sabato 25 agosto 2012

La bolletta del telefono nel 1929

Nel 1929 la bolletta del telefono si pagava via assegno, e in questo raro documento Stan Laurel ne stacca uno di $11,10 - non è poco, sono circa 140 dollari di oggi. In quel periodo il suo numero di telefono era "Oxford 0614"; per scherzo, è lo stesso numero che Oliver Hardy chiede al centralino per chiamare Stan nel film "Blotto" (1930). Secondo la rivista "Pratfall", tante furono le chiamate ricevute dai fan che, nel '34, Stan fu costretto a cambiar numero. Ma stavolta Oliver non fece un film per chiamarlo.

venerdì 24 agosto 2012

La marcia su Roma secondo Dino Risi


Fa parte di una coincidenza singolare tutta italiana l'uscita del film La marcia su Roma, una regia di Dino Risi del 1962, a venti anni esatti dalla vera marcia che portò, con prepotenza, il fascismo al potere. Se nel '62 era ormai giunto il momento di parlarne con tranquillità dopo anni di rispettoso tabù, tanto da diventare una moda di genere, a partire dal film Il generale della Rovere (1959), serissimo dramma rosselliniano con Vittorio De Sica, incentrato più che altro sulla seconda guerra mondiale. Il fascismo, per chi lo ha vissuto alla lontana ma con disprezzo non proprio nascosto, con le poche pubblicazioni di satira politica quando era davvero feroce (Becco Giallo, Marc'Aurelio), veniva considerato un movimento grottesco. Non faceva ridere, questi menavano, imponevano, altroché. Divenne tema per alcune commedie all'italiana, con risultati farseschi e non sempre riusciti. Ce lo spiega Mario Monicelli, che lo conosceva bene per motivi d'età. "In realtà il fascismo non fa ridere. Era una farsa pericolosa e feroce. Mussolini era farsesco in tutto: nei gesti e nella mimica, nei discorsi e nella retorica. Nessun attore ha saputo rifarlo. E poi i gerarchi, i rituali di massa, i motti deficienti, le invenzioni mistificatorie. I fascisti erano delle macchiette inimitabili e drammatiche. Difficilmente sono state ricreate quelle atmosfere. Il federale è abbastanza riuscito, La marcia su Roma è un po' così, Anni ruggenti è  basato più sull'equivoco di fondo e su alcune situazioni. Ma il punto è che non si riconosce il fascismo in quei film, sopratutto per chi l'ha vissuto". 
I tentativi, anche se non riuscitissimi, rimangono validi e in un certo senso ho preso come tema di oggi La Marcia su Roma perché credo sia un film sottovalutato, scambiato per una barzelletta quando credo che l'umorismo un po' greve sia perfettamente conforme all'argomento. E credo che sia importante per diversi aspetti: il primo film di Dino Risi con Ugo Tognazzi è anche il primo che il grande Ugo interpreta con Vittorio Gassman, all'epoca al massimo della popolarità con Il sorpasso, in uscita mentre stavano girando La marcia, una coppia ben assortita che fa davvero faville. In un certo senso è come se vedessimo i due soldati de La grande guerra (1959) sopravvivere e continuare la loro strada inevitabilmente sulle orme del fascismo. Non c'è Alberto Sordi, ma c'è Tognazzi, ma comunque tutti si sarebbero infilati una camicia nera. Questo succede nel film: reduci di guerra, Gassman fa lo sbruffone e vigliacco e Tognazzi il contadino concreto e ignorante, sempre pronto a far notare che tutti i punti del programma fascista non rispecchiano la realtà (fondamentale la scena dove le squadracce bruciano i libri 'rossi', dove Tognazzi rivendica la libertà di stampa, e subito Gassman, "Noi abbiamo la libertà di bruciare. Se loro non vogliono che noi bruciamo, che non stampassero!"). A far da spalla ai due attori, c'è Mario Brega, sempre pronto a menar le mani. 

Un aspetto che c'entra poco sul risultato ma sulla storia del film, è il finale. Sono molte le pubblicazioni che riportano un finale che non s'è visto da nessuna parte, equivoco che continua ancora oggi, nei libri usciti recentemente. Esempio, La commedia all'italiana. Il cinema comico in Italia dal 1945 al 1975, di Masolino D'Amico,  spiega che "rimasti esclusi dall'impresa decisiva (per i postumi di una sbornia) [...] sono costretti a eclissarsi; e quando tempo dopo cercano di valere i loro meriti, vengono tolti di mezzo in quanto scomodi per il nuovo regime, che preferisce considerarli morti e venerarli come eroi". Se andate sul dizionario di Paolo Mereghetti, troverete lo stesso errore. Possibile che non abbiano visto il film? E citano un finale scritto ma non girato, come testimonia un articolo de La stampa di Leo Pestelli, intitolato Fascismo e mafia nel cinema italiano, del 27 giugno 1962. Si legge, "Giunti nei pressi di Roma, nella mezza giornata di crisi determinata dallo stato d'assedio, i due se la squagliano a bordo di un camion, finiscono in un fosso, sono dati e glorificati come  'caduti'. Rifacendosi vivi, a trionfo avvenuto, mettono negli impicci coloro che già ne avevano decretato l'apoteosi; per cui ricevono l'ordine di sparire. Li rivediamo alla fine del film insabbiati in un porticciolo dell'America meridionale, ove campano dell'assegno mensile che manda loro il partito". 
Visto ieri in dvd (restaurato molto bene ma attenzione, manca di un pezzetto nella scena dove escono ubriachi dall'osteria), ho avuto la conferma (come se ne avessi avuto il bisogno!): quando la situazione diventa troppo pesante per loro, i due si danno alla fuga, e li vediamo nella folla a Piazza Venezia, dove si assicurano, "Ti pare che affidano il governo a quella gente lì? Vedrai che le cose cambiano".. In quel momento, la farsa finisce davvero..

POST SCRIPTUM DIECI ANNI DOPO

Oggi 4 settembre 2022 il film è stato proiettato in edizione restaurata dal CSC alla Mostra Cinematografica di Venezia. A riguardo questo evento posso aggiornare questo post puntualizzando su alcuni punti: la copia restaurata reintegra il taglio che ho citato nell'articolo, posso affermare ipotizzato da me per pura intuizione e non da fonti certe; il finale alternativo, a quanto pare, era citato dai vecchi articoli in quanto presente in sceneggiatura ma molto probabilmente non girato, sopratutto perché Dino Risi dichiarò molti anni dopo di preferire quello poi montato e non quello originariamente "scritto"; Mereghetti ha corretto la scheda nelle edizioni successive al 2012.

giovedì 23 agosto 2012

Pirati, briganti da strapazzo, uccisi dalla Littizzetto

Se qualcuno di voi non è andato in ferie e si aggira nei centri commerciali come le scimmie di 2001, odissea nello spazio, estasiate dalle vetrine inavvicinabili ma beati di una aria condizionata polare, passate negli scaffali dei DVD e regalatevi (o regalate) una nuova uscita, Pirati! Briganti da strapazzo, un cartone animato inglese che avete sicuramente ignorato all'uscita nella scorsa primavera; ora siete in tempo per recuperare al grave errore che se non è disegnato, mio figlio ci rimane male, e mi ringrazierete. Sia chiaro, anche io saltai la visione al cinema per altri motivi, ma stasera ho preso il dvd e ho goduto pienamente per novanta minuti scarsi. Allora, Pirati è un cartone animato non tradizionale, ma realizzato con la tecnica del passo a uno (stop motion), utilizzando pupazzi in plastilina e set praticamente reali. Ne sono diventati maestri quei simpatici inglesi Peter Lord e Nick Park, esatto, i papà di Wallace & Gromit campioni Oscar, fortunatamente cocciuti e dalla pazienza certosina (perché per realizzare un film del genere ci vuole un anno se non oltre), ma sopratutto abili collezionisti di humor tipicamente british. Se apprezzate la realizzazione, davvero oltre l'applauso in piedi, vi divertirete come matti. Prodotto dalla Aardman Animations in coppia con la Sony Pictures Animation, Peter Lord, regista, ha voluto omaggiare le storie di pirati con un capitano cialtrone, a capo di una ciurma di disperati che tentano di aiutarlo a vincere il concorso del "Pirata dell'Anno" (e la premiazione è dichiaratamente una parodia della notte degli Oscar); il caso vuole che Capitan Pirata porti con sé quello che crede un pappagallo un po' troppo in carne, ma che si rivela essere un uccello rarissimo, tanto voluto dalla Regina d'Inghilterra Vittoria, si scopre poi non per motivi scientifici. A far coppia con il Capitano, un giovane e sfigato con le donne Charles Darwin, accompagnato da una scimmia intelligente che parla tramite dei cartelli, con effetto comico irresistibile (possono ricordare quelle del film Madagascar).  

Il film prende in giro, spesso con spirito anarchico e con effetti anacronistici, la scienza (anche lì esistono dei concorsi, con tanto di applausometro), e il mondo pirata, ovviamente, ma con una ironia più demenziale del solito, meno controllata di altri film della Aardman (Galline in fuga o Giù per il tubo), ma molto divertente e zeppa di citazioni. Forse per via di una morale un po' banale e vecchia, e di alcune trovate già viste (l'arrivo a Londra, divertente, viene accompagnato dalla canzone "London Calling": gag vecchia; fortuna che la scena si salva quando uno dei pirati dice, "Londra puzza di nonna vecchia..."...perché è quello, l'odore in fondo..), manca del capolavoro, anche se spiritoso e dal gran ritmo. Si parla già di sequel, nonostante il tiepido successo al botteghino (118 milioni di dollari al botteghino, nel mondo, su 55 di budget; da noi ha incassato dignitosamente due milioni  e mezzo di euro).   

Nota dolente, il doppiaggio italiano. Ora, non è una questione sul tipicamente italiano o sul trito discorso dei talent (cioè guest star, nomi famosi, usati come doppiatori), viziaccio nostrano (più che altro perché se in America, da dove proviene il "vizio", vengono usati attori professionisti sui quali vengono costruiti i personaggi, in Italia si usano nomi che spesso neanche sono attori, o se lo sono, non c'entrano una cippa col personaggio), ma che Pirati! ha uno dei doppiaggi più sbagliati, almeno a mia opinione, e fortunatamente una colpa con nome e cognomi. Marco Mete è il direttore di doppiaggio, teoricamente colui che ha scelto le voci o, vogliamo credere, per stima che ho per Mete che ho anche conosciuto, colui che s'è trovato costretto a dirigere. Infatti qualcosa di strano è successo. Il primo trailer italiano del film (visto su youtube nel dicembre 2011) portava delle voci diverse: Capitan Pirata parlava con la voce del bravissimo Angelo Maggi (per capirci, Robert Downey Jr in Iron Man; o se volete, il commissario Winchester dei Simpson). Due mesi dopo, il secondo trailer portava la voce di Christian De Sica e, nella parte della regina, Luciana Littizzetto.. Questo cambio di voci, sicuramente voluto per motivi pubblicitari (i nostri distributori pensano a tutto), ha reso la versione italiana inferiore a quello che in originale è stato realizzato (per dirne, il capitano è Hugh Grant, bravissimo, il secondo è Martin Freeman, quello di The Office, e Imelda Staunton). Eppure, Maggi come pirata cialtrone andava benissimo; quando doppia De Sica, fatta eccezione per Galline in fuga (e si parla di dodici anni fa), è sempre quello dei cinepanettoni, non si riesce a dimenticarlo mentre vediamo il Pirata, certo non si discute il talento, ma vuoi per la simpatia e le idee trascinanti che propone alla sala di doppiaggio, vuoi il ragazzo del bar che porta troppi bicchierini, ecco che Mete lascia a ruota libera De Sica, sempre più biascica, con un paio di imperdonabili inflessioni romane (nel finale è imperdonabile). La Littizzetto invece sulla carta deve essere stata convincente come perfida regina Vittoria, ma ha una voce così caratteristica e troppo legata al personaggio di Luciana come comica, che davvero non c'azzecca nulla. Sono curioso di sapere quale fosse la prima voce femminile scelta, prima di cadere sull'ennesimo talent che, tra l'altro, ai bambini non frega proprio un cacchio.

venerdì 17 agosto 2012

Jim Carrey rompe una caviglia a Iron Man

La febbre dei sequel può portare le idee oltre l'inimmaginabile - e neanche il tempo di tirar un sospiro di sollievo sulla notizia che Scemo & più Scemo parte seconda non avrebbe mai visto la luce, ecco che Jeff Daniels va in tv e spara, "Jim lo vuole fare, io lo voglio fare, i Farrelly lo vogliono fare", ipotizzando un inizio di riprese non vicino, vuoi perché Daniels deve cominciare le riprese della seconda stagione di The Newsroom, di cui è protagonista, vuoi perché i Farrelly devono ancora finire il copione o, spero io, Jim Carrey si riguarda allo specchio per ripensarci perché l'idea di avere un secondo Scemo&+Scemo è davvero tremenda. Primi ciak per la primavera 2013, speriamo che piova o che i Maia mantengano la promessa.
Un altro sequel invece sta prendendo velocemente piede ed è quello di Una notte da leoni, giunto al terzo capitolo in fase di casting e scrittura. Campioni assoluti al botteghino come raramente accade ad una commedia, Una notte da leoni 1 e 2 mi erano risultati molto diseguali fra loro, il primo un gioiello comico davvero originale, l'altro divertente ma scontato e fatalmente prevedibile, senza quell'effetto sorpresa che aveva catturato lo spettatore nel primo capitolo, ma entrambi con un cast affiatato. Svettava ovviamente Zach Galifianakis, diventato in breve tempo una star comica con il suo personaggio di infantile rompipalle (sfruttato nel film Parto col folle, affiancato da Robert Downey Jr: poco originale ma tutto sommato divertente), che a quanto pare secondo le discrezioni sulla blindatissima storia del terzo film sarà protagonista assoluto. Tema del prossimo film sembra una miscela da Grande Fuga e Madagascar, con gli amici di Alan che cercano di liberarlo da un centro igiene mentale dove è internato..E antagonista, notizia fresca, sarà John Goodman, una scelta che sembra ottima sulla carta. Confermato tutto il cast, purtroppo anche Mike Tyson, che spero non si metta a cantare come nel secondo capitolo; Una notte da leoni 3 uscirà a maggio del 2013.
A proposito di Robert Downey Jr, è notizia che s'è fatto male alla caviglia durante le riprese di Iron Man 3 da bloccare il film fino alla pronta guarigione. Il comunicato stampa (fonte, Cineblog.it) recita, "Robert Downey Jr. ha avuto un incidente alla caviglia sul set di Iron Man 3, a Wilmington in North Carolina, mentre stava girando uno stunt. Ci sarà un piccolo ritardo nella produzione mentre l’attore deve riprendersi". Non comprometterà certamente la lavorazione del seguito di The Avengers (che uscirà in Dvd e Blu-ray a fine mese: pronti al botto in homevideo?), che ufficialmente, altro comunicato stampa, uscirà il 1 maggio 2015; nei quasi tre anni che mancano a quella data, la Marvel farà uscire i seguiti dei film dei loro eroi, e quindi Iron Man 3, Thor: The Dark World, in uscita nel 2013, poi Captain America: The Winter Soldier, nel 2014, più un progetto di cui si sa poco, Guardians of the Galaxy, in uscita sempre nel 2014. Buffo, in Italia al massimo rischiamo un terzo capitolo di Immaturi..

martedì 7 agosto 2012

Quando Stanlio e Ollio si divisero per sempre

Nell’evento mediatico che in questi giorni sta interessando Marilyn Monroe (cinquant’anni dalla scomparsa), c’è poco spazio per ricordare un’artista tra i più amati di sempre, scomparso 55 anni fa lasciando un buco senza eguali, seppur la sua morte sia passata un po’ in secondo piano perché successa nel 1957, anno che si portò via artisti come Humphrey Bogart e Erich von Stroheim, e la morale è sempre quella, a chi vuoi che importi quando un comico scompare per sempre? Ma la morte di Oliver Hardy, datata 7 agosto, sembrò cambiare la prospettiva dei noiosi critici verso i comici del passato, sui quali si alzò un polverone di giubilo e nostalgia, come spesso accade. Morto Ollio, l’epoca d’oro della commedia americana chiuse la sua saga, ormai finita nel dimenticatoio assieme ai suoi protagonisti, anziani e sovrappeso, ma indelebili nella mente dei spettatori: fu la televisione a ridare ai grandi comici la popolarità immensa che avevano ai bei tempi, e Stanlio e Ollio furono quelli più ritrasmessi, seppur a “pezzi” (esigenze di palinsesto, pubblicità, addetti al montaggio con le forbici da sarto), rimanendo ancora oggi – e sono passati ottantacinque anni dal loro primo film! – i comici del passato ancora amati dai bambini e non solo. Hardy, che tutti gli amici e colleghi chiamavano “Babe”, soprannome che gli si addiceva perfettamente (con quella faccia tonda, gioviale, da bambino), se ne andò a soli sessantacinque anni e aveva, come si dice ad uno che sta male, finito di soffrire: sovrappeso tutta una vita, era arrivato a pesare la metà per via di alcune cure dimagranti che non gli avevano giovato al cuore che, già malandato da grasso, fece le bizze da magro: dopo un anno da invalido e infermo a letto, finì appunto di soffrire dividendosi dal suo storico amico e partner da venticinque anni Stan Laurel, il magro Stanlio, scioccato dalla morte del suo compagno tanto da evitare il funerale, più che altro per divieto medico. Sarebbe stato troppo per lui. 

Ma di Laurel e Hardy non possiamo sempre ricordare i momenti finali, brutti e dalla salute vacillante, non proprio solitari come scrisse Osvaldo Soriano, dovremmo entrare nell’ottica che i comici non muoiono mai, e, spiace per la Monroe, sono gli attori più amati e ricordati. E il successo avuto in vita da Stanlio e Ollio venne definito fuori dal comune, immediato, clamoroso e che spopolò in tutto il mondo: all’apice del successo, nel 1932, cercarono di farsi una vacanza insieme nella vecchia Europa, loro che si frequentavano pochissimo fuori dal set (così diversi nelle loro abitudini e stili di vita, uno che viveva per lavoro, Stan, sì, lo scemo sullo schermo, e l’altro tutto mondano e un po’ donnaiolo, cuoco e stregato dalle corse per i cavalli e per le carte), ma non riuscivano a fare una passeggiata senza essere assaliti dai fan; quando erano sul viale del tramonto, non era cambiato granché, quando scesero alla Stazione Termini di Roma, nel 1950, furono portati a spalla in mezzo ad una folla incredibile. Genuini attori e persone semplici, Laurel e Hardy sono sempre rimasti candidamente sorpresi dal delirio che creavano nei loro fan. Eppure la loro è stata una formula semplice, uno comanda l’altro segue, uno è sciocco l’altro peggio, cercano di fare i bravi ragazzi ma combinano solo una miriade di guai, cercano di mantenere un’aria dignitosa quando sono ingenui e rozzi, tengono molto al loro nome e, se calpestati, reagiscono con calma con la tecnica dell’occhio per occhio, distruggendo tutto, loro così opposti fisicamente quanto complementari, impossibile pensarli divisi. Loro hanno formato l’archetipo della coppia comica, il modello per chi è venuto dopo di loro, in uno stile da fumetto unico del suo genere. A torto si crede che formassero la coppia classica comico e spalla, quando in realtà Stanlio e Ollio erano entrambi comici, anche perché con quelle facce potevano essere solo comici. Facevano ridere solo a guardarli. La forza distruttiva e il potenziale comico dei loro film, funziona ancora oggi, a dimostrazione che il triste destino di un comico è quello di avere un pubblico, ma forse sarebbe meglio dire una critica miope e rompicoglioni, che s’accorge di quanto fosse irripetibile da morto. 

venerdì 3 agosto 2012

Pernacchie al British Film Institute

Lo scrittore Mark Twain diceva che il lavoro del critico è quello più deprimente, senza specificare però cosa fosse più deprimente, ascoltarlo o esserlo, un critico? Faccio mia invece una citazione di quel matto di Eugène Ionesco, "Il critico deve scrivere, non prescrivere"; il vizio peggiore infatti è non iniziare mai una frase con "Non vorrei sbagliarmi ma", sono tutti col dito contro - ma ripeto, né io o Twain riusciamo ad uscirne, è forse più cretino ascoltare, i critici. Okay, culturalmente potrebbero essere più preparati, ma il cinephile medio, tipo quelli con cui ho avuto a che fare quando ero alla scuola di cinema "Rossellini", si scannava contro il critico di turno per le stelline e gli asterischi mancati ai propri film preferiti, una sciocca pretesa (al contrario, rimaneva indifferente se le otteneva), quando un film, se colpisce al cuore o al cervello, è nelle nostre mani di giudizio che lo rendiamo il nostro preferito. Ancora più banale sentir dire, "se è piaciuto alla critica, dev'essere un brutto film", o viceversa, specialmente se detto da Ezio Greggio o da Massimo Boldi, il primo imperdonabile regista e il secondo, beh, sapete chi è Boldi, non criticatelo, potrebbe fare un twitter di vaffanculo. Il mio punto di vista è questo: non deve decidere Mereghetti o Morandini se un film per me è bello o no, ovvio, ma odio profondamente il lavoro del critico perché nel mio genere preferito, il comico, non c'ha mai preso, è sempre arrivato tardi massacrando in vita geniali comedian e, da morti, con forte ipocrisia li ha lodati come irripetibili, semplicemente perché la commedia è stata sempre vista come una forma d'arte secondaria, di serie B. Odio la critica cinematografica perché noiosa (per me, il migliore è Goffredo Fofi) e noiosi e inutili sono i discorsi sulla critica. Come questo che sto scrivendo. 
Eppure diamo ancora retta a 400 o 800 critici e registi che ogni tanto si incontrano e decidono la lista dei più bei film di sempre, appuntamento decennale della British Film Institute (BFI) puntuale anche quest'anno - stavolta, con clamore ha tolto dalle palle Quarto potere (1941), di Orson Welles, e ha messo a mio parere uno dei più mosci film di Alfred Hitchcock, La donna che visse due volte (1958) al primo posto. Al seguito una cinquantina di film non proprio per tutti, ovvio, e dalle lontane date, dai tempi del muto a Mulholland Drive, film del 2001 diretto da David Lynch, ma tutto puzza di vecchio, polvere, capolavori artistici ma clamorose rotture di palle. Eh sì, duri a morire Ejzenstejn, Dreyer, Vertov, Murnau, fortunatamente mescolati a capolavori come Taxi Driver, di Scorsese (curioso: era tra i votanti), a Ladri di biciclette, di Vittorio De Sica. Il problema principale con queste liste che mancano fottutamente delle commedie divertenti (okay, teoricamente quattro ce ne sono: The General, splendido film con Buster Keaton, Playtime, di Jacques Tati, A qualcuno piace caldo, di Billy Wilder, e Luci della città, di Chaplin): dove sono Leo McCarey, Frank Capra, ma anche Hitchcock di Intrigo internazionale, con Cary Grant in stato assoluto di grazia, e invece neanche un film con Jack Lemmon, Stanlio e Ollio, Jerry Lewis, non riusciranno mai ad inserire un film di Chaplin dove si ride per tutto il film come Il circo, o un cartone animato. Sottovalutiamo un'ora e mezza di risate e divertimento per Antonioni, i silenzi di Kurosawa, i tormenti di Fellini (ma diamine, e votate Amarcord per una volta!), tutto questo lascia il tempo che trova. Aveva ragione Monsieur Hulot ad andarsene, sdegnato dal branco di deficienti che preferiscono stare sulla spiaggia noiosa e monotona che ridere ad un funerale per colpa di una ruota di scorta.