polso sinistro, dove sono state rilevate “ferite superficiali”. Vicino a lui è stato anche rinvenuto un coltello sul quale sono state rilevate tracce di sangue. Non è stato invece rinvenuto alcun biglietto.

Williams non era solo un grande comico, è stato un gigante assoluto e una delle persone più divertenti che lo spettacolo americano, e non solo, ricordi. E' stato il nostro amico d'infanzia dai tempi di "Mork e Mindy", lo show televisivo che lo consacrò, molto velocemente, come divo televisivo nel 1978, e ci ha accompagnato nella crescita adolescenziale insegnandoci a cogliere l'attimo, con "L'attimo fuggente" (1989), a rimanere bambini, come insegnava nei panni di Peter Pan, in "Hook" (1991), a ridere nelle sofferenze, come in "Good Morning Vietnam" (1987), e di guarirci con l'allegria, come in "Patch Adams" (1998). In una carriera come attore comico, Williams si scrollò di dosso l'ombra della macchietta facile dimostrando al mondo intero un talento enorme, coltivato da bambino quando giocava con i soldatini da solo facendo tutte le voci, e una intelligenza straordinaria e acuta, come pochi comici suoi contemporanei: la sua mente andava veloce come un treno senza dar fiato al suo pubblico. I suoi spettacoli live sono una testimonianza di un comico davvero irripetibile. Vero, nell'ultima fase della sua vita, caratterizzata da una serie di eventi difficili, come l'intervento al cuore ed un passato da alcolista - succede, quando hai tra i tuoi migliori amici John Belushi - era passato alle parti drammatiche, che tanto sono piaciute alla critica ma poco al pubblico, comunque alcune davvero memorabili: da "Risvegli" (1990), i due citati "Good Morning Vietnam" e "L'attimo fuggente", "Insomnia" (2002) etc. Ma noi lo ricorderemo anche per "La leggenda del re pescatore" (1991), "Mrs. Doubtfire" (1993), "Jumanji" (1995), "Piume di struzzo" (1996), la voce del Genio di "Aladdin" (1992), fino agli ultimi film, non proprio da cineteca - ultimamente, si era tirato un po' via con alcuni titoli dimenticabili - anche se sono da ricordare un gioiello dell'humour nero dimenticato nelle sale ed uscito da noi in home video, "Il papà migliore del mondo" (2009), dove è il papà del titolo che fa passare suo figlio morto come un cretino durante una pratica di autoerotismo come un genio letterario, scrivendo di sua mano un diario che diventa popolarissimo fra i suoi alunni.
 


Era tornato alla grandissima nel mondo dello stand-up comedy, con "Weapons of Self Destruction" (Armi di autodistruzione), un tour di 26 città nel 2009. Era uno show esilarante, durante il quale Williams ironizzava anche sul suo recente intervento al cuore e sulle opzioni delle valvole da inserire: "Numero uno: una valvola porcina, che viene dal maiale. Il che è ottimo, perché ti trovi già vaccinato per l'influenza suina. E uno degli effetti collaterali è che puoi fiutare i tartufi, il che è ottimo. ...Poi mi hanno offerto una valvola meccanica. Ho pensato: "Così potrò comprarmi il nuovo iHeart della Apple". Fantastico. Viene fornito con 20.000 emozioni. Ho pensato: "Se esistesse una cosa come l'iHeart... Donne, sentite qua... Invece delle protesi al seno, altoparlanti. Non sarebbe figo? Si chiameranno Bluetette e saranno compatibili con il cuore. E se non puoi permetterti degli altoparlanti, metti una papera di gomma che suona. Ci accontentiamo di poco, sarebbe fantastico...Alla fine mi hanno messo una valvola bovina, che viene dalla mucca. Che è ottima, perché puoi cagare in piedi. È fantastico".
 
Nella comunità dei comici americani, Williams è stato un monumento vivente. E aveva ancora molto da dire, perché avevamo bisogno di ridere ancora soffocati.
Good Morning, Robin. Goodbye, Robin.

Post scriptum: nel 2018 la HBO ha prodotto un documentario davvero ben fatto dal titolo Robin Williams: Come Inside My Mind. E' stato trasmesso anche da noi. 
Il 1 settembre 2020, un nuovo documentario, intitolato Robin's Wish, sarà incentrato sugli ultimi giorni del grande comico.
Qui trovate i trailer di entrambi, e ovviamente vi consiglio il recupero.



giovedì 7 agosto 2014

Le follie del sig. De Funès

Il grande comico Louis De Funès ha compiuto 100 anni dalla nascita. Ho scritto puntuale come un treno italiano sul magazine online di Sagoma Editore un ritratto del grande comico francese. Non è stata una impresa facile, non sono molti i film di De Funès disponibili in Italia ed esiste un solo libro italiano su di lui, e quindi per raccontarlo ho fatto affidamento ad alcuni libri scritti in Francia ed a una intervista del giornale Le Figaro al biografo Jean-Jacques Jelot-Blanc, dove si legge chiaramente che dietro lo schermo non era il massimo del divertimento ed aveva un unico pensiero: il giardinaggio.

lunedì 21 luglio 2014

Si chiude la saga dei Monty Python (1969-2014)

errore, è invece "Monty Python dal vivo (quasi tutti)".
Volevano scoprire quanti soldi sono rimasti ancora nel mondo. Così quattro inglesi ed un americano hanno preso il malloppo e mandato fuori dalle palle il pubblico a fine show.
In una atmosfera da fan club, nella sala 7 della multisala Space Cinema di Parco De' Medici abbiamo visto ieri sera 20 luglio 2014 la diretta live dell'ultimo spettacolo dei Monty Python: 361 anni in cinque, gli ultrasettantenni John Cleese, Terry Gilliam, Eric Idle, Terry Jones, e Michael Palin hanno chiuso dopo 45 anni la loro attività in team, per quanto sia stata irregolare e discontinua ma che sicuramente ha avuto un inizio con la prima puntata del loro "Flying Circus", 1969, e che sembrava esser finita con il film "Monty Python - il senso della vita", nel 1983. Negli anni seguenti il team si rincontrerà giusto per gli anniversari: il primo, nel 1989, sarà ricordato per sempre perché vide per l'ultima volta in pubblico Graham Chapman, il Python più fragile ma anche l'attore protagonista dei loro film maggiori, che morirà il 4 ottobre '89, un giorno prima dai venti anni dalla messa in onda del loro primo episodio. La sua morte sembrò determinare la fine definitiva del team, ormai divisi per le proprie carriere di attor comici (Cleese, Palin e Idle) e registi (Gilliam, Jones), e invece il gruppo si riunirà nove anni dopo, ad Aspen, in Colorado, durante il "Comedy Arts Festival": con il solito spirito dissacratorio, i Python si lanciano in una gag memorabile, mentre Cleese annoia gli spettatori con un discorso su un vecchio live, Gilliam accavalla le gambe e fa cadere l'ampolla con dentro le (finte) ceneri di Chapman. 
Aspen, 1998
L'atmosfera divertita e l'accoglienza molto positiva spinse l'idea di riproporsi in team per il pubblico ma la tensione fra i cinque sopravissuti non aiutò l'operazione. Come diceva Billy Gilbert, una vecchia spalla di Stanlio e Ollio, è molto più difficile fare un team comico che un buon matrimonio: e infatti se già mettere d'accordo sei persone è difficile, figuriamoci in cinque quando tre su due non sono convinti della rentrée perché, senza Chapman, i Python non possono andare in scena. Dopo il deludente trentesimo anniversario andato in onda sulla BBC nel 1999, le strade si divisero ancora. Tuttavia, il loro mito continuava a crescere, anche perché fra le cose molto intelligenti che hanno fatto nella loro carriera, è stata quella di tenere i diritti delle loro opere. Eric Idle, che ha sempre creduto sulla loro eredità, ha così prodotto dvd, cd, libri, tenendo alto il ricordo dei Python e tastando in prima persona l'affetto del pubblico: nel 2009, ad esempio, produsse una specie di omaggio in forma di opera lirica di uno dei loro film più famosi, "Life of Brian" (1979): nel prestigioso Royal Albert Hall, Idle portò Palin, Jones e Gilliam nello spettacolo Not the Messiah (He's a Very Naughty Boy), importato anche da noi in Dvd. Ma erano senza Cleese. Ed allora Cleese con Palin, Jones e Gilliam - ma senza Idle - realizzarono un film di animazione dedicato a Chapman, intitolandolo come la sua autobiografia, "A Liar's Autobiography", uscito nei cinema nel 2012. Sembrava impossibile quindi riunire tutti e cinque senza creare dissensi interni, finché, nel novembre del 2013, ecco che viene riunita una conferenza stampa: i cinque sopravissuti stanno lavorando ad un nuovo ed ultimo "live" come Monty Python. La notizia coglie il mondo di sorpresa, tanto che quando i biglietti sono disponibili online, vengono polverizzati in 45 secondi netti. 
Novembre 2013. Il miracolo avviene.
Le due serate previste si allungano a cinque, poi a nove totali, con il 20 luglio come ultimo spettacolo in cartellone. Tutta questa premessa - non fa mai male un ripasso, somari - per cercare di raccontare l'atmosfera da evento mondiale che si respirava ieri sera in sala. Nel circuito "Nexo" ieri ben 70 sale in Italia proiettavano in diretta la serata con i sottotitoli e, sinceramente, abbiamo apprezzato lo sforzo sapendo che sarebbe stato un pasticcio. Incomprensibilmente erano in anticipo alle battute ma non hanno potuto far nulla quando i Python ieri mandavano all'aria gli sketch perché, come da tradizione teatrale dell'ultima serata, gli attori tendono sempre a prenderla a cazzeggio. E infatti ieri sera Cleese era fra quelli più divertiti che per un pelo non ha fatto saltare due sketch, uno con Terry Jones e Gilliam, e quello storico del pappagallo morto con Palin, momenti che erano impossibili da sottotitolare. Ma andiamo con ordine.
Com'è stata insomma questa ultima serata del Monty Python Live (Mostly)?

Ma la vera domanda è: perché invece non siete andati al cinema a godervi l'evento? Paura di una delusione? Impossibile, i Python rimangono sempre quel team comico fantastico che non hanno ancora perso la verve, sono in grado di stupire ancora dopo 45 anni e i loro sketch, alcuni vecchi davvero mezzo secolo, entrano in scena come pezzi classici rock che il pubblico accoglie con grida e applausi e, come se fosse una canzone, ripete con gli attori le battute. I fan dei Python sanno già tutto: ma vederli ancora insieme, specie dal vivo, è una emozione che non si può descrivere. Certo, l'età ha il suo peso - Cleese non fa la camminata scema, ma affida al (bravissimo) corpo di ballo un pezzo musicale - e non hanno l'esuberanza di un tempo (Jones ci è sembrato il più acciaccato, quasi sempre seduto), eppure ieri sera erano scatenati. Eric Idle si ritrova con dei baffi posticci e non prosegue a copione lo sketch del "Nudge Nudge", Gilliam sembrava indemoniato tanto era su di giri, Cleese come si è detto era così divertito da far saltare un paio di sketch (e in quello del pappagallo morto cita anche Chapman - ma pare che abbiano fatto così ogni sera) ed è stato esilarante, Palin ha avuto il suo momento di gloria rispolverando "Blackmail", la trasmissione tv che ricatta la gente a casa, uno sketch che è servito ai Python per presentare la loro guest star serale: ieri sera, oltre a Eddie Izzard finito nello sketch dei Bruce e i filosofi ubriaconi, c'era Mike Myers, più noto con il trucco di Austin Powers, che era così contento di star lì che invece di dire del perché era stato ricattato fa saltare lo sketch ringraziando l'universo per essere nello stesso palco con i Monty Python, e mentre Palin cercava di farlo ritornare sul copione, Myers chiama l'applauso mandando in vacca il tutto, dicendo giusto alla fine, "Ah, forse sono qui per quella storia delle mie foto con quei pastori tedeschi"... Il bello della diretta, vero? 
Hanno cominciato fortissimo con lo "Four Yorkshiremen sketch", dove quattro ricchi ricordano quando erano poveri esagerando con le disgrazie dell'infanzia, in una specie di gara a chi stava peggio. Hanno fatto una divertente variazione della "Penis Song", allungando la gioia di avere un pisello con quella di avere un culo o una vagina, non poteva mancare "The Argument", la clinica della discussione, o "L'ultima cena", dove il Papa (Cleese) si lamenta con Michelangelo (Idle) per aver fatto un dipinto un po' differente da come è stata descritta dalla Bibbia (tre cristi, 28 apostoli, un canguro, un lama, etc.), e via elencando, tutti sketch che sono stati rielaborati intelligentemente per dar spazio alle loro canzoni - ad esempio, lo sketch del commercialista noioso che vuole fare il domatore di leoni, pensando che fossero formichieri, finisce con la canzone del boscaiolo effeminato (in originale, Palin era un barbiere assassino che aveva sempre desiderato esser un boscaiolo) - con qualche sorpresa davvero esilarante. "L'Inquisizione spagnola" - momento cult dello spettacolo - finisce nel frigorifero dove esce Idle che canta la "Galaxy Song", come succedeva nel film "Il senso della vita". Chapman, la cui assenza si sente in certi sketch dove fu protagonista, è visibile in diversi omaggi e filmati del loro Circo Volante che si sono alternati ai numeri live con un ritmo semplicemente perfetto. Pochi i riferimenti all'attualità - Putin, per esempio, e un numero sbalorditivo con Stephen Hawking - ma è stato bello averci partecipato: la pausa di mezzora ci ha dato la possibilità di riprender fiato. E rivedendo alcuni sketch del vecchio programma in sala mi sono reso conto di come non sono invecchiati affatto: dovevate sentire che risate quando è andata in onda la partita di calcio fra filosofi greci e tedeschi. Mi ero promesso di non dirvi nulla e di rimproverarvi per non esser andati al cinema, e invece l'entusiasmo mi ha fregato. 
Ma sarete ricompensati: il 30 luglio sul canale satellitare Arté andrà in onda la serata in HD con i sottotitoli (giusti, anche se in francese e tedesco) e poi a Novembre uscirà in Dvd e Bluray. Ora è da vedere se in home video saremo fortunati, perché lo distribuisce la Eagle Rock, gli stessi tizi che hanno prodotto Monty Python: Almost the Truth (Lawyers Cut), un cofanetto di tre dischi con sottotitoli per quindici lingue tranne l'italiano. 
Intanto ho solo da dire una sola cosa - e per fortuna - grazie, Python, per essere ancora vivi dopo due ore e mezza e 45 anni di spettacolo. La comicità vi deve molto. Anche perché ci ricordate sempre che Always Look On The Bright Side Of Life.

domenica 8 giugno 2014

Sepolto dal lavoro

L'autore sepolto dal lavoro
Le buone intenzioni sono lodevoli sulla carta, perché i propositi di una persona sono la sua volontà di organizzarsi la vita.
Ma che cacchio ho scritto?
Avevo iniziato il 2014 promettendomi un sacco di lavoro per questo blog, e dopo una buona partenza mi sono arenato, sepolto dal lavoro. Ma almeno non ho mancato anniversari importanti e purtroppo qualche addio di attori che avremmo ancora voluto con noi. E dove li ha scritti, vi chiederete voi, ma sul sito di Sagoma ovviamente, che cortesemente da spazio alle mie parole sperando che io finisca di romperli con un libro su Stanlio e Ollio. Ingenui.
Ultimamente, in ordine di pubblicazione, ho scritto o meglio riscritto un omaggio a Benny Hill, il comico inglese più famoso, a  22 anni dalla morte. I visitatori assidui di questo blog noteranno qualche differenza dal vecchio post che avevo già pubblicato due anni fa.
Non poteva mancare il mio omaggio al grande Bob Hoskins, il mitico Eddie Valiant che tentava di salvare Roger Rabbit da chi voleva incastrarlo. Rievocando la sua carriera scoprii un sacco di cose che prontamente ho raccolto nell'articolo pubblicato.
Articolo più recente, sono i 10 anni dalla morte di un Colonnello della commedia all'italiana, Nino Manfredi. E non c'è storia, rimane ancora uno dei più grandi attori di sempre.
Sepolto dal lavoro, quindi, ma anche dagli impegni con l'Associazione Figli del Deserto, perché stiamo lavorando al primo evento di quest'anno che cadrà a metà luglio, la Prima Convention italiana: ecco un modo per riunire tutti i fan di Stanlio e Ollio da tutta Italia, a Genova, dall'11 al 13 luglio. Qui trovate le informazioni.

domenica 20 aprile 2014

I cinegiornali (inglesi) con Stanlio e Ollio

Vi segnalo questo nuovo post che abbiamo scritto per il blog di Stanlio e Ollio: in occasione del nuovo canale youtube della British Pathé, abbiamo raccolto ed analizzato i cinegiornali che vedono protagonisti o anche di sfuggita i comici Stan Laurel e Oliver Hardy. Il post lo trovate qui.Sono filmati degli anni della loro seconda rinascita, quelli degli spettacoli in Europa, dopo che Hollywood li aveva messi da parte e il cimema per loro era diventato un felice ricordo, almeno nei primi anni.Con una postilla finale: la Tenda 165 dei Sons of the Desert, l'associazione internazionale di Stan e Ollie, lancia un appello agli archivisti, e sopratutto ai collezionisti, di mettere a disposizione qualsiasi filmato del loro viaggio lampo in Italia nel giugno del 1950.

mercoledì 26 marzo 2014

In ricordo del rag. Filini, dell'ufficio sinistri

Oggi la Sagoma ha pubblicato un mio ricordo dell'attore napoletano Gigi Reder, meglio noto nel suo personaggio, ormai entrato nella storia, del ragionier Filini. Molte delle sequenze d'antologia di Fantozzi lo vedono interprete perché, nonostante dopo decenni di servile lavoro assieme si davano ancora del Lei, erano inseparabili. Ma Gigi Reder, attore napoletano, ha avuto la sua brava e notevole gavetta nell'avanspettacolo, ha cominciato a girare film negli anni Cinquanta, e con Paolo Villaggio non girò solamente i "Fantozzi". Fu anche spalla di Lino Banfi, Nino Manfredi, persino interprete nei film di Vittorio De Sica. Una carriera che dovevamo raccontare.

lunedì 17 marzo 2014

Jerry, vietato far ridere

Vecchie Colonne crescono. Osservando le premiazioni degli Oscar di quest’anno, si notano sempre più teste bianche fra gli spettatori; sopportano le finto originali gag dei comici che presentano la serata di gala - Ellen DeGeneres che distribuisce pizza e fa gli autoscatti [Ellen, ti ammiro, ma arrivi tardi, Ricky Gervais distribuiva birra agli Emmy quattro anni fa) – mentre le teste bianche più vecchie, le Vecchie Colonne appunto, crescono, e guardano la serata a casa mezzi addormentati. Pizza e autoscatti! Cosa dovrebbe dire una Gloria che ieri compiva 88 anni, e quando era giovane, anzi giovanissimo, faceva tremare i locali lanciandosi tra gli orchestrali e tirando bistecche nel pubblico in sala, mentre il suo partner cercava di cantare al meglio? Una sembrava una scimmia impazzita e l’altro era un belloccio italiano. Altri tempi e altre irriverenze, specie per quei tempi. Mi riferisco al magnifico Jerry Lewis, grande comico del New Jersey dal passato glorioso, alle spalle un Leone d’Oro alla Carriera, un Premio Oscar per le sue attività benefiche, la Legion d’Onore francese, un successo planetario prima in coppia con Dean Martin e poi, da solo, come attore e regista di se stesso. Cosa dovrebbe dire un genio come lui, non proprio incompreso come potrebbe sembrare, ma proprio messo da parte? E dire che lui la serata degli Oscar la presentò più volte, sempre con classe ma con divertimento – in un tempo quando la rigidità di quelle serate era stirata con l’amido – e se non fosse pieno d’acciacchi e malattie, Jerry Lewis potrebbe dire ancora qualcosa. L’anno scorso era andato al Festival di Cannes con molti onori – i francesi lo venerano che neanche potete immaginare – presentando il suo ritorno al cinema dopo molti anni, Max Rose, salutato con qualche freddezza dalla critica. Eppure, al momento mentre scrivo non ha trovato una distribuzione che sia una. Niente da fare, Hollywood rimane sempre quell’industria senz’anima che prima ti adora, poi quando non servi più ti riaccompagnano a casa con l’autista dicendoti “addio” e nessun arrivederci. Far ridere, in quel paese, è stata una condanna per molte Vecchie Glorie. Col tempo ho capito anche perché: "la maggior parte della gente ha paura della commedia, perché la sua verità è come un osso sporgente, visibile attraverso la pelle". (J. Lewis).

martedì 25 febbraio 2014

Ricomincio da Ramis

"Sono profondamente addolorato dalla notizia della morte 
del mio brillante, dotato, divertente amico, co-sceneggiatore e maestro Harold Ramis. 
Che ora possa trovare quelle risposte che ha sempre cercato."
(Dan Aykroyd, via facebook).


Mi è dispiaciuto davvero. Quelli della mia generazione – sono nato nel 1982 – lo adoravano, era Egon Spengler, ricordate? “Colleziono spore, muffa e funghi”. 
Da piccolino mi divertivano molto i suoi momenti di paura. Così altezzoso e scienziato (“io non scherzo mai”), ci divertivamo a vederlo scappare con Peter e Ray. Come quando appare il pupazzo dei marshmallow. Ray si giustificava quasi disperato, “Non c'è niente di più soffice e dolce di quei candidi gnocchi di lichene!”, e Peter si rivolgeva a Egon, “Ray è completamente partito, Egon, di te che ne è restato?”, e lui, “Mi dispiace, Venkman, il terrore travalica la mia capacità di razionalizzare...”. Mi divertivano i suoi capelli – che non mi spiegavo perché nei cartoni animati dei ghostbusters erano diventati biondi – la sua voce, riuscireste ad immaginare Peter e Ray senza Egon?
Be’ ora questo è accaduto. Puntualmente qualcuno ha subito pensato che il progetto di Ghostbusters 3, a lungo annunciato, rinviato, forse sarà rinviato per sempre. Murray avrà pensato, ecco una ottima scusa.
C’è stata una generazione di comici incredibile, fatta di talenti straordinari e, come spesso accadeva, di individui al limite della follia. A raccontarcelo sono gli aneddoti coloriti, le recensioni sconcertanti, le fotografie in bianco e nero, qualche registrazione radio, ma di video niente, solo il pubblico fortunato potrebbe raccontarci cosa hanno visto. E perché avevano quel dolore allo stomaco: ridevano a crepapelle, perché andavano al Second City di Chicago, nei primi anni Settanta, e sul palcoscenico salivano Gilda Radner, Christofer Guest, John Belushi, John Candy, e un tizio alto, dalla voce profonda e dalla incredibile capigliatura, di nome Harold Ramis. Anch'egli nato a Chicago, nel 1944, si unì a questo branco di matti sia a teatro che alla radio, con il programma The National Lampoon Radio Hour (1973), con autori come Michael O'Donoghue, e un cast che comprendeva un certo Bill Murray, e suo fratello Brian Doyle-Murray, e Chevy Chase, che sarà inghiottito dalla televisione assieme a Belushi, la Radner e un altro membro del Second City, sezione canadese, Dan Aykroyd, altro “tizio” abbastanza eccentrico. Ramis non seguirà le orme del Saturday Night Live, del quale diffida le massacranti orari di lavoro e lo stress della diretta, ma ritroverà Belushi e alcuni “papà” del demenziale – John Landis, alla regia, Ivan Reitman, alla produzione – con la confraternita del National Lampoon, partecipando al copione di “Animal House” (1978). Il film lo conoscete, fu un successo planetario.
Ricorda Landis, “Ho incontrato Harold a New York negli anni '70 perché mi era stato proposto di dirigere Animal House e volevo rivedere lo script con gli autori. Harold era uno scrittore brillante old fashion che se ne usciva sempre fuori con una battuta. Gli ho detto che il loro script era la cosa più divertente mai letta. Era meraviglioso, divertente e intelligente. Harold aveva scritto per sé il ruolo di Boon, ma io ho deciso di ingaggiare Peter Riegert al suo posto. Non ho preso lui perché era troppo vecchio per il ruolo e perché pensavo che un altro lo avrebbe fatto meglio. Mi ha portato rancore per molto tempo, ma se guardate la performance di Peter nel film, non sta interpretando Boon, sta interpretando Harold Ramis”.
A quel tempo Ramis lavorava ancora al Second City, soprattutto al canale televisivo dedicatogli (SCTV, dal 1976 al 1979), come scrittore e attore. Fra gli attori, Rick Moranis e Martin Short – che approderanno al Saturday Night Live negli anni Ottanta. Incontrerà di nuovo Murray nel 1979, lavorando al copione del film che lo lancerà come star comica, Meatballs (Polpette). Lavoreranno ancora a braccetto: nel 1980 esce Caddyshack (Palle da golf), con Murray e Chevy Chase, regia dello stesso Ramis, seguito da Stripes (1981), dove Harold e Bill sono attori e Ivan Reitman regista. Praticamente, sono in rodaggio per il successivo film, mancherà solo Aykroyd per formare il terzetto di acchiappafantasmi che nel 1984 diventerà uno dei più grandi successi di sempre, Ghostbusters, scritto da Dan con Ramis.
E’ questo il film e il ruolo per cui Ramis ieri è stato ricordato e generalmente compianto. Il suo nome potrebbe dirvi poco, eppure è stato un capitolo importante del cinema comico, non solo americano se pensate che ha influito molte generazioni successive. E’ stato, purtroppo, perché ieri ci ha lasciato all’età di 69 anni non compiuti. La reazione è stata generalmente molto commossa, specie i colleghi che hanno adorato il suo modo di lavorare, sempre gentile e tranquillo, e i suoi fan, perché anche se Ramis non lavorava da diverso tempo e i suoi ultimi film non sono stati un grande successo, ha contribuito come pochi a realizzare commedie assolutamente intelligenti: è passato all'umorismo rozzo di “Stripes”, di National Lampoon's Vacation (1983, con Chevy Chase), al demenziale di Club Paradise (1986, con Robin Williams – chi se lo ricorda? Consiglio il recupero!), allo stravolgimento dei personaggi, Multiplicity (Mi sdoppio in 4, con Michael Keaton), all'invito di vivere meglio, dopo aver passato un incubo comico esilarante, come accadeva nel suo film più famoso, Groundhog Day (Ricomincio da capo, 1993, con Bill Murray: nel 2006 è stato inserito tra i film da salvare dal National Film Registry), fino al rilancio di Robert De Niro come star comica, in Analyze This (Terapia e pallottole, 1999, con Billy Crystal in stato di grazia). Trasmetteva simpatia, dolcezza, nessuna superiorità, come ha detto Bill Murray al Time Magazine, "Si è guadagnato il suo posto sul pianeta. Dio lo benedica". 


Bill Murray in "Palle da golf", 1980

Ramis dirige Lisa Kudrow e Billy Crystal

Murray e Ramis, in un cammeo nel suo "Ricomincio da capo"

Murray e Ramis in "Stripes"

giovedì 20 febbraio 2014

The Monuments Men: recensione senza scintilla

Ecco quello che si dice un film tanto atteso. Annunci a titoli grossi così su Variety, interviste da Letterman, da Fazio, tappeto rosso a Berlino, Londra e Milano, un libro che esce, star stellare, regista rilassato e sicuro e affascinante, insomma ecco che esce il film di e con George Clooney, la gente si strappa i vestiti, i fotografi si appendono per aria, poi buio in sala, parte il film. 
Dormono tutti. 
Abbiamo visto Monuments Men, gli uomini della Monumenti, la divisione dell’esercito americano degli Stati Uniti voluta fortemente dal Presidente per salvaguardare le opere d’arte che in Europa rischiavano di sparire o di bruciare. E’ una storia vera, i nazisti e zio Adolfo, pittore mediocre in gioventù, volevano rubare tutte le opere d’arte dei paesi invasi per il potere assoluto della cultura e anche per riempire un Museo dell’Arte nazista (Führermuseum) per quel matto del Fuhrer. Ora, come fai a spiegare agli ufficiali in trincea che non possono bombardare una chiesa o un castello medioevale – a rischio dei loro uomini e della riuscita della guerra in corso – perché otto uomini di mezz’età, per quanto culturalmente importanti, sono stati autorizzati a deciderlo? Una missione poco convinta e appoggiata, ciò nonostante gli otto uomini salvarono milioni di opere trafugate in Francia, in Italia, nella stessa Germania e Inghilterra e, cosa più importante e clamorosa, scoprirono che in una delle miniere dove i nazisti nascosero migliaia di quadri, statue, c’erano anche milioni di lingotti d’oro. In un sol colpo, otto tizi sbancarono l’oro germanico, le risorse economiche di Hitler che, rimasto col culo per terra, non si arrese e si sparò un colpo in testa nel suo bunker. 
Oppure, è in incognito in Brasile, nei panni di un’amabile vecchio pensionato, come la leggenda narra.
E’ una storia vera, e io ho letto il libro di Robert M. Edsel. Poco raccontata, ma molto appassionante, la lunga vicenda dei “Monuments Men” era perfetta per finire in un film classico hollywoodiano. Quei film di guerra alla John Wayne, ma con un certo humor alla Billy Wilder. Insomma, sapete quei capolavori allucinanti che non rifaranno mai più? Alla John Wayne, perché la storia trasuda di patriottismo e durezza, difficoltà (erano 8, e nessuno li aiutava davvero, e trovarono più difficoltà di quelle raccontate nel film) e sudore, sacrifici e momenti cult (uno cita espressamente il vecchio Wayne); alla Wilder, perché per quanto difficile sia stata la loro missione – uno di loro, come leggo nel libro, morì in seguito ad una improvvisa esplosione – di base c’era un certo umorismo – mezza età, bonarietà e cameratismo forzato, un po’ come in “M.A.S.H.”, ma senza graffiare molto, diciamo che siamo vicini più al compiacimento di Tony Curtis e alle coppie alla Stanlio e Ollio – che solo il grande regista viennese sapeva raccontare; infine, tragicità, è stato scritto che in questo film che le scene di guerra sono goffe, ma il gruppetto di architetti ed esperti storici arrivavano quando le battaglie erano finite, con una atmosfera quasi bizzarra, come se quei 8 erano lì per raccogliere i cocci che sparare col fucile, e quindi non erano fondamentali da mostrare. Insomma, un film da fare. E di questo ringrazio Clooney.
Come l’ha fatto, è un altro paio di maniche. Le critiche generali – oltre il 70% - sono negative. Forse sono eccessive, c’è chi disprezza il Clooney regista presuntuoso, chi s’è annoiato a morte, in effetti è il ritmo il difetto maggiore. Su due ore di film, ha dei momenti di stanca troppo frequenti e, come ho detto all'inizio, ho letto che all'anteprima qualcuno s’è addormentato davvero. Forse troppe voci off, troppi dialoghi, troppa attenzione a sequenze banali, eppure non mi è dispiaciuto affatto. Certo, le differenze dal libro sono un bel po’ (l’impiegata del museo francese, Rose Valland, in realtà era ben oltre l’età di Cate Blanchett, e non ebbe nessuna attrazione sentimentale con James Rorimer, interpretato da Matt Damon), qualche personaggio inventato è stato comunque basato su reali protagonisti - come i ruoli di Bill Murray, John Goodman e Bob Balaban, ma rimane abbastanza fedele sugli eventi. Non sono la sporca dozzina, non è la scampagnata della Banda Bassotti, né veri soldati, sono invece i protagonisti di un film che mantiene un certo fascino anche se ha pochi momenti memorabili. Gli manca la scintilla del buon film, più che del capolavoro. E si esce dalla sala con un dubbio: è il copione, incerto fra dramma e commedia, o il regista ad aver sbagliato? Il cast no di certo: Clooney e Damon sono in parte, Murray è perfetto (antologia pura la scena del grammofono con gli auguri della moglie e dei figli messo nell'altoparlante del campo militare, una sequenza accaduta davvero), molto cupo ed azzeccato Balaban, molto bravi anche John Goodman e Jean Dujardin, che tornano a lavorare insieme dopo “The Artist”; si respira quel divertimento e quel fascino di vederli assieme e in divisa come quei vecchi film “all stars”. Clooney non è un regista presuntuoso: conosce bene il vecchio cinema americano che cita con ammirazione, e si fa sostituire nel finale dal padre, Nick.







domenica 16 febbraio 2014

Sotto una buona stella - recensione senza sforzi

Sarebbe da chiedersi cosa sarebbe una proiezione di un film di Carlo Verdone fuori Roma, a volte, per sentire ed assaporare diversamente alcune situazioni tipiche "coatte" infilate nei suoi film, nel pubblico al di fuori dai confini laziali, e vedere se funzionano allo stesso modo. Gli incassi alti possono rispondermi senza costringermi ad andare in qualche cinema di Granarolo ma, ieri sera in sala, ho avuto modo di vedere il film con due amici, uno siciliano e l'altro milanese, mancava un toscano per far media di un film di Pieraccioni, ma bastavano ed avanzano tranquillamente. Si sono divertiti e quindi basta con le idiozie, Verdone piace in tutta Italia. Sono passati 34 anni - 34 anni! - dal suo primo film ed è l'unico - attenzione - della sua generazione di comici che vanno ancora fortissimo. Ve la ricordate la banda di "Non Stop?", era quella la nuova generazione di comici che, negli anni Ottanta, si infilarono nelle sale come divi assoluti: i vari figli della televisione del cabaret degli anni settanta (Villaggio, Montesano, Pozzetto) furono affiancati dai Nuti, Benigni, Troisi, Benvenuti, e oggi di tutta quella cucciolata di attori ormai invecchiati (e neanche poco) solo lui è ancora in continua salita e crescita. Verdone ha 64 anni e con gli occhiali è identico al padre Mario, scomparso qualche anno fa, decano degli "storici" del cinema in Italia, ormai padrone assoluto del suo cinema, ha questo grande peso sulle spalle di oltre trent'anni di successo ("Ho poca vita privata", ha detto alle Iene) e con una certa fatica si adegua ai temi quotidiani (crisi, solitudine, famiglie spezzate) con la sua solita verve comica, perché "A' ggente vole ride", ma, di questi tempi, che ti vuoi ridere? 
Con questa premessa, ieri Verdone ci ha trascinato in sala per vedere Sotto una buona stella: stella che all'inizio del film non c'è, perché gli muore l'ex moglie, i figli che non ha praticamente mai allevato gli si piombano a casa, con disperazione e nervosismo della sua compagna, perde anche il lavoro perché il presidente dell'azienda dove lavora si è rilevato un truffatore e la Guarda di Finanza fa chiudere bottega, quindi casa sua è diventato un manicomio totale e lui, pure per una età avanzata, per un attimo non crolla. Unico vero colpo di fortuna è la sua vicina di casa, che di giorno è tagliatrice di teste - licenzia per conto della sua azienda i dipendenti - e di notte, pentita delle sue azioni, cerca loro un lavoro, interpretata da Paola Cortellesi: fanno amicizia e dividono le loro sfortune. I loro personaggi uniscono così la loro vera malattia, la solitudine, e cercando di superare le difficoltà qualcosa, fra di loro, nasce.
Il sunto della trama è questa.
Quando scrissi di "Posti in piedi in paradiso", il penultimo film di Verdone, mi lamentai del trailer che aveva rovinato la sorpresa comica di alcune trovate davvero divertenti, e stavolta, nel trailer di "Sotto una buona stella", c'è una gag che nel film non c'è. Tipica di Verdone, è quando gridano, "Il fidanzato!" ai genitori della Cortellesi, anziani e un po' sordi. Più che l'effetto comico di alcune gag nel trailer, ci avevano preoccupato la fotografia usata e alcune inquadrature: il primo film di Verdone girato in digitale sembra essere una fiction di lusso, con un cast di prima categoria e una storia non banale, almeno non nello sviluppo narrativo ma, ragazzi, tra primi piani incredibili, zommate e assolvenze, possibile che non si sono accorti che il film è buio? Poca luce, troppi interni, poco cinema e troppo teatro - fosse stato girato con pochi soldi?
Be' al di là di queste considerazioni tecniche che magari al pubblico possono non interessare, ieri dicevo siamo andati in sala, e ci siamo fatti un sacco di risate. Già questo è una garanzia. Ma siamo tornati a casa con qualcos'altro: è evidente che Verdone abbia della Cortellesi - mamma mia, quanto è brava - una stima incredibile, tra l'altro non celata perché lo ha ammesso lui stesso, e insieme funzionano a meraviglia. Tornate indietro nel tempo, quante attrici che hanno lavorato con Carlo hanno avuto il senso dell'umorismo, forse due, massimo tre, mi vengono in mente Eleonora Giorgi e Veronica Pivetti, anche volendo la Ramazzotti, ma come la Cortellesi no, sono una coppia davvero perfetta. Quindi occhio che potrebbero continuare a lavorare assieme. Lei funziona, funzionano ovviamente i loro duetti (nel trailer impazza la scena del bacio, ma attenzione che quella che fa più ridere - a mia opinione - è la scena della febbre alta, alcune persone in sala strillavano dalle risate), e Verdone, nel personaggio di Federico, una brava persona al quale è crollato il mondo addosso, mette una tenerezza infinita. Il pubblico si identifica e continua a volergli bene. Bravo Carlo!
Due noti dolenti ci stanno: la regia è un pò assente, scolastica, due inquadrature giusto per i dialoghi e via, ma sinceramente se c'è una cosa che non mi è piaciuta sono gli attori di contorno. Già la commedia all'italiana è defunta perché maestri ed eredi sono defunti davvero, il vero problema è che non c'è stato cambio generazionale e nuovi punti di riferimento per questi nuovi attori - giovani - che escono dalle accademie convinti che teatro e cinema sono le stessa cosa. O magari non è quello il problema, non sono così bravi come credono di essere e finisce lì. I caratteristi di una volta non ci sono più - a meno che qualche volto coatto romano vogliamo chiamarlo caratterista - e il film si deve sempre reggere sulle spalle dei protagonisti, affannando il ritmo quando loro non sono in scena, appesantendo alcune situazioni, ma senza queste potenzialità Verdone non riesce - magari volutamente - a graffiare come la trama tenta di suggerirgli. La cattiveria ritrovata nel film precedente qua è un po' annacquata da buoni sentimenti, e allora forse avrebbe dovuto tirare fuori più satira che (facile) comicità.
Rimane un buon film davvero che dobbiamo tutti vedere.