domenica 20 ottobre 2019

Io e i Ghostbusters

L’evento più atteso di questa edizione della Festa del Cinema di Roma è stato sicuramente quello di Bill Murray, premiato alla carriera direttamente dal regista Wes Anderson, e protagonista di una giornata piuttosto inusuale, soprattutto per l’organizzazione, solitamente rigidissima.
Cominciamo con dire le cose che sono ribalzate sui giornali: giovedì è sbucato inatteso sul Red Carpet assieme a Anderson, per la gioia di quei pochi fan accorsi per vedere Edward Norton, e ieri mattina ha “bucato” la conferenza stampa semplicemente perché era ancora con gli effetti della serata che si era concesso, e in pigiama ha comunicato di dare forfait. Risultato, i fan si divertono e i giornalisti accorsi si sono incazzati come delle belve. Ancora più incazzati gli accreditati e fan accorsi all’incontro moderato da Antonio Monda, nel pomeriggio: Murray arriva tardi al Red Carpet, piomba con 45 minuti di ritardo alla Sala Sinopoli, e a causa dello scoppiettante dialogo fra lui, Monda e Anderson il lavoro della traduttrice Olga si fa difficile e non riesce a tradurre quasi nulla (e dal pubblico si alza qualche volta un urlo, “Traducete!!”). Sulla carta insomma Murray è sembrato indisciplinato e l’organizzazione un disastro. Ma io, che ero lì assieme agli altri amici acchiappafantasmi di Ghostbusters Italia, ho percepito una grande aria di libertà e di divertimento. Si è fatto perdonare abbastanza, il nostro caro Bill, con un incontro emozionante e divertente (che è stato ottimamente riassunto qui). Cosa volere di più?
Vederselo di fronte non è una cosa facilmente descrivibile: ha un volto segnato dai quasi 70 anni vissuti con un po' di eccessi, e i suoi occhi trasmettono una invidiabile capacità di divertire. Ci ha messo buon umore appena lo abbiamo visto sul tappetto rosso, pure se non ha firmato neanche un autografo e si è scattato pochissime fotografie con i fan, solo tante strette di mano (fra cui la mia) e qualche chiacchiera. A noi, che volevamo consegnargli una targa celebrativa, ci ha sorriso e detto “Stiamo assumendo”, e ad un altro socio ha detto che avrebbe partecipato al nuovo film di Ghostbusters, in uscita per la prossima estate (cosa confermata al Tg5, durante una intervista). Poi siamo andati all’incontro col pubblico, e come disperati siamo andati dopo cena sotto il suo albergo, cercando di stanarlo lì, purtroppo senza riuscirci. Bill Murray rimane quindi uno dei quattro Ghostbusters ancora da incontrare come si deve, come del resto ci eravamo riusciti negli anni passati con gli altri tre membri del cast, e cioè Ernie Hudson (ma io non c’ero), Dan Aykroyd (c’ero) e Sigourney Weaver (c’ero). Harold Ramis, scomparso nel 2014, non penso neanche sia mai venuto in Italia, mentre all’elenco devo aggiungere Paul Feig, il regista del reboot del 2016, incontrato a Roma durante l’anteprima per la stampa. 
Questi incontri passati erano stati organizzati direttamente con gli uffici stampa, solitamente entusiasti della nostra presenza ma, come immaginavamo, con Murray non è stato possibile. Certo, è un peccato e sicuramente è stata una occasione persa, ma l’imprevedibilità di Bill è storia nota e l’ufficio stampa non voleva rischiare. Per esserci, noi di Ghostbusters Italia abbiamo praticamente insistito e se non fosse stato per GbMax, leggenda del fandom di Ghostbusters e nostro presidente, non avremmo avuto quel minimo di spazio concesso, e la possibilità di avere gli ultimi biglietti per l'incontro. Quando ci vedete festosi a fare gli acchiappafantasmi, sappiate che il deus ex machina è sempre lui.
Tuttavia, la Festa ha detto di no. Il contesto è sempre fondamentale: con Hudson c’era un “comicon” in Svizzera, con Aykroyd c’era il tour della sua vodka, la Weaver era un omaggio per il suo premio alla carriera, e come detto Feig era a Roma per il suo film. Murray, essendo accompagnato da Anderson, era rilegato in un momento diverso dal mondo Ghostbusters. . Sfogliando qualche sito internet ho recuperato qualche video e foto, e questo fotogramma da Rainews24 la dice lunga: noi nella calca che cerchiamo di “toccare” Murray. Io sono quello che gli stringe faticosamente la mano:
Una frenesia da fan, perché chi mi conosce sa che Bill è uno degli attori che preferisco di più in assoluto, non solo per Ghostbusters. Ho studiato al microscopio tutta la sua carriera, e l’evoluzione della sua straordinaria maschera. Spesso fa centro, ma dipende dal regista con cui lavora: tempo fa ho recuperato il film I morti non muoiono, ed è stata una cocente delusione, nonostante Jim Jarmusch alla regia. Il veloce incontro con Murray non mi ha deluso, ma è andata diversamente come avremmo voluto andasse: due parole, un video, nulla. Eravamo stati abituati troppo bene?
Quando abbiamo incontrato la Weaver, fu davvero emozionante: lei ci vide schierati alla fine del red carpet da lontano e quasi si commosse per la sorpresa. Concesse che ci unissimo a lei per delle foto – quanto è alta! – e dopo qualche minuto, visibilmente infastidita dai paparazzi mi disse di sparargli con lo zaino protonico.
Quelle foto fecero il giro del mondo. 
Ricordo ancora quando non ero nel giro dei Ghostbusters Italia, ma il caso volle che li incontrai il giorno in cui Dan Aykroyd presentava la sua vodka a Roma, nel 2013.  Ecco, Dan è diverso da Bill: concede fotografie, autografi, chiacchiere, ovviamente lo fa per marketing, ma vi assicuro che fra i divi di Hollywood non è una cosa così frequente. La carriera di Danny è diversa, più fortunata agli inizi e poi crollata negli anni recenti, per la mancanza di rinnovarsi e possibilità di reggere un film da solo: però è entrato nella leggenda con alcuni film, pochi ma capolavori, come The Blues Brothers o Ghostbusters, e ottime commedie come Una poltrona per due, Spie come noi. Fu molto cordiale e mi fece l’occhiolino per farmi scendere un po' la tensione: non era facile essere accanto a Dan Aykroyd. È anche vero che ci sono fan rompicoglioni che pensano di essere i fan più importanti degli altri, motivo per cui ci sono attori che diffidano l’incontro, anche per una sola foto.
Infine, nel 2020, probabilmente ci saranno occasioni di incontrare vecchi e nuovi Ghostbusters con il film che Jason Reitman – figlio di Ivan, regista dei primi due film della saga – ha da poco terminato di girare e che uscirà il 10 luglio. C’è molta attesa e buoni propositi, ora che il brand viene di nuovo rilanciato e le nostre uniformi saranno ancora attuali per molti anni ancora. E l’immagine di Dan, Harold e Bill saranno eternamente ricordate. Quindi, Murray, prossima volta fermati due secondi okay? Grazie.

lunedì 29 luglio 2019

Pellegrinaggio a Ulverston, città di Stanlio

Un sogno diventato realtà: la scorsa settimana ho visitato Ulverston.

Sapete dove sta Ulverston? A Nord dell’Inghilterra, nella regione della Cumbria, ci arrivate con due ore di viaggio dall’aeroporto di Manchester con un treno della linea Northern. Da casa mia, sono in linea d’aria oltre 2000 km di distanza. Abbiamo fatto tutta questa strada – con qualche disavventura – per sentire l’atmosfera e lo spirito di una città piccola, definiamola anche di “campagna”, che è famosa in tutto il mondo per il loro concittadino più celebre: Stan Laurel. Quando non aveva ancora questo nome d’arte, si chiamava Arthur Stanley Jefferson e a Ulverston vide la luce il 16 giugno del 1890. Laurel, lo conoscete, era il magro della coppia Laurel e Hardy, Stanlio e Ollio, e sono giunto alla conclusione che ogni loro fan almeno una volta nella vita deve fare questa esperienza.

Io e il mio amico Luca avevamo pianificato questo viaggio molti anni fa, come nostro desiderio intimo di vedere la casa dov’era nato Stan, il famoso museo, e altre location degne di nota. Finalmente ci siamo riusciti, e per un periodo pure fin troppo lungo di cinque giorni (22-25 luglio) abbiamo visitato la città in ogni punto possibile.
Ulverston è in realtà una città che si visita in due giorni, tanto è piccola (11,000 abitanti) e con poche cose da offrire, nonostante abbiamo scoperto essere una meta fra le preferite dagli inglesi di città: perché c’è aria buona, quiete assoluta (a parte i gabbiani, insistenti e numerosi), cibo buono (ma su questo ho qualcosa da raccontare) e tanta cortesia, tipica delle campagne inglesi. Girando con delle magliette con sopra le figure di Stan e Ollie attiravamo facilmente l’attenzione dei paesani, anche perché la prima vera attrazione è proprio il Laurel and Hardy Museum. La sua storia è curiosa: il concittadino Bill Cubin, fanatico della coppia (e per due volte sindaco della città), raccolse materiale per riempire una stanza e tracciare una cronologia dell’infanzia di Stan e della sua famiglia Jefferson.
 
Inaugurato nel 1974, questo piccolo ma visitatissimo museo si amplierà molti anni dopo per generosità di un fan olandese diventato ricco per aver vinto un quiz in tv, e che nel 1992 donò la possibilità di costruire una seconda stanza che Cubin fece diventare una piccola sala cinematografica per proiettare le comiche di Stanlio e Ollio per i visitatori. Quando Cubin è morto nel 1997, l’attività è continuata grazie alla figlia Marion e poi da suo nipote Mark, oggi gestore della nuova sede del Museo, oggi molto più grande e completamente rifatto: il percorso è didattico e dei pannelli informativi raccontano la storia di Stan e della coppia, circondati da molti oggetti preziosi (attualmente ci sono una bombetta originale di Stan, una di Oliver usata in Swiss Miss, e un fez dal film Sons of the Desert) si trovano centinaia di pupazzi, statue e fotografie, e una sala cinematografica centrale. Il biglietto costa 5 sterline, e alla fine del percorso trovate un piccolo shop.
Il Museo è situato all’interno del cinema Roxy”, a Brogden Street. Basta girare l’angolo per ritrovarsi a County Rd, dove si trova il Coronation Hall (il municipio): lì si trova una bellissima statua in bronzo raffigurante Laurel e Hardy, un appuntamento fisso per le fotografie. Dal vivo, è veramente emozionante: sul marciapiede si trovano alcune delle battute più famose dei loro film e una manciata dei titoli più famosi. Tre targhe poste alle loro spalle ricordano il giorno della inaugurazione, il 19 aprile 2009, in presenza del sindaco della città e del comico inglese Ken Dodd, e di centinaia di Figli del deserto, i soci del club dedicato alla coppia. 

Oliver e Stan affacciati dal balcone del municipio
È molto importante anche buttare un occhio alla balconata del municipio: da lì si affacciarono Laurel e Hardy durante la loro trionfale visita nel maggio del 1947, mentre erano impegnati nel loro tour teatrale in tutto il Regno Unito. Per Stan fu davvero emozionante tornare nella sua città natale, e soprattutto visitare la casa dove vide la luce: è ancora in piedi, e c’è una targa commemorativa della sua nascita. A dire il vero, se non fosse per le banche e le automobili, Ulverston è rimasta molto simile a com’era nel 1890: provare per credere, e andate al n.3 di Argyle Street dove si trova la vecchia casa di Laurel, con gli stessi colori di 130 anni fa. In una lettera che inviò il 27 maggio 1947 ad una sua amica di nome Mary, Stan scrisse:

Stan esce dalla casa dove vide la luce. Ulverston, 1947
È buffo che mi menzioni Ulverston. Sono tornato proprio oggi da una visita veloce. Sono stato presentato alla città al Coronation Hall e fuori sul balcone mi hanno dato una copia del mio certificata di nascita. Poi siamo andati al 3 di Argyle St. – dove c’è la mia vecchia casa – portandomi dietro nella memoria di molti ricordi. Abbiamo cenato con tutti gli ufficiali al Golf Club – un momento meraviglioso – ero emozionato da morire”.

Come ricordava lo stesso Stan, la sua infanzia a Ulverston durò molto poco, e attorno ai sette anni la famiglia Jefferson si trasferì a Bishop Auckland per proseguire fra North Shields e Glasgow, in Scozia. Com’è noto Stan era figlio d’arte, e il padre, impresario e autore teatrale, lasciò che intraprendesse la difficile carriera d’attore, dopo averlo visto debuttare all’età di sedici anni in un numero comico a Glasgow.
Dopo il museo, la statua e la casa di Stan, rimane da vedere un pub più che un vero monumento, comunque dedicato alla sua memoria: lo Stan Laurel Inn. Dal nome si capisce che è anche una pensione con alcune stanze disponibili, oltre che un semplice pub (il primo nome del locale era proprio Stan Laurel Pub, poi cambiato con la nuova gestione dal 2007; purtroppo non sono riuscito a trovare informazioni storiche a riguardo), ovviamente con molte caratteristiche care ai fan della coppia: ci sono numerose statuine di L&H (alcune provengono dal vecchio museo, perché durante il trasloco qualcosa si è rotto ed è stato recuperato apposta), fotografie e caricature, e lo stesso menu ha dei riferimenti a Stan (una birra si chiama proprio Stan’s Ale, scura e dal sapore particolare). Due cappelli a bombetta fanno da cornice alla pila di bottiglie dietro il bancone, e alcune bevande sono intitolate come alcuni film di Laurel e Hardy – ad esempio una birra chiara si chiama Flying Elephants, come un loro corto del 1927. Fattore non secondario: si mangia molto bene ed è incredibilmente economico, ma come tutti i pub in Inghilterra seguono un orario ben diverso dai nostri in Italia (il lunedì niente cibo!), si serve “food” dalle 12 alle 14 e dalle 18 alle 21, un orario dove di solito molti locali chiudono (mentre i negozi alle 17:30 sono tutti chiusi, occhio turisti quando credete di comprare qualcosa dopo le 18, neanche Tesco vi salverà!). Questo grazioso e accogliente pub si trova al 31 di The Ellers (a pochi isolati dalla casa di Stan).

In vista del festival del Buddismo in corso, non siamo riusciti ad alloggiare lì e in altri hotel in zona, e abbiamo fatto ricorso alla Swarthmoor Hall, una “mansion” del 17esimo secolo immersa nel verde, molto accogliente e dall’incredibile fascino. Bisogna però mettere in conto una camminata di circa venti minuti per arrivare al centro della città (praticamente, al centro di tutto), perché si trova fuori zona e a mezzo miglio dalla stazione ferroviaria. Siamo stati fortunati che il meteo ci ha graziato e la famosa “pioggerellina” inglese ha fatto capolino solo un paio di volte.
Oltre alle mete “laurelhardiane”, Ulverston offre comunque un paio di posti davvero ottimi per mangiare, e solo girare per la città e perdersi nei vari negozi è molto bello e rilassante. Mi rendo conto di non aggiungere niente di originale, ma un po' di relax non guasta mai credo. Ulverston è una città che ha combattuto per non avere un centro commerciale enorme, e ha vinto per rimanere il posto quieto, storico che è.
Tutto non è stato rose e fiori, ovviamente. Per esempio siamo andati come serata finale in una pizzeria “italiana”, una mossa cretina spinta dalla curiosità: non dico il nome del locale, ma gli spaghetti alla carbonara erano panna e prosciutto a cubetti, la mia pizza parma era besciamella e bacon. Inglesi, ma perché non mollate la cucina italiana?
Abbiamo avuto disavventure con le ferrovie inglesi piuttosto seccanti all’andata, e certamente ci aspettavamo molte cose più tipiche nel famoso Market Hall (punta di diamante del turismo della città), o nell’unico book shop aperto, e se dovessimo trovare un neo al museo di Laurel e Hardy, consiglio di rendere lo shop più organizzato (va bene trovare magliette, calamite, portachiavi, penne e bloc-notes con sopra l’immagine di Stan e Ollie, ma mi aspettavo dvd, spille, libri, gadget e qualche statua!) e lavorare di più sull’illuminazione. Rispetto all’altro museo esistente dedicato alla coppia, situato nella città natale di Oliver Hardy, a Harlem (Georgia, USA), qualche punto lo perde. Ma ad avercene posti così, ovviamente.